Quando nel 1979 scrisse il suo primo libro su «Gaia» – la Terra
interpretata come un organismo vivente in grado di autoregolarsi – James
Lovelock approdò sulle pagine dei giornali di tutto il mondo.
L’ipotesi, così radicale e dirompente, sembrò a molti un’idea assurda e
ben poco scientifica ma, dopo decenni di accesissime discussioni, è
diventata ormai un concetto saldamente attestato, sia nell’ambiente
scientifico sia nel pensiero comune.
«Novacene
contiene tutta la saggezza di un membro anziano della nostra tribù e il
breve tempo necessario per leggerlo viene abbondantemente ripagato» - Stephen Cave, «Financial Times»
Oggi James Lovelock festeggia un secolo di vita e sembra tutt’altro che
rassegnato a farsi da parte. In Novacene affronta infatti due dei temi
più attuali, inquietanti e complessi della contemporaneità: il nostro
rapporto con le macchine intelligenti e il destino della Terra. Secondo
Lovelock, l’Antropocene – l’era geologica in cui la nostra specie si è
dimostrata un fattore critico per l’intero pianeta – farà presto spazio
all’età successiva, il «Novacene», quella della collaborazione tra
l’uomo e le macchine. Nuovi esseri prenderanno forma dall’intelligenza
artificiale che noi abbiamo progettato. Penseranno 10000 volte più
velocemente dell’uomo e ci guarderanno forse con la stessa
condiscendenza con cui noi guardiamo le piante. Eppure – e qui sta il
guizzo del pensatore di genio – tutto questo non si trasformerà in un
incubo alla Terminator o alla Matrix, perché questi esseri
iperintelligenti sapranno (anche meglio di noi) di essere totalmente
dipendenti dal buon stato di salute del pianeta. Come noi, anche le
macchine avranno bisogno del sistema regolatore di Gaia per
sopravvivere, e dal momento che Gaia dipende dalla vita organica, sarà
loro interesse preservarla. C’è di più: il Novacene potrebbe essere
addirittura l’inizio della conquista dell’intero cosmo da parte di
un’intelligenza diffusa. L’alba di un nuovo universo.
Nessun commento:
Posta un commento