La voce che ci accoglie all'inizio di questo romanzo confida che
fin da piccola, quando osservava lo scorrere dell'Oder, desiderava una
cosa sola: essere una barca su quel fiume, essere eterno movimento. È
questo spirito-guida che ci conduce attraverso le esistenze fluide di
uomini e donne fuori dell'ordinario, come la sorella di Chopin, che
porta il cuore del musicista da Parigi a Varsavia, per seppellirlo a
casa; come l'anatomista olandese scopritore del tendine di Achille che
usa il proprio corpo come terreno di ricerca; come Soliman, rapito
bambino dalla Nigeria e portato alla corte d'Austria come mascotte,
infine, alla morte, impagliato e messo in mostra; e un popolo di nomadi
slavi, i bieguni, i vagabondi del titolo, che conducono una vita
itinerante, contando sulla gentilezza altrui. Come tanti affluenti,
queste esistenze si raccolgono in una corrente, una prosa che procede
secondo un andamento talvolta guizzante, come le rapide, talvolta più
lento, come se attraversasse le vaste pianure dell'est, per raccontarci
chi siamo stati, chi siamo e forse chi saremo: individui capaci di
raccogliere il richiamo al nomadismo che fa parte di noi, ci rende vivi e
ci trasforma, perché «il cambiamento è sempre più nobile della
stabilità».
Nessun commento:
Posta un commento