L’uso delle piante medicinali ha accompagnato l’uomo fin dagli albori delle prime civiltà, rappresentando, ancora oggi, una parte rilevante dei sistemi
di cura tradizionali in molte parti del mondo. Le fonti paleontologiche, archeologiche e storiche hanno documentato l’uso delle piante medicinali, in
Europa, già da parte dell’uomo di Neanderthal, circa 50.000 anni fa, in pieno Paleolitico. Migliaia di anni dopo, è noto che le civiltà mesopotamiche (Sumeri, Babilonesi e Assiri) possedevano delle conoscenze approfondite sulle piante medicinali, come documentato dal Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.). Risale a quell’epoca anche il Papiro di Ebers (XV secolo a.C.), nell’antico Egitto, fonte scritta di conoscenze botaniche e mediche riportante preparazioni erboristiche basate su centinaia di piante, delle quali circa un terzo ancora presente nelle farmacopee occidentali. La civiltà e la cultura mesopotamica ed egizia esercitarono una notevole influenza su quella greca, nella quale la filosofia si mescolava con le conoscenze mediche ed erboristiche. Tra i grandi studiosi greci ricordiamo Ippocrate e Aristotele, tra il IV e il III secolo a.C., per arrivare a Dioscoride (I secolo d.C.), da molti considerato il padre della farmacognosia e della fitoterapia, il quale influenzò enormemente tutto il pensiero scientifico dall’epoca romana fino al Rinascimento. Nell’antica Roma spiccano, tra tutti, Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) e Galeno (II secolo d.C.), quest’ultimo medico personale dell’imperatore Marco Aurelio e fondatore della scuola medica galenica. Dopo la caduta dell’Impero Romano, sono prima i Bizantini e poi gli Arabi a proseguire nello studio delle piante medicinali e della medicina in generale. La medicina bizantina (o meglio greco-bizantina) ebbe in Alessandro di Tralles (VI secolo d.C.) il suo principale esponente, mentre il persiano Avicenna (X secolo d.C.) lo fu per la cultura scientifica araba, i cui
scritti, resi noti attraverso le Crociate, contribuirono alla creazione della Scuola Salernitana, prima scuola medica in Europa. Nei primi secoli dopo Cristo,
inoltre, a seguito delle numerose e devastanti invasioni barbariche, le conoscenze scientifiche in Europa vennero conservate nei monasteri, nei conventi e nelle abbazie, anche con il fiorire dei ‘giardini dei semplici’, un’area, al loro interno, deputata alla coltivazione delle piante officinali. Infatti, in quell’epoca, le strutture monastiche si dedicavano all’assistenza medica dei pellegrini ammalati, coltivando le piante medicamentose nei loro orti e producendo rimedi erboristici. Tuttavia, durante il Medioevo, la fitoterapia fu anche vittima di superstizione e, pertanto, associata alla magia ed alla stregoneria.
Questo breve escursus storico ci conduce idealmente fino ai nostri giorni, che potremmo definire, a tutti gli effetti, ‘epoca farmaceutica’, nella quale
poco spazio è lasciato, almeno nei paesi ricchi occidentali, ai rimedi naturali basati sui prodotti erboristici e fitoterapici, lungi, in ogni modo, dal voler demonizzare la farmacologia e la farmaceutica moderna, verso la quale siamo tutti debitori. Basti solo pensare ai farmaci antitumorali e agli antibiotici, pur non tralasciando che molti farmaci moderni derivano proprio da sostanze naturali (circa il 25% dei nuovi farmaci registrati in tutto il mondo negli ultimi 40 anni). Alcuni esempi illustri sono l’acido salicilico (da cui è stato poi ottenuto il principio attivo del farmaco antinfiammatorio Aspirina) presente nella corteccia del salice (Salix spp.), gli alcaloidi (antitumorali) della vinca del Madagascar (Catharanthus roseus), la camptotecina (antitumorale presente nell’albero cinese Camptotheca acuminata), la podofillotossina (antitumorale da Podophyllum peltatum, pianta dell’America nordorientale), i taxani (antitumorali presenti in Taxus brevifolia o tasso del Pacifico, in America nordoccidentale), il chinino (antimalarico ricavato dalla corteccia dell’albero andino Cinchona spp.), l’artemisinina (antimalarico da Artemisia annua), gli analgesici (morfina, codeina) del papavero (Papaver somniferum) e i glicosidi digitalici cardiotonici (digossina e digitossina) della digitale (Digitalis purpurea). Non dimentichiamo che anche gli antibiotici derivano da sostanze naturali, sebbene di origine microbica e non vegetale, come ad esempio le penicillina prodotta da miceti del genere Penicillium. Da questi pochi esempi è possibile affermare come la natura sia ancora il più grande laboratorio di sintesi chimica presente sul pianeta, al quale dovremo ancora attingere ed ispirarci per la cura delle malattie trasmissibili e non trasmissibili. Bisogna ricordare, inoltre, che l’uso delle piante medicinali e, più in generale, la medicina tradizionale, rappresentano ancora oggi il cardine dell’assistenza sanitaria in moltissime parti del mondo (soprattutto in Africa, Asia e Sud America), dove la disponibilità e l’accesso ai farmaci convenzionali sono ristretti o assenti. Questo non implica uno scarso interesse verso i rimedi naturali nel mondo ricco occidentale, al contrario.
Negli ultimi anni si è assistito, anche in Italia, alla riscoperta delle piante medicinali e dei prodotti erboristici, considerati utili ai fini di migliorare le condizioni fisiologiche dell’organismo, soprattutto nei soggetti sani. Il fenomeno è anche dimostrato dai dati economici sugli integratori alimentari che, nel 2020, attribuiscono all’Italia la quota di mercato più alta in Europa, pari al 26%. Tali prodotti spesso si associano a stili di vita salutistici, come una sana e corretta alimentazione e una moderata e regolare attività fisica.
Complice di tale rinnovato interesse è anche (o forse soprattutto) l’enorme avanzamento, negli ultimi anni, delle conoscenze scientifiche sulle piante
medicinali e sulla fitoterapia. Per quanto riguarda la ricerca clinica, le sostanze naturali si studiano con il medesimo rigoroso approccio metodologico dei farmaci, soprattutto in termini di accuratezza del disegno sperimentale negli studi sull’uomo. Questo fa delle scienze erboristiche una disciplina moderna basata sulle evidenze scientifiche, al pari della medicina, in grado di validare, caso per caso, l’efficacia clinica di rimedi naturali il cui utilizzo per determinati disturbi si tramanda da generazioni come bagaglio di conoscenze tradizionali.
Date le premesse, Il Ricettario Erboristico Moderno si colloca nello scenario descritto come testo di riferimento per gli appassionati e gli studiosi di erboristeria, così come per i neofiti che vogliano approcciarsi al mondo delle piante medicinali. Gli autori, Thomas Easley e Steven Horne, esperti e rinomati professionisti negli USA, nonché membri di associazioni nazionali ed internazionali di erboristeria, offrono una visione ampia e moderna del mondo delle piante medicinali, non tralasciando, nei primi 12 capitoli, tutti gli aspetti introduttivi legati alla raccolta ed essiccazione delle piante, alle tecniche estrattive dei principi attivi e alla preparazione in termini di formulazione e dosaggio. Solo avendo una buona conoscenza dei suddetti aspetti, si potrà arrivare ad un prodotto erboristico ricco di composti fitochimici bioattivi (‘dalla pianta al formulato’). Infine, nell’ultimo capitolo, sono riportate le informazioni su numerose piante trattate singolarmente relativamente alle proprietà, le formulazioni e i dosaggi.
In conclusione, tale testo contribuirà sicuramente ad accrescere il bagaglio culturale di ciascuno sulle piante medicinali, accrescendo o creando la consapevolezza che i rimedi erboristici non sono farmaci per la cura delle malattie, ma possono contribuire a migliorare lo stato di benessere dell’organismo in una popolazione sempre più longeva. Qualora utilizzati in associazione con le terapie convenzionali, dietro prescrizione medica, potranno aumentare l’efficacia di queste ultime, riducendone eventualmente gli effetti avversi e contribuendo a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Nessun commento:
Posta un commento