Annebbiata dall’alcol, tra sordide camere ammobiliate e rutilanti
caffè-concerto, Anna vede sfilare «i fantasmi di tutte le belle giornate
che sono esistite», mentre dentro di lei si allarga la crepa fra la
desolazione del presente e il ricordo del passato.
Anna Morgan
ha diciotto anni. Dalla Dominica è approdata in Inghilterra, dove per
mantenersi fa la ballerina di fila nei teatri, tutti uguali, di grigie
città tutte uguali. E tutti uguali – ipocriti e spietati – sono gli
uomini che incontra e che, indifferenti al suo bisogno di calore, la
trascinano in un abisso sempre più profondo. Annebbiata dall’alcol, tra
sordide camere ammobiliate e rutilanti caffè-concerto, Anna vede sfilare
«i fantasmi di tutte le belle giornate che sono esistite», mentre
dentro di lei si allarga la crepa fra la desolazione del presente e il
ricordo delle palme da cocco che «si piegano tortuose sull’acqua», della
«sensazione delle colline – fresca e bollente allo stesso tempo», del
paesaggio verde dove non c’è mai «un momento di stasi», dell’unica nota
«molto alta, dolce e penetrante» che lancia lo zufolo di montagna. Sino
alla lacerazione finale – che però contiene in sé la promessa di un
nuovo inizio: «Pensai a come sarebbe stato ricominciare da capo. Come
nuova. E alle mattine, e alle giornate di nebbia, quando può succedere
qualsiasi cosa. Ricominciare da capo, tutto da capo...». Forse lasciando
depositare tutto in un romanzo.
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