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giovedì 26 giugno 2025

E prese fra le dita la notte di Daniela Stefanutto (Lindau)

Attraverso un’intensa narrazione polifonica, E prese fra le dita la notte ci restituisce i lineamenti, in apparenza sempre più a fuoco, ma nella realtà irrimediabilmente sfuggenti, di una vita perduta nel labirinto di una struttura concentrazionaria, specchio di una società repressiva.


«Quel pomeriggio ho voluto vedere il posto. Avevano gettato da poco la calce lungo la massicciata, proprio dietro la curva, prima che i binari prendessero lo slancio nel lungo rettilineo. Un imbuto che si andava via via assottigliando. Un punto di fuga visto dalla curva. Attorno erbacce, ortiche e qualche dente di leone, spuntato qua e là tra i sassi. Il giorno prima, alle ventitré e trenta, mio cugino era lì, seduto sulla massicciata. Indossava una camicia rossa e una cravatta nera. Si era lavato e sbarbato ed era uscito di nascosto, saltando dalla finestra della sua camera che si trovava al piano terra. Una settimana prima lo avevo incontrato davanti al tabaccaio. Ero lì per prendere le sigarette a mio padre. Non mi aveva visto subito, e io in un primo momento avevo fatto finta di non conoscerlo. Volevo risparmiargli l’imbarazzo. L’imbarazzo mio e il suo. Gli anni di psicofarmaci e gli elettroshock avevano marchiato il suo corpo. Indossava un impermeabile informe e stropicciato, che lo infagottava. Gli occhiali, una brutta montatura rettangolare di metallo, chiudevano il suo sguardo».


Storia di un individuo e di chi la narra, storia di un'Istituzione (il manicomio prima di Basaglia) e di un periodo storico, questo libro è un esempio riuscitissimo di docufiction: è il racconto di una ricerca sul campo, il diario di un'ossessione (quella dell'autrice per il cugino internato) e un romanzo corale in cui si intrecciano le voci di medici e internati, infermieri e testimoni involontari. Poco importa se alcune voci sono soltanto immaginarie. Nell'abilissima tessitura della narrazione tutto serve a restituirci i lineamenti di una vita perduta nel labirinto di una struttura concentrazionaria, specchio di una società perbenista e repressiva. Un antiromanzo eterogeneo, postmoderno.

Questa è la storia di una persona, Giuseppe, ma è anche la storia di chi la narra; è la storia di un’istituzione (il manicomio prima di Basaglia) e di un periodo storico. È il racconto di una ricerca sul campo (una vera e propria inchiesta) e il diario di un’ossessione (quella dell’autrice per suo cugino internato a San Servolo, il manicomio di Venezia); è un romanzo corale in cui si intrecciano le voci di medici e internati, infermieri e testimoni involontari




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