Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di
un altro. La metamorfosi continua della specie, che nasce contadina,
diventa proletaria e poi borghese, e poi chissà. L’esodo e la deriva,
dalla montagna alla pianura, dal borgo alla periferia, dalla provincia
alla metropoli. Il tempo che scorre, il passato che impasta il destino,
la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare
per sempre, l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e
gabbia dei desideri. È questo il paesaggio in cui vivono e muoiono i
Sartori da quando il primo di loro fugge dall’esercito dopo la ritirata
di Caporetto e incontra una ragazza in un casale di campagna. Fino ai
giorni nostri, quelli di una giovane donna che visita la tomba del suo
bisnonno. Quattro generazioni, dal 1917 al 2012, dal Friuli rurale alla
Milano contemporanea, dalle guerre mondiali alla ricostruzione alla
globalizzazione, dal lavoro nei campi alle scrivanie delle
multinazionali. È circa un secolo, che mai diventa breve: per i Sartori
contiene tutto, la colpa, la vergogna, la rabbia, la frenesia, la stasi.
Sempre la lotta e quasi mai la calma, o la sensazione definitiva della
felicità. Ma i Sartori non ne hanno bisogno, e forse non ci credono
neppure nella felicità. Perché se ogni posto nel mondo è una merda, è
meglio imparare a vivere, e stare lì dove la vita ci manda.
Romanzo
storico e corale, vasto ritratto narrativo del Novecento italiano, forse
il primo di uno scrittore sotto i quarant’anni, il racconto dei Sartori
affronta il fardello di un’eredità che sembra andata in malora. Se gli
errori e le sfortune dei padri ricadono sui figli, come liberarsene?
Esiste una forza originaria capace di condannare una stirpe alla
solitudine? La risposta a queste domande è nella voce di un secolo
nuovo, e nello sguardo di chi si accinge a viverlo.
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