Libro postumo, libro testamento – ma anche «intrepido e scherzoso libro
di vita», debordante di «frasi sconnesse come in sogno», di «idee allo
stato grezzo», formato di «resti della demolizione di un'anima» e di
«estasi provvisorie» –, Un soffio di vita mette in scena due
personaggi (l'Autore e la sua creazione, o creatura, Ângela) che
dialogano affrontando tutti i temi sui quali la Lispector si è
incessantemente interrogata: le parole, il tempo, il mondo, la storia,
la preghiera, gli esseri viventi e quelli inanimati. Infine: la grazia.
La scrittrice non nasconde affatto le sue intenzioni e, perentoria come
sempre, esordisce: «Voglio scrivere movimento puro». Quel che si
propone, infatti, non è una stesura coerente, una trama qualsivoglia,
bensì il definitivo esorcismo dell'indicibile. Quando compone gli ultimi
frammenti, le è stata diagnosticata una malattia mortale, e la morte
pervade questo testo, che lei stessa confessava essere stato «scritto
nella sofferenza». Olga Borelli, l'amica-assistente che per otto anni le
è stata vicina, annotando i suoi pensieri e battendo a macchina i suoi
manoscritti, ha affermato che Un soffio di vita doveva essere il suo «libro definitivo», scaturito com'è «da uno slancio doloroso che lei non era in grado di trattenere».
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