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lunedì 2 agosto 2010

Se la colpa è di chi muore, di Fabrizio Ricci, prefazione di Beppe Giulietti (Castelvecchi). Intervento di Nunzio Festa
















Fabrizio Ricci è un giornalista perugino che ha seguito l’assassinio per mano del lavoro di Giuseppe Coletti, Tullio Mottini, Vladimir Thode e Maurizio Manili. Con “Se la colpa è di chi muore”, di conseguenza, e in virtù d’un’indignazione che non sconvolge la meticolosità professionale della ricerca, il giornalista Ricci mette insieme una ‘controinchiesta’ proprio sul disastro che mise termine, per mezzo d’un’esplosione assurda, il 25 novembre del 2006, a vite innocenti che sono ‘nient’altro’ che un tassello della lista nera e rossa di sangue portatrice dei 1300 nomi che scompaiono ogni anno nei cantieri italiani. Dell’elenco che abbandona famiglie e cari. La preziosa collana “tazebao” dell’editore Castelvecchi, dunque, accoglie un altro volume capace di portare a conoscenza del vasto pubblico e del pubblico più vasto, anche quello che non si scolla e/o incolla a seconda del volere della televisione di stato e contro-stato, la vicenda che dovrebbe aver sconvolto l’Italia intera e per più motivi. Innanzitutto, i fatti. Che i tre dipendenti della Manili si trovavano già da più giorni a lavorare presso, cosa che tra l’altro pure in passato avevano ripetuto, con il titolare dell’azienda (Maurizio) sui silos della Umbria Olii di Giorgio Del Papa di Campello sul Clitunno e per aver innescato un’esplosione grazie all’azione della saldatrice sono volati via e sono stati carbonizzati sul posto d’impiego. Che il fuoco era almeno pari a quello d’un petrolchimico e i silos, lo dimostra una delle foto contenute nel volume, sono volati per decine e decine di metri, come i quintali d’olio scappato hanno imprigionato il fiume Clitunno e inzuppato mortalmente i terreni agricoli dell’area. Che il processo dopo tre anni ancora sarebbe dovuto cominciare. Che il Del Papa, tramite mossa del suo avvocato, ha chiesto alla famiglie delle vittime e all’unico sopravvissuto della strage un risarcimento d’oltre 35 milioni d’euro: “se la colpa è di chi muore”: tutto questo normalmente dovrebbe accadere? L’inchiesta di Ricci, documentata e agganciata ai limiti o alle mancanze della legislazione sulla sicurezza del lavoro, come ugualmente al volere di chi per giunta queste leggi ‘speciali’ – in grado di diminuire l’impatto degli incidenti – puntualmente ostacola. Fabrizio Ricci, leggendo ogni variazione e tutta la regolarità del filo della cronaca, per mezzo d’un linguaggio semplice e appropriato, e persino la scelta d’aprire i capitoli con citazioni e passaggi buoni a sintetizzare quello che s’apprenderà in seguito, presenta a lettrici e lettori ogni tensione e tutta la rabbia di questo esempio che va a braccetto, dannatamente, con il massacro della Tyssen e altri ancora; ricordandoci che di certo, se si continuerà a seguire questa strada, i moniti di Napolitano non basteranno a stoppare la mattanza. In contemporanea, Ricci è stato bravo a far sentire ogni pulsazione emanata da un processo che va lento e procede a colpi di scena, fotografando un pezzo della realtà italica, il peso d’un imprenditore che rivolta l’indice dell’accusa su chi ha subito l’aggressione, i cavilli presi di mira in pezzetti di legge che invece d’essere presi quali salvaguardia del lavoratore e dell’azienda sono fatti sorbire alla maniera del vincolo allo “sviluppo aziendale”. Ciò che sembra, e che riporta il libro del giornalista, è quello che è. Perché l’attento giornalista ha fatto parlare documenti e atti, certezze documentate e non prese di posizione e di parte che sconfiggono il perseguimento della verità storica e, ci s’augura, giuridica, sempre e normalmente contrastata da molti soggetti. Siamo l’Italia. Da amare e da criticare.

Se la colpa è di chi muore, di Fabrizio Ricci, prefazione di Beppe Giulietti, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 187, euro 15.00.

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