Propongo un giovanissimo
amante della Poesia. Nel ritmo e nell’invettiva carico di ardore, malevolo in
alcuni punti, ma feroce e spietato contro una società sempre più alla deriva.
Lui è Federico Lenzi… (Stefano Donno)
Osservateli
attentamente, e che la loro immagine non vi abbandoni,
sia conficcata dai
pugnali della colpa nei vostri miseri cuori;
essi sono,
incappucciati, pronti per essere portati sul patibolo,
lungo una via da tutti
percorsa ma che impegnati a chinare il capo
abbiamo dimenticato
come osservare, di un boia
che tutti accettiamo, un
buon pastore che ci guida,
con in mano un bastone
per spianarci la strada,
talvolta percuoterci
quando beliamo troppo forte,
ed i nostri lamenti si
tramutano in urla, e da bestiali,
con inesplicabile
metamorfosi, divengono pianti quasi umani;
sulla spalla invece, il
vil padrone abbigliato con le nostre pelli,
porta la dannata
carabina baciata dallo spietato cuore di Marte,
cartucce che sempre
saranno guidate da Apollo
che diresse il dardo di
Paride, già inserite in canna.
Morte pronta per essere
sprigionata
se una di noi divenisse
abbastanza aggressiva
da non poter più essere
chetata con il semplice bastone.
Innocenti, come tutti i
condannati a morte,
quei vecchi saggi
attendono,
ma non mostrano paura o
risentimento alcuno,
addirittura, forse, una
paterna comprensione
nei confronti dei
figli, messi alla luce dai figli,
figliati da colore che,
in tempo immemore, gli diedero vita
stringendo con essi
l’antico accordi della sopravvivenza.
Ma l’uomo, come ormai è
noto ai figli che mai abbandonarono
il seno materno, è
inguaribile spergiuro,
e coloro che stringono
cappi di plastica attorno ai nodosi colli
altro non sono che
colonizzatori, disposti a siglare accordi con i Cheyenne,
a chiamarli fratelli
fino a quando non troveranno differente ristoro
per le membra, da
sostituire a quello elargito generosamente dai nativi.
Ed è questo che essi
sono, nativi,
il cui unico crimine è
quello di essere nati in un suolo sul quale una serpe,
con l’animo annerito di
petrolio e denaro, ha puntato gli spregevoli occhi,
iniettato il potente
veleno del consumo e dell’ignoranza,
e che forse un giorno
si proclamerà eroe,
addirittura santo in
seguito al martirio,
sacrificio commesso per
un bene inesistente,
a dirla tutta, inutile,
mai voluto da alcuno se
non le sporche mosche ingorde d’oro
che ronzano attorno ad
un pezzo di carta come fosse delizioso nettare,
ma, andiamo, ch’io non
sia volgare, tutti sappiamo
ciò con cui le mosche
amano cibarsi.
Essi rimangono lì, e lo
faranno
Fino a quando saranno
in grado di resistere,
spartiati guidati da
chissà quale Leonida,
uniti assieme agli
Arcadi ed ai Corinzi,
destinati questi a
fuggire sotto le cariche persiane.
E rimarranno unicamente
loro,
soli, contro nugoli di
frecce di asce e barre di piombo
e metano.
Biografia - Mi chiamo
Federico Lenzi, classe ’01. Questa è quanto di più semplice mi vien fatto di
scrivere su di me. Tutto il resto mi appare banale o poco interessante per chi
legge. Ho iniziato a scrivere un paio di anni fa, cimentandomi inizialmente
nella prosa, successivamente nella poesia, vincendo, con immensa gioia, un
concorso di poesia organizzato nel 2017 dalla brindisina associazione Jonathan,
impegnata in una accesa lotta sociale a
tutela dell’accoglienza e dell’immigrazione, tematiche a mio parere scottanti,
in questi tempi offuscati dall’ombra di una ingiustificata paura che reca
l’infame vessillo di un’ancor più infame razzismo. In seguito ho partecipato ad
un paio di Poetry Slam nei quali ho tentato di confrontarmi con tematiche
sociali, quali l’indifferenza del comune sentire innanzi alla povertà, o la
necessità di una rivoluzione pacifista incentrata sugli ideali dell’anarchismo
sviluppato da grandi pensatori del ‘900 quali Errico Malatesta.
Presentazione di Canto
Votivo - Canto Votivo vuole essere il
mio grido di protesta nei confronti di
un sistema ormai marcescente disposto, pur di agevolare i soliti pochi
profittatori che si impinguano
nutrendosi della sofferenza degli uomini, a porre fine alla vita di esseri
innocenti, gli ulivi in questo caso, privi della possibilità di difendersi.
Viviamo, ahimè, in un’epoca in cui la religione del consumo conosce come unico
dio il denaro, divinità tiranna e capricciosa al pari di quelle create in epoche
andate. Vi furono, un tempo, quelle infami spedizioni chiamate crociate:
oggi l’orrore muta veste restando
intrinsecamente fedele a sé stesso. Se allora gli innocenti furono gli arabi,
colpevoli unicamente di occupare un territorio sul quale la Chiesa aveva esteso
le proprie mire occhi, oggi la palma del martirio spetta a madre natura
genitrice prodiga quanto rinnegata da troppi dei suoi figli. Ho voluto dar voce
ad un dissenso che non limita il suo
oggetto solo al il gasdotto Tap, ma coinvolge
lo scempio dell’habitat naturale dell’umanità tutta, spogliato della propria dignità, utilizzato nel
migliore dei casi come pattumiera, nel peggiore come territorio da sfruttare al
massimo ed abbandonare una volta divenuto utile. Mi rivolgo soprattutto agli
abitanti del Sud Italia, vittime spesso di soprusi simili. Per secoli stranieri
hanno invaso il nostro territorio, i Romani utilizzandolo come riserva di
grano, così come è stato fatto anche dagli spagnoli. Ci troviamo in un’epoca
avanzata in cui la democrazia dovrebbe regnare sovrana, anche se nella maggior
parte dei casi così non è, e la maggioranza ha stabilito che la Tap è
un’inutile crimine. Adesso è necessario dire basta.
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