Livio Zerbini insegna
Storia romana all’Università di Ferrara, dove dirige il Laboratorio di studi e
ricerche sulle Antiche province Danubiane. Ha insegnato in diverse università
europee, tra cui la Sorbona; attualmente è docente presso l’Università di Cluj-Napoca,
in Romania. Dirige due missioni archeologiche, in Georgia e in Romania, che
rientrano nel novero delle missioni archeologiche italiane all’estero del
Ministero degli Affari Esteri Italiano. Ha al proprio attivo numerose
pubblicazioni. Tra le più recenti: Storia romana. Dal 753 a.C. al 565 d.C.
(Bruno Mondadori 2011); Pompei (UTET 2012), I Romani nella Terra del Vello
d’Oro (Rubbettino 2012), Le guerre daciche (Il Mulino 2015), Roma. Un impero
alle radici dell’Europa (UTET 2015). Per Odoya ha già pubblicato Storia
dell’esercito romano (2014)
Roma non è stata certo
costruita in un giorno: tante battaglie, sviluppatesi nell’arco di secoli,
hanno reso possibile il consolidamento dell’Urbe all’interno del territorio
italiano e consentito a quello che fu un piccolo villaggio di pescatori di
diventare un Impero. L’estrema
elasticità di un esercito che non demordeva e anzi migliorava equipaggiamenti e
tattiche battaglia dopo battaglia è forse una delle chiavi di volta per capire
il successo delle armate romane. Che siano state vittoriose come la battaglia
che cambiò il nome della città di Maleventum nell’attuale Benevento e consentì
a Roma di conquistare definitivamente a discapito degli Epiroti, il sud Italia
(275 a.C.) oppure delle sonore sconfitte come la disfatta di Teutoburgo in cui
Varo perse le insegne affidategli da Augusto in persona (9 a.C.) e Roma temette
un’invasione germanica, le battaglie che Zerbini ha scelto accuratamente
rappresentano degli snodi nella storia dei nostri antenati. E se la stima
reciproca tra Scipione L’Africano e Annibale (che morirono anche nello stesso
anno e cioè nel 183 a.C.) costituisce parte di quegli aneddoti che rendono
interessante anche per il neofita la storia romana, l’esperto potrà inoltrarsi
alla scoperta del giavellotto che volle il console Gaio Mario all’epoca della
battaglia dei Campi Raudii (101 a.C.): “Mario ordinò di sostituire uno dei due
chiodi di ferro con un perno di legno, in modo che il giavellotto, una volta
conficcatosi nello scudo del nemico, non rimanesse diritto ma si piegasse nella
parte in ferro. Rimanendo inserito nello scudo non solo non poteva più essere
riutilizzato, ma appesantiva a tal punto l’arma difensiva del guerriero cimbro
da renderne impossibile l’uso.” Per i Teutoni si dimostrò, per usare un
eufemismo, una vera seccatura! Nell’incedere delle pagine, gli evocativi
scontri di fanti contro elefanti lasciano il posto al racconto di armi più
moderne come la cheiroballistra e dai domestici scontri tra Latini e Romani
(Battaglia del Lago Regillo 499 o 496 a.C.) si procede verso scenari ben più
esotici come quello del capitolo dedicato all’assedio della ribelle
città-fortezza zelota di Masada (73 d.C), che con il suo triste esito (gli
assediati si suicidarono in massa) diede inizio alla diaspora ebraica.
Interessantissimo poi l’esercizio di attribuire alle popolazioni sconfitte i
nomi attuali: le battaglie contro i daci sarebbero oggi degli scontri
geopoliticamente assurdi tra italiani e rumeni! Saranno i cosiddetti barbari a
erodere il mastodontico impero, scavandolo dall’interno come fece Arminio (che
aveva servito nelle fila dell’esercito romano per poi mettersi a capo dei
ribelli germanici) al tempo della battaglia di Teutoburgo, segno che qualsiasi
assetto politico che preveda un centro e un’immensa periferia, se non riesce a
garantire la convenienza per gli assoggettati, prima o poi è destinato a
perire.
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