«La Tuscia... A poco a poco, col volger degli anni, ho potuto godermela tutta, contrada dopo contrada, comprese le incantevoli propaggini maremmane. Ho potuto amarla nella sua multiforme unicità. Alla domanda a bruciapelo: “Cosa ricordi di più unico?”, la prima risposta sarebbe: “La Civita di Bagnoregio col suo lungo ponte”. Non è un caso se Paolo Carlucci le dedica un nucleo poetico tra i più squisiti dell’intero libro: “Un ciuffo di case / di mura in rovina / nere preghiere di vita / nel sole che muore”. E il canto seguita... Certo, soltanto in un tempo “unico”, “speciale”, “altro” rispetto al tempo banale, possono trascorrere ore come Le ore di Civita: “Nel tormento del giorno / nel lenzuolo di pietre / il calvario di luce / snida dal silenzio / il vento”. La seconda risposta sarebbe forse: “L’eccezionale abbinamento delle due splendide chiese medievali di San Pietro e Santa Maria Maggiore a Tuscania”, scosse dal terremoto di alcuni anni or sono. Ma leggiamo il poeta: “Tra questi sassi violati / dalla collera della Terra / stanno due chiese”. E poi: “Dilaga / dai rosoni / la luce”, che è anche luce del sacro. Il sacro irradia di sé tutto il luogo; e lo ritma la misura assorta e commossa dei versi: “Lasciatemi qui / tra questi calendari di tufo / tra queste vecchie rupi / sacre di millenni. // Qui stanno / solo le cicale / oranti nel sole”. Ottimo preambolo alle innumerevoli attrattive dell’arte e del paesaggio campestre, boschivo, lacustre, così intriso di storia, religiosa e profana. Onnipresente e fondante – come in musica un bordone o un basso continuo – la presenza magica e sacra del sostrato etrusco. Non è facile evocarla senza incorrere in richiami archeologici, in compiacimenti culturali. Ma Carlucci, per esempio, in questa agile ci riesce egregiamente: “Qui / dove il tufo si veste / di malva tra le macchie, / l’ombra sfuggente / della vita / ho visto guizzare / tra i cardi / l’odore del mare”. La Tuscia ha dunque trovato il suo poeta».
Dalla Prefazione di Emerico Giachery
Notturno alle mura di Viterbo
Vestali di pietra, cuspidi di un fuoco
stanno nella notte di luce
queste mura antiche.
Muto filare d'ombra di sassi
dall'incuria assassinati
tra l'erba e il cielo,
sotto il fuoco della memoria
di un pianto sereno di stelle
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