Simile a una busta che custodisce un dispaccio giunto da un luogo
lontano, la copertina che stringete tra le mani contiene un lungo
messaggio inviato a una donna amata, e con lei a tutti i lettori. Questo
libro è una lettera d'amore. Come in tutte le lettere più riuscite, fra
le sue righe si conserva una limpida traccia della voce di chi l'ha
scritta: la voce di John Berger, che qui risuona in tutta la sua
calorosa intelligenza, in tutto il suo desiderio di condividere storie e
sguardi. L'amore che racconta è svelamento sensuale, mutuo accudimento
di fragilità, superamento dei confini individuali. In quest'arte sottile
dello sconfinamento, l'amante John Berger si scopre vicino a chiunque
sia impegnato ad attraversare una frontiera. A chi migra dal proprio
paese, gettando le fondamenta di una nuova casa nel molle terreno
dell'altrove; ad artisti come Caravaggio o van Gogh, che vivono
un'identificazione metamorfica e sessuale con la materia della pittura; a
una lucciola, il cui bianco bagliore sembra provenire da una dimensione
remota, invitandolo a varcarne la soglia. L'amore di John Berger è un
porsi in bilico tra animale e umano, tra vita e assenza, tra eternità e
impermanenza. Tra ora e non più. E i nostri volti, amore mio, leggeri
come foto è forse il libro più generoso di un generosissimo scrittore,
perché è il più intimo. È la scoperta di come «non ci sia discorso più
pubblico e politico, più radicalmente comunitario, di quello sui
sentimenti», e la meravigliata dimostrazione che chi ama, come chi
guarda, modella eternamente il reale, ridisegnando in ogni istante il
fuggevole profilo del mondo.
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