Per la gioia dei "complottisti", degli accaniti disegnatori di
retroscena sempre e semplicità mai, a torto o a ragione, proviamo a esplore
alcuni importanti saggi pubblicati negli ultimi mesi, e l'ultimo di cui diremo
proprio nelle ultime settimane, da piccoli e importanti editori troppo
emarginati dal mercato. Analizzando, quindi, "Rivoluzioni S.pa."
d'Alfredo Macchi, "Black Bloc" di Franco Fracassi e "La rivolta
dei migranti" di Vittorio Longhi. Dalle Alpi agli Appennini. Perché i
primi sono materia luccicante della riservata Alpine Studio di Lecco, mentre il
libro di Longhi è uscito per la sicula :duepunti dei gemelli diversi Giuseppe
Schifani e Andrea Libero Carbone. Macchi, inviato di guerra e dunque
giornalista di razza, recentemente comunque approdato in acque più chete,
riannodando i fili delle sue incursioni sui territori minati ha raccolto in un
unico volume-storia i segreteri e le apparenze che i modernizzati scenari di
rivolta della terra araba hanno manifestato al largo, imbarazzato e stonato
mondo. L'obiettivo, annunciato dal titolo e chiarito dallo svolgimento dei
capitoli, è di rispondere all'interrogativo assoluto: chi c'è davvero dietro la Primavera Araba?.
Senza, d'altronde, svilire il ruolo delle giovani generazioni scene in strada.
Ché a loro è dedicata l'opera. Come a quanti che con la volontà di documentare
nel petto, sono stati stroncati dalla reazione. E, per fortuna, Macchi
smentisce subito le convinzioni di partenza dicendoci che "Questo libro è
frutto di un lungo lavoro di indagine e di diversi viaggi nei paesi si cui si
parla. (...) Questo non è un libro costruito sulle 'teorie complottistiche' o
cospirative che tanto sono in voga. E' un'inchiesta scrupolosa e seria, basata
sull'analisi di centinaia di documenti e testimonianze." La curiosità c'assale
quando però vediamo domande del tipo: "Che cosa ci fa uno dei gruppi
protagonisti della rivoluzione egiziana all'interno di un'associazione voluta
dal Dipartimento di Stato Americano e sponsorizzata dalle maggiori aziende
statunitensi?", "Che ruolo ha svolto una scuola di Belgrado che tiene
corsi su come rovesciare i dittatori?", "Perché Washington ha
addestrato blogger tunisini, egiziani, libici, yemeniti e siriani e fornisce
loro software contro la censura?", "E perché milioni di dollari
mandati dalle monarchie del Golfo attraverso organizzazioni caritatevoli sono
finiti ai ribelli?", "Quale peso infine hanno avuto agenti segreti,
addestratori militari e forze speciali?" Seppure eviteremo, per l'appunto,
di riproporre i contenuti tutti del libro, riprenderemo almeno alcuni passaggi
fondamentali del lavoro del giornalista Alfredo Macchi. Le fotografie
d'inchiostrro di Macchi sono nitide. Il punto focale è la Tunisia di Ben Alì. Anzi la Sidi Bouzid, forse, di
Mohamed Bouazizi. Mohamed è il giovane venditore ambulante di frutta che
ignorato dalle autorità e perseguitato da controllori dell'ordine cittadino per
protesta s'incendia. La morte di Mohamed, che passa per la visita del dittatore
dal capezzale del morente ambulante, infiamma la Tunisia. Eppure qualcosa
era stato anticipato il 28 novembre 2010, due settimane prima dell'inizio della
rivolta, a Tunisi, più esattamente nella Agence Tunisienne d'Internet. Dove si
scopre che Wikileaks sta pubblicando file segreti del dittatore, di sua moglie,
della loro larga e mafiosa famiglia. Il fiume alimentato dai blogger tunisino
permette d'elevare a notizia bollente e protesta di popolo la rivolta scoppiata
a Sidi Bouzid. Nient'altro che un puntino da legare alla corda dei soprusi del
potere. Un pretesto, si capirà, usato da quanti stavano tramando al fine di far
scoppiare il movimento. Fra i blogger, contemporaneamente, troviamo il
nordamericano Robert Guerra, della società Privaterra. Una delle tante
esperienze che risentono della formazione della "scuola di Belgrado",
nella quale sono insegnate le tattiche e le strategie non-violente da
utilizzare nei luoghi da liberare, corroborata dalle 'donazioni' finanziarie
made in Usa e sostenuta fortemente e da
vicino dalla Cia. Un inciso è d'obbligo, a questo punto. La Ned, National Endowment for
Democrazy, di Reagan da sola ha finanziato centinaia di gruppi nel mondo, vedi
in Venezuela, che avrebbero dovuto usare quei soldi per rovesciare governi, nel
segno della linea yankee. A New York, poi, ha sede la Open Society Foundation
di George Soros che vuole "costruire vibranti e tolleranti
democrazie". Tipo in Birmania. Il New York Times, infine, in aprile 2011
lancia un'approfondita inchiesta che illustra quanto in Egitto il Movimento 6
Aprile abbia ricevuto soldi e addestramento dagli Usa. E' necessario entrare
interamente nel terzo capitolo di Rivoluzioni S.p.a. se si vuole poi comprender
di più sulla Repubblica di piazza Tahrir. La Libia invece è stata preparata dalla Francia.
Macchi, infatti, prima dell'insurrezione, incontra addirittura l'intellettuale
B. H. Levy in terra libica inviato
non-ufficiale di Parigi. Tra comunicazione e pubblicità, azioni di spionaggio e
ingerenze, la
Primavera Araba è stata molto combattuta fuori dalle sue
terre. "I veri protagonisti della partita - dirà infatti Alfredo Macchi -
, nella quale intervengono di volta in volta potenze minori (come monarchie
saudite e l'Iran, la Turchia
o l'Europa), sono Stati Uniti, Cina e Russia. In appendice al poderoso saggio,
l'autore allega tra le altre cose la "guida" diffusa da Anonymous in
Tunisia e il riepilogo dei finanziamenti Ned in Medio Oriente emessi nel solo
2010. Questo è leggere per non farsi beffare dalla propaganda. Franco Fracassi
col suo "Viaggio nel pianeta nero", alza altre maschera dal volto di
quel che accade. E nuovamente possiamo usare le parole d'un libro al fine di
beffare noi la propaganda. Mentre, inotre, è in sala la pellicola di Daniele
Vicari, "Diaz", che accenna all'argomento di fondo del documento di
Fracassi. Un film che ha fatto discutere, e che ha il grande merito, in primis,
di raccontare quale e quanta violenza può usare il potere. Rappresentare una
delle forme dell'odio e dell'oppressione. Premesso che bisogna intanto intuire
se si tratti d'un libro serio seppur ammiccante e non d'una furba
pubblicazione, la piccola inchiesta Black Bloc comincia con l'intervista, ad
anonima, d'un'attivista che, non proprio casualmente, vive in un borgo composto
da una decina di case e situato sulle unghie delle Prealpi francesci prossime
alla Val di Susa. Documentarista di vaglia, Fracassi mette insieme una serie di
voci. Dall'interno del Black Bloc. Ma l'anonimato dietro il quale la maggior
parte delle voci raccolte sono trincerate, alla fine, fa perdere moltissimo al
libro. La lettura del saggio di Vittorio Longhi, di contro, ci permette di
tornare all'analisi. Rianimando, persino, un elemento ovviamente sottaciuto dal
testo di Macchi. Le migrazioni. Epperò con il cursore puntato intanto sulle
violenze subite dai tanti stranieri nelle tante terre d'approdo. Oltre
l'espatrio. Annusando sempre un certo sentore di Primavera Araba. E se nel
Golfo Persico a esser vittime di soprusi sono i domestici asiatici, in Francia
ad avere la peggio sono tutti i sans papier e nell'ex Belpaese gli sfruttati dei
campi dell'agricoltura sfruttata. Nella contraddizione storica, anzi
squisitamente esistenziale, tra necessità di migranti e condizioni a essi
garantiti. Al tempo della militarizzazione dei confini. Dei muri. Quando nelle
città s'alzano cancelli. Quando in Occidente le persone medie mettono cancelli
e inferritate e in America Centrale e Meridionale sono i ricchissimi a farsi
piantonare il filo spinato delle loro ville infinite. Vittorio Longhi, esperto
delle tematiche d'immigrazione, che da anni studia i flussi migratori e rende
conto degli spostamenti umani da casa a casa, con La rivolta dei migranti fa un
passo avanti, come si dice, nell'analisi. Perché Longhi prova a misurare il
potenziale di riscossa e la potenza di riscatto a livello universale che potrebbe
alimentare il conflitto per diritti sempre maggiori e resistenza sempre nuova.
Ché il sistema economico imperante, molto probabilmente, è da tutti i senza
diritto che può esser abbattuto. Primavera Araba sembre docet, verrebbe da
ripete. Perlomeno se non avessio letto Alfredo Macchi. Ma vogliamo, comunque e
ovunque, esser normalmente ottimisti. Longhi col suo saggio c'insegna però una
serie di dati ai quali sfuggivamo: 1) nel Golfo Persico esiste una distinziona
razziale strisciante, che quindi si chiama razzismo, fra nativi e immigrati,
quindi fra centro e periferia, fra ricchi e poverissimi, dove le donne
bengalesi sono tenute sotto ricatto dai padroni di Dubai per esempio; 2) spesso
i migranti che vogliono passare dal Messico o attraverso il Messico per gli
Usa, muiono o sono ammazzati, nonostante gli States sia il Paese dei Paesi
della multietnicità; 3) nel 2002 il futuro presidente francese Sarkozy, in
veste allora di ministro degli Interni, fece chiudere il centro dell Croce
Rossa posizionato a sud di Calais che dava assistenza ai migranti provenienti
da Balcani, Asia, Africa e Medio Oriente; 4) negli anni dell'ultimo governo
Berlusconi, dal 2008 al 2011,
in Italia c'è stato un aumento esponenziale d'episodi di
violenza verso i migranti e le minoranze (vedi le ultime edizioni del libro
bianco "Cronache di ordinario razzismo", del quale abbiamo scritto in
altre occasioni). Eppure vogliamo immaginare che i migranti e gli
sfruttati stanno costruendo la
rivoluzione. In attesa d'Alì dagli occhi azzurri.
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