Siamo a tutt’oggi in piena crisi, e non possiamo negare un
dato oramai incontrovertibile: prima di uscirne dovremo tutti noi fare grandi,
grandissimi sacrifici, a costi che purtroppo non saranno bassi. E in questa
crisi che sta colpendo tutto il mondo, prende sempre più corpo l’ipotesi che
una via di uscita per risollevare l’economia del paese (e non solo quella
dell’Italia), passi proprio attraverso la green economy ovvero l’economia
verde, quella per intenderci delle energie rinnovabili. Dunque un grande
contributo la stanno dando quelle che comunemente vengono descritte come
energie pulite, quelle buone che arrecano meno disagi all’ambiente e che
sembrano prendere sempre maggior diffusione, e consistenza. Un aspetto non
secondario, poi – anche se non sempre sufficientemente analizzato – è il ruolo che l’energia verde
può svolgere nel ridurre la dipendenza energetica dall’estero. Che, nel caso
dell’Italia, è un macigno che pesa, da una parte sulla bilancia dei pagamenti,
dall’altra sulla nostra autorevolezza a livello internazionale. E’ evidente,
infatti, che più è forte tale dipendenza (spesso nei confronti di Paesi
problematici o politicamente instabili), minore è la libertà di giudizio e di
azione in politica estera. A proposito di questi temi, mi è capitato di recente
tra le mani il buon libro di Luigi Rota e Marcello de Filippis, due giovani
economisti che hanno cercato di contemperare visioni diverse e non sempre
convergenti, quella dei produttori di energia e quella dei consumatori. Il
volume, edito da Uni Service, ha un titolo emblematico “ In green we trust. Il
verde è denaro” e presenta ad un potenziale pubblico di lettori una green economy che pare non incontrare più
(come invece accadeva qualche anno fa) limiti di crescita, arrivando finalmente
a generare guadagni per i produttori e
risparmi (forse) per i consumatori. Ma possiamo essere certi di
un’affermazione di questo tipo? E soprattutto questo entusiasmo attorno alle
energie verdi, è un fuoco di paglia oppure realmente il livello di avanzamento
della tecnologia è tale da apportare miglioramenti sostanziali ai nostri
contesti vitali “green”? E ancora, ci sarà il rischio di una bolla economica,
di proporzioni più grandi, dal momento che tuttora esiste una considerevole
quantità di persone che hanno scommesso in questo campo e continuano a farlo?
Come si può ben vedere il lavoro di Rota e De Filippis suscita più
interrogativi, più argomenti di dibattito che certezze, nonostante siano molte
le fonti e i dati presentati in questa pubblicazione, che ha inoltre il
pregio, nonostante forse sia più
destinata ai circuiti accademici, di poter essere apprezzata anche da un
pubblico generalista. “In green we trust” dimostra anche un altro aspetto che
rende questo lavoro degno di considerazione: dimostra che l’economia verde
comprende, non solo imprese attive nel comparto delle energie rinnovabili, ma
tutti quei soggetti che mostrano una particolare attenzione al tema della
sostenibilità e che attraverso l’adozione di azioni attenti alla salvaguardia
dell’ambiente contribuiscono alla sua diffusione all’interno della società. Ma,
soprattutto, rappresenta un’idea di futuro imprescindibile per affrontare la
crisi, dal momento che nel suo DNA contiene le stesse potenzialità che
contraddistinguono la green economy e che derivano soprattutto dalla sua
capacità di creare nuovi posti di lavoro e contribuire alla qualificazione
delle imprese esistenti. Potenzialità che interessano tutti i settori
produttivi: edilizia, tessile, agricoltura, allevamento di animali, depurazione
di acque reflue civili, trattamento dei rifiuti urbani e molti altri che non
possono che far bene alla nostra economia e, perché no… alla nostra coscienza!
(articolo apparso sul quotidiano Paese Nuovo del 13 maggio 2012)
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