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sabato 1 ottobre 2011

Senza padrini. Resistere alla mafia fa guadagnare di Filippo Astone con la prefazione di Andrea Camilleri (Tea). Intervento di Nunzio Festa




















Il nuovo libro d'inchiesta del giornalista Filippo Astone, “Senza padrini”, fosse stato scritto in maniera meno tecnica, certamente l'avremmo persino consigliato quale libro di testo per le scuole; ma non usando una formula trita e ritrita, bensì per sottolineare che questo sforzo titanico di dipingere i caproni - ovvero i mafiosi siciliani - con le loro stesse grasse malefatte serve perfettamente l'imposizione e impostazione etica di lavorare contro l'Illegalità: cioè raccontando il bene e il male delle mafie, e per spingere giovani e meno giovani, come suol dire, a vivere con lo schifo dell'Illegalità mafiosa. E, soprattutto, spiegando questa necessità raccontando 'persino' che, tipo per l'impreditore sicialiano qualsiasi, eppure anche non necessariamente siciliano, in quest'Italia comunque maltrattata dal malcostume generalizzato, “Resistere alla mafia fa guadagnare”. Pure. Cosa, ovviamente e giustamente, ripresa non a caso in sottotitolo al saggio. Il nuovo libro d'Astone, giornalista dalla penna acunimata quanto puntigliosa, soprattutto saggista privo di scrupoli e che mai scende a compromessi, lungi dall'osannare i comportamenti naturali e oggi tipici di Confindustria, comunque considerata in fondo ferma su se stessa e realmente non disposta sempre a tentare strade per rilanciare l'economia complessiva italiana, prende idealmente e in maniera franca le mosse dalla scelta iniziata con un atto quasi eretico di Confindustria Sicilia. Quando la componente sicula di Confindustria, insomma, decise di sanzionare i propri iscritti che finivano per cedere alle lusinghe della mafia oppure che solamente crollavano di fronte alle richieste di silenzio della mafia – quelle post richiesta estorsiva. Ivan Lo Bello e Antonello Montante, per i loro atti di disobbedienza, non casualmente furono raggiunti da proiettili intimidatori che si dovevano spartire con il procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari e il procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. Perché proprio chi spezza l'asse borghesia mafiosa – corruzione fa un danno molto rilevante alle mafie. “Specie se, come hanno fatto Lo Bello e Montante, riesce a dimostrare che è possibile operare senza le mafie. Anzi, che liberarsi dal crimine organizzato, oltre che giusto, conviene. E che ormai chi paga il pizzo non lo fa perché costretto, ma perché ritiene che la collusione sia vantaggiosa”. Dunque Astone, dopo aver narrato, illuminandoci e usando la dovizia di particolari cara sempre ai grandi giornalisti, dei pochi padroni che tengono in mano l'Italia e dei metodi che usano per moltiplicarsi e rigenerarsi, racconta un'altra verità del percorso adesso di Confindustria. Quello che dovrebbe diventare esempio per un vero cammino verso il distacco dalle mafie e soprattutto contro la sottocultura mafiosa. Infine, e non lo si dimentichi, nell'ultima parte del testo, Filippo Astone spiega altre “storie di economia mafiosa”: “Olga Acanfora, la camorra per scontare le fatture”, “Ivano Perego, 'ndranghetista lumbard” ecc. Perché come ormai sappiamo non esiste solamente “cosa nostra” e non esiste solamente la Sicilia. Ma dalla Trinacria, questa volta, nasce un fiore che dovrebbe divenire il fiore d'una nuova primavera dell'onestà. E, come dice Camilleri, rivedere la Storia, con la “S” maiuscola appunto. 

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