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lunedì 30 settembre 2013

Sophie Kinsella, "Fermate gli sposi!" (Mondadori)

domenica 29 settembre 2013

¿Te apetece salir? (Booktrailer) - Editorial Círculo Rojo

sabato 28 settembre 2013

Deserto Rosso - Ritorno a casa (booktrailer)

giovedì 26 settembre 2013

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA “PULIAMO IL MONDO” ORGANIZZATA DA LEGAMBIENTE A LECCE SI PRESENTA “CUORE D'ACCIAIO” (Lupo Editore) DI PATRICIA FLAMENT



Nel cuore della città leccese la domenica si tinge di verde con la giornata “Puliamo il mondo” di Legambiente e di colore con il romanzo di Patricia Flament “Cuore d'acciaio” (Lupo Editore) con gli interventi del presidente dell'Associazione Legambiente Walter Ronzini e il docente di ingegneria presso l'Università del Salento Danilo Urso.
Domenica 29 settembre 2013, ore 18.30 - Piazza S. Oronzo - Lecce.

Dopo cinque anni trascorsi in un prestigioso collegio svizzero, Olympia torna a Villanova, ridente cittadina sul mare nella quale suo padre - brillante ingegnere e ricercatore – ha fatto carriera presso la Wunderbar Stahl, un’importante acciaieria tedesca. Il suo è però un ritorno amarissimo: sua madre è morta in un misterioso incidente stradale e il padre è paralizzato a seguito di una terribile esplosione avvenuta in fabbrica durante un esperimento di fusione da lui stesso richiesto. Il già difficile rapporto con lui si complica quando l’ingegnere viene messo sotto processo in un clima già teso per le proteste della popolazione contro un’azienda responsabile dell’inquinamento che semina malattia e morte. La fragilità affettiva di Olympia sfocia nel totale disorientamento e in una anoressia che la mette in contatto con il dolore altrui, ma l’incontro con Peppe ed Alex la porta sulla strada giusta per comprendere il meccanismo perverso e la rete di interessi che, usando le persone come pedine, creano corruzione spingendosi fino al crimine.

Patricia Flament è nata in Francia nel 1957. Dopo la laurea in Storia dell’arte nel 1981 presso         l’“Ecole du Louvre” di Parigi, si trasferisce a Firenze per completare gli studi in critica d’arte e lì incontra l’uomo che cambierà la sua vita. Nel 1989 decide di trasferirsi a Lecce dove si sposerà e metterà al mondo i tre figli. Alterna tra il lavoro dell’insegnamento della lingua francese e le visite guidate sul territorio. Ha collaborato con varie case editrici per la realizzazione di guide turistiche. Nel 2004 ha pubblicato il suo primo romanzo Il Castello delle Donne (Ed. del Grifo). Nel 2005 ha vinto il premio speciale “Opera Prima” con la commedia Tutti in Messico per la quale otterrà anche il riconoscimento “Loggione d’oro” nel 2007. Nel 2006 pubblica Il Vitello d’oro (Ed. Palomar).



mercoledì 25 settembre 2013

Intervento di Alessandra Peluso, Georg Simmel (pp. 81-107), in “Frammenti di Cultura del Novecento”, a cura di Ivan Pozzoni, Gilgamesh Edizioni 2013



Un breve accenno: Georg Simmel, vissuto tra la fine degli anni ottanta del XIX secolo e la fine della prima guerra mondiale, è stata dominata da un senso di precarietà e di decadenza sotto ogni punto di vista. 
Precarietà che non appare in Simmel, uno dei più straordinari filosofi della vita che sia esistito nella storia intellettuale tra Ottocento e Novecento. Figura poliedrica, misteriosa per l’impossibilità di definirne l’ambito disciplinare, inafferrabile per la molteplicità delle sue opere e di tutti quegli articoli e riviste che sono state rielaborate. Una produzione che copre quasi tutto lo spettro delle scienze filosofiche e umane: metafisica, gnoseologia, etica, estetica, filosofia della religione, dell’arte, della storia, della letteratura, sociologia della moda, dell’economia, della condizione femminile e dei sessi.
È stato il tipo di intellettuale isolato in patria, o in esilio a casa propria, e soltanto perché era ebreo, la cui origine ne farà quasi uno straniero nelle università tedesche. Infatti solo nel 1901 all’età di cinquant’anni viene nominato professore di filosofia a Berlino, ma senza godere degli stessi diritti degli altri professori, come far parte di una commissione d’esame o assegnare tesi di laurea.
Tenace si occupa della condizione dell'individuo e nello scritto giovanile “La differenziazione sociale  sostiene che l’individuo non possa salvarsi contro la totalità solo cedendo parte di se stesso, ma debba anche unirsi alla società, agli altri conservando la propria individualità. Così come affronta l'attuale tema del denaro il “dio denaro”.
Nel XXI secolo sembra sia diventato marginale pensare al senso della vita e delle scelte umane: da un lato c’è l’incombenza di sopravvivere e procacciare quanto di più necessario, dall’altro si hanno modelli distorti dove l’obiettivo prioritario diventa quello di salvare i bilanci, la finanza, le banche, l’economia monetaria appunto, mentre la cultura e l’individuo vengono meno. La vita si riduce a una sfera economica dove le relazioni sociali, il rapporto con l'altro manca del senso della parola, della Legge della parola come la definisce Massimo Recalcati per sottoporsi al senso de limite dell'altro, del rispetto, della responsabilità.

Il contributo su “Georg Simmel” è contenuto in un volume completo di voci di studiosi contemporanei che raccontano - mossi da entusiasmo e passione per la filosofia - frammenti di filosofi che hanno tracciato il lungo e faticoso percorso della cultura contemporanea come Nietzsche, Vailati, Arendt, Zubiri, Bateson, Schlick, Dell'Oro, Warburg, Dávila, Garin, Melandri.

martedì 24 settembre 2013

Anatomia della fame di Stefano Pini, La Vita Felice, 2012. Recensione di Alessandra Peluso.



Se Aristotele ha ragione, la poesia, non la storia, si avvicina alla filosofia, perché la poesia tende a rappresentare l’universale, la vita, la storia il particolare: «La vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare. Dell’universo possiamo dare l’idea in questo modo: a un individuo di tale o tale natura accade di dire o fare cose di tale o tale natura in corrispondenza alle leggi della verosimiglianza o della necessità; e a ciò appunto mira la poesia, sebbene ai suoi personaggi dia nomi propri». (Aristotele, Poetica)
Ecco che le poesie di Stefano Pini raccolte nel libro Anatomia della fame vertono sull’universale, inneggiano alla vita che coincide con una possibile filosofia di vita.
È questa la poesia in cui Pini descrive la vita vivisezionandola, dal greco “ανά τέμνω” che significa appunto tagliare, vivisezionare, congiunta con la metafora della fame come esperienza vissuta nel tempo, come metafora dell’esistenza di ognuno di noi che deve avere fame di amicizia, devozione, amore nei riguardi dell’esistenza di una donna, di un amico o di un fratello. Compare un immediato contrasto tra bene e male, sentimento e  paura, vita e morte che si intersecano magistralmente nell’intera raccolta.
Pertanto, ritengo innanzitutto opportuno suddividere, “vivisezionare” l’opera in quattro parti: la prima ha inizio con una brevissima disquisizione sul termine “dispersione” e con un aforisma di F.S. Fitzgerald: «Tese le braccia al cielo cristallino, splendente. Conosco me stesso - esclamò - ma nient’altro»; questa espressione del celebre scrittore introduce i versi  sull’esistenza individuale, su se stesso “nosce te ipso”: l’insegnamento socratico che esorta a trovare la verità dentro se stessi anziché nel mondo delle apparenze. È evidente inoltre, una stridente condizione del poeta calata nella realtà, la solitudine che si legge nei versi: «Il giallo delle pareti / è la cifra di nervi scoperti: / al vento d’ottobre s’affilano preghiere incomprese / polveri nascoste con troppa cura. / Dentro i rumori del cemento l’equilibrio / si costruisce di crepe. / Io non ho sostanza ma fiato secco e sudore / come in bocca appena sveglio». (p. 17). E la solitudine che si confronta con il tutto rappresentato dalla notte che richiama la morte. La notte che simboleggia il senso materno, la protezione, qui invece assume il significato della morte, della non vita. La metafora della morte, per dirla con Heidegger, è vista come ultima possibilità dell’esserci. Il poeta sembra qui concretizzare l’esistenza autentica, ossia l’accettazione della propria finitezza.
Egli infatti non ha paura della morte, richiamo a tal proposito la definizione di Heidegger “la morte come pura e semplice impossibilità dell’Esserci”. Così la morte si rivela come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile e infatti si legge: «La nebbia scivola a terra invisibile / sporca la campagna in opera / le nostre storie vietate, fermo immagine / interrotti alla finestra, il tendaggio obliquo / incapace di polpastrelli / sulla verità». (p. 20). Ed ancora nei versi : «Svilito / il tempo dei notturni rapaci / il desiderio del naufragio / ... », (p. 21) riecheggia inoltre la metafora del naufragio tipica di esistenzialisti come Jasper, Heidegger, Sartre, Kafka, Leopardi.  Mentre la morte esplode nella poesia: «I monologhi provati allo specchio / maschere sempre diverse, stremate/ solitudini a divagare / di una dialettica rimossa. L’assenza è la qualità prima della morte, ripeto: voi, e non io». (p. 22). Irrompe la morte come un velo sottile adagiato dolcemente su di un corpo.
A tal proposito, può balzare alla mente il ricordo del pensiero di Leopardi: «Terribile e awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere è padrone degli altri come chi ha il coraggio di morire». (G. Leopardi, Zibaldone, 4391, 23 settembre 1828); così come la metafora scotellariana “Penna e rasoio” in cui incidono i versi del poeta e recidono, con occhio fenomenologico, l’esistenza individuale e collettiva nella problematicità della vita.
Tuttavia riprendendo la suddivisione delle parti, enucleo la seconda parte il cui incipit è dedicato ad una grande poetessa contemporanea Alda Merini: «Non sono e non sarò mai una donna addomesticabile». E qui dall’esistenza individuale si sposta l’attenzione sulla donna e si leggono i sublimi versi: «Ridi» / «L’ordine dato alla terra per la carne colma le distanze / le tue labbra chiamano il sipario. / Serrande alzate, la materia scossa» (p. 34) e persiste la magnificenza della donna nei versi: « ... / Il destino danza lungo una ferita verticale. / Ogni tuo passo è predizione, scrive regole il mio germe / ti ascolta la pelle a occhi serrati». (p. 35).
Pertanto, nel particolare emerge l’inquietudine, non a caso il poeta adotta l’espressione di Albert Camus: «L’irrequietudine nasce nel cuore dei vivi». Così si apre la terza parte con un poeta inquieto nel descrivere la fame, l’epidemia della peste, la distruzione all’orizzonte che sembra evocare la magia descritta nell’Infinito del Leopardi, sino alla finitezza del ricordo di un amore: « ... / Allungo le mani sulla pelle, / la carne cede ogni punto in cui manchi». (p. 53).
Infine, Stefano Pini conclude con ovvia provvisorietà, riportando la mente ad un celebre passo di Nietzsche: «Così parlò Zarathustra e abbandonò la sua spelonca, ardente e forte come un sole mattutino che esce da scure montagne». In tal modo fiorisce la speranza di salvezza dalla peste cercando la luce, la verità: «Vorrei essere grande» / «Il treno raccoglie giochi di luce / una voce che dev’essere stata mia. / Nel letto della pianura il caldo / filtra dai finestrini, la sera / sembra non arrivare mai». (p. 73).
Ed inoltre si legge ancora nei versi: « ... / Sappiamo delle peregrinazioni sole / nell’aria lattiginosa del mattino: / per questo possiamo danzare, non credere / fermi nell’ultima fila di un teatro / la scena da inventare». (p. 75). È ricercato l’attributo “lattiginoso” dato all’aria, bianca e densa come il latte.
Appare come un bellissimo dipinto reale e surreale nello stesso tempo.
Le poesie di Pini sembrano incredibilmente metafisiche, una non realtà che permane sull’esistenza degli esseri umani, versi in cui traboccano metafore, contraddizioni, conflitti che si descrivono e si accettano nell’intera raccolta Anatomia della fame.

venerdì 20 settembre 2013

Il tesoro di Sant’Ippazio di Alberto Colangiulo (Lupo editore)



Basso Salento. Prima metà degli anni ’80. Notte dell’Assunta. Due ragazzini, inseparabili amici, approfittano della festa paesana per una piccante sortita, ma, inconsapevoli l’uno dell’altro, diventano testimoni del probabile omicidio del parroco.  A condurre le indagini è il giovane maresciallo Gerardi che, da pochi mesi in servizio nel posto, si ritrova ad indagare fra le pieghe dei riti, delle superstizioni e dei segreti della piccola comunità.

“Una chiesa aperta quando doveva essere chiusa; un prete nel posto sbagliato; una villa abbandonata percorsa da un misterioso visitatore. E due antiche anfore che ne avrebbero da raccontare… Come Riccardo detto Fischio, con la sua coscienza sporca.”

mercoledì 18 settembre 2013

SCRITTORI BRUTTA RAZZA di Luigi Saccomanno (Lupo Editore)



Antonio Penna (un destino anagrafico, il suo) viene dalla scrittura, nella quale si è rifugiato nella sua ben poco felice infanzia, e da omicida alla scrittura torna nella reclusione “per tenersi sotto controllo”; nel mezzo, ha amato e si è lasciato amare da Zenit, la ragazza che parla con la luna, suona il violino, ama le ballate irlandesi e la cioccolata al latte. Lei lo ha conquistato all’istante con la sua spregiudicata e limpida autenticità, permettendogli di essere se stesso e di credere nella propria creatività. Ma, cedendo alla lusinga del successo, Antonio si allontana da Zenit per ritrovarla solo quando sa che sta per perderla definitivamente: è allora che lui acquista coscienza della sublime natura dell’amore, della sete di vita della compagna e della sua totale libertà di spirito, doni ai quali lui ha rinunciato lasciandosi trascinare in un gioco ipocrita. Insostituibile Zenit, capace di affidare a un lancio di dadi un amore e di barare per amore di verità.


“Scrivere è un’arte da prestigiatore. Possono nascondersi menti contorte dietro tante belle frasi, succose, tutte da spremere, come le vostre meningi, maciullate. E sapete qual è l’errore più banale per un prestigiatore? Illudersi che il trucco riesca sempre.”

venerdì 13 settembre 2013

Mortimer Blues, di Gianluca Morozzi, Edizioni Il Foglio (Piombino, 2013), pag. 70, euro 4.90; Hikikomori. Latte chimico. Il complotto di Wilhelm Reich contro l'America, di Federico Guerri, Andrea Malabaila, Valerio Evangelisti, Edizioni Il Foglio (Piombino, 2013), pag. 92, euro 4.90; Il ragazzo del Cobre. L'inferno e altri racconti brevi, di Gordiano Lupi, Virgilio Pinera, traduzione di Gordiano Lupi, Edizioni Il foglio (Piombino, 2013), pag. 104, euro 4.90. Intervento di Nunzio festa



Approfittiamo della lettura d'un racconto lungo d'uno dei nostri giovani autori preferiti, Gianluca Morozzi, e stiamo parlando questa volta di "Mortimer Blues", per riferire meglio anche d'una delle avventure editoriali delle Edizioni Il Foglio, insomma della gradevole assai collana Demian; ma procediamo con ordine. Anzi presentiamo prima, quindi, questo spazio interno alle piccine e sempre attive edizioni della provincia livornese: diretta da Sacha Naspini e Federico Guerri, "il tentativo di una vita, l'accenno di un sentiero". Per poi arrivare ad alcuni testi pubblicati in collana. Ma affidiamoci a Naspini, intanto: "Un giorno Gordiano Lupi mi ha chiesto di fare una collana per Il Foglio. Una collana di 'brevi', diceva. Una collana veloce. Magari da lanciare anche in digitale, eccetera eccetera. Ci ho pensato un po’. L’ho chiamata DEMIAN perché è il titolo d'un libro (di Hermann Hesse, ndr) che ho amato tantissimo. E ho deciso che la collana doveva avere come suggestione centrale l’adolescenza, perché ho una passione sfegatata per i luoghi indefiniti. L’adolescenza è uno di questi. È soprattutto lì che ci sono i primi strappi belli, quelli devastanti della vita. È lì che si capisce se le fondamenta reggono davvero o se già bisogna rivedere qualcosa. Ti svegli alle cose del mondo, cominci a dare un nome a. Magari sei tutto brutto e incasinato; oppure, durante un mercoledì pomeriggio ti capita un fatto che saprà marchiarti forte, dando una bella rimescolata alle piccole certezze che avevi appena messo assieme. Càpiti qua in mezzo, nella mischia, abbastanza disarmato. Magari t’innamori e non ti vogliono. Magari d’un tratto il tuo corpo pare volerti sfuggire di mano. E tutto il resto. Hai l’indole fresca, il tuo compito sembrerebbe quello di darle la corsa che chiede, eppure ecco già i primi muri. La famiglia. La scuola. Le competizioni naturali dell’età. Allora sgomiti, per ricavarti degli spazi. Questo può significare lotte acerrime, delusioni nucleari. Pianti, magoni, labbra spaccate – ma senza dirlo a nessuno, in casa, dando la colpa a uno sportello, alla bici. Magari, un giorno, ti metti a scrivere su un pezzo di carta, con l’anima fuori dai denti. Insomma, DEMIAN vi farà fare dei viaggi in queste terre, dove la materia umana è ancora molle, pulsante. (...) La redazione: siamo io e Federico Guerri – un trinciatesti lucido e puntuale (nonché ottimo divoratore di cinese; questo ci permette bellissime riunioni del venerdì sera, da Oriente)". Impossibile spiegare meglio il motivo della collana. Nel libretto firmato da Guerri, Malabaila ed Evangelisti, Episodio 3 ed Episodio 4, sono contenuti "Hikikomori" (dal giapponese 'stare indietro, isolarsi'), che ritrae pezzi della maturazione di Guerri appunto, "Latte chimico", del sempre promettente Malabaila, ma, soprattutto, "Il complotto di Wilhelm Reich contro l'America", dell'intransigente Evangelisti, dove invece è ritratto lo psichiatra austriaco Reich: che nel '56 si difese da solo davanta al tribunale di Portland perché accusato di aver venduto proprio agli statunitensi dei "rimedi miracolosi contro il cancro". Lupi, invece, nell'Episodio 7, con "Il ragazzo del Cobre" ci fa guardare al Brasile di Salvador de Bahia attraverso gli occhi del giovane Juanito. Prima d'omaggiarci del superbo dono della ripubblicazione d'alcune introvabili cicche dello scrittore cubano Pinera, raccolti sotto il titolo "L'inferno e altri racconti brevi"; Virgilio Pinera, sia detto e non per inciso, è uno di quei scrittori perseguitati dal castrismo che tanto piacciono all'animatore del Foglio letterario, oltre che noi stessi sempre comunque e ovunque dovremmo difendere e ricordare. Epperò chiudiamo con leggerezza, riprendendo da quel Morozzi che con cadenza e richiami gucciniani rivede pezzettini di lande emiliane un po' in castigo, ovviamente e come al solito, tenendo insieme la storia col collante della musica. Qui l'adolescenza vuole scapparsene dal paesello, e cercare di mettere nel Suonare voglie e desideri. Un piccolo quadro di realtà esistite. Dappertutto. E adesso sappiamo che non solamente la scrittura di Gianluca Morozzi e la dedizione di Gordiano Lupi vanno seguite, perché c'è pure il favoloso lavoro da consulenti di Naspini e Guerri.

giovedì 12 settembre 2013

Il corpo infranto, di Francesca Mazzucato, Giraldi Editore. Intervento di Nunzio Festa

L'ultimo romanzo breve di Francesca Mazzucato, che abbiamo avuto il privilegio di leggere in antemprima grazie al coraggioso e dinamico editore emiliano Giraldi, titolato "Il corpo infranto", è carico dell'urgenza di scrittura, e dunque di vita - come la scrittrice c'ha insegnato -, che dalle posizioni transitorie della sospensione desiderosa portano nella fertilità assoluta della consumazione, per intero, dell'esperienza; con lo stile che Francesca Mazzucato da anni ci fa amare, quel sempre formoso punteggiare della parola descritta in ogni sua sfaccettatura: la linea oltrepassata dell'erotismo andato in letteratura. Ché Mazzucato è la penna italiana più importante del genere. Dove il corpo, ovviamente, è metafora del far tutto fino in fondo. Perfino quando per fine d'un amore oppure d'un rapporto tutto d'affinità sessuale, il corpo chiaramente si ripresenta con le sue ammaccature e le troppe lesioni. L'opera sarà in libreria a ottobre. Ma è già disponibile in versione e-book. Per presentarla l'autrice ha parlato della narrazione di "desideri sublimi o mortali, assenza di dignità, credenze e comportamenti che trovavo insensati negli altri, finché io stessa non ho fatto a essi ricorso". Perché Il corpo infranto, appunto, racconta: "una storia vera, nuda, violenta d'amore, violenta di mancanza, piena di assoluto e di dolore, assetata d'intimità, pietosa, erotica, patetica, slabbrata, patologica, mistica, banale". Tra Parigi, Amsterdam e infine pure tutti i luoghi possibili. Dove però è un aggettivo, usato anche da Francesca Mazzucato stessa, a far da riferimento: "slabbrata". Dove insomma la frugalità delle mani che prendono e invadono non è fugacità. Ma voglia di possedere senza confini. Dentro una notte lunghissima. E gravida di cattivi ma amabili pensieri. Praticati, certo. "Si tratta di un romanzo scritto, dopo, nelle brasserie di Parigi, con furia, bisogno, febbre e non mi ha lasciata indenne, anzi. Ancora fragilissima e convalescente", parole di Mazzucato. Scrittrice prolifica e attenta traduttrice, Francesca Mazzucato nuovamente c'invita a sentire l'abisso dell'erotismo. Quando il corpo diviene unico elemento con la storia. Tradotta in Francia, Germania, Grecia, Spagna e Usa, Mazzucato collabora a magazine, siti internet e riviste letterarie italiane e straniere. Oltre a essere tra le fondatrici e direttrice editoriale di Errant Editions Small Ditigal Publisher (www.pinterest.com/erranteditions/).