Avere una madre come Flora Wellman, stare accanto a una donna che
parlava di spiritismo ed era attaccata alla terra, deve pur aver contato
qualcosa per diventare "il migliore". Per diventare Jack London.
"Sono
il migliore" disse a bassa voce. "L'hanno scritto in molti: una
rivelazione, la nuova voce della letteratura americana". Con una
schicchera gettò lontano quel che restava della sigaretta, ne seguì il
percorso luminoso nel buio. Poi fissò la brace che per un po' rimase
ancora accesa.
Romana Petri ha raccolto una delle sfide più
fascinose che una scrittrice poteva intravvedere: quella di raccontare
la furia di vivere di un uomo che ha fatto il pugile, il cacciatore di
foche, l'agente di assicurazioni, il cercatore d'oro, che ha amato
l'ombra azzurra delle foreste e la smagliante solarità dei mari, che ha
guardato, ceruleo d'occhi e di pensieri, l'anima dei popoli in lotta e
il cuore delle donne. E qui le donne sono il vero motore del racconto:
la fragranza piccolo-borghese di Mabel, la concretezza di Bessie, il
fascino intellettuale di Anna Strunsky, la determinazione di Charmian
("essere molte donne in una"), l'insostituibilità della sorella Eliza.
Eppure Romana Petri non ha scritto una biografia: "Figlio del lupo" è un
romanzo che srotola il filo di una storia vera, così come è vera la
storia dei personaggi che abbiamo amato. E allora ecco sciorinate le
vicende di un uomo sospeso fra il rovello ispirato del grande narratore e
la voce dispiegata del socialista che vuol parlare, da rivoluzionario, a
sette milioni di lavoratori ma non rinuncia a farsi allacciare le
scarpe perché non ha tempo da perdere, sospeso fra il gioco dell'amore
promesso, vissuto, tradito sempre ad alte temperature e il tormento di
un fallimento incombente, malgrado il clangore del mondo e il fuoco alto
della fama.
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