Il volume “E libera non nacqui” di Eliana Forcignanò (iQdB edizioni di Stefano Donno – collana Salento d’Esportazione) sarà presentato dall’editore Stefano Donno il 20 agosto alle ore 20,00 nell’ambito della Rassegna Li Santi Lumi presso la Libreria Ubik di Maglie in via Roma 51.
“La poesia
di Eliana Forcignanò è attraversata da un concerto di voci differenti che
s’intersecano in un equilibrio armonico, oppure si puntellano a vicenda in un
controcanto che dà al lettore un senso di vertiginosa precarietà,
rispecchiando, in questo modo, l’esibito disagio interiore dell’autrice. Al
‘referto’ di una lucida e spesso cinica autoanalisi («Misurando a passi slabbri
l’ego / calcolando senza voglia l’ipse / trovo netta questa solitudine») si
sovrappone la naturale inclinazione per una postura iniziatica, coltivata,
credo, attraverso la lunga confidenza con la scrittura di Claudia Ruggeri, cui
è dedicata la poesia che apre la raccolta; al frammento, usato come veicolo di
fulminanti agnizioni, si oppone un andamento ragionativo che arriva persino, a
un certo punto, a distendersi nei tempi lunghi della prosa; accanto al culto
della madre («perdonami se vi confondo nel pensiero, se trasformo te in una
divinità, se quasi mi prostro ai tuoi piedi e ti dedico inni aspersi con
l’incenso»), si sviluppa il tema della sessualità, vissuta come
congiunzione/profanazione («Corri! Le mani gli occhi i seni scorri / con il tuo
ventre sul mio»; «Spolverami le spalle con un ramo di bosso / graffiamele
quando gli alberi sono tetri / quando si chiude sulle mie nebbie la sera / e tu
vorresti sottrarmi la malinconia / per tesserne una veste leggera»); a un ritmo
‘jazzato’ fa da contrappunto una predominante intonazione elegiaca, col conseguente
recupero di arcaismi e di un armamentario retorico ora intenzionalmente desueto
e classicheggiante (penso, per esempio, all’overture larga, ‘proemiale’, della
sezione De_siderea), ora baroccamente sovraccarico di «sillogismi ascensionali»
e di snervanti allitterazioni ai limiti della cacofonia («e ride il re ride
radioso rappezzando i rimasti rostri», «permettimi pavore quando persa»;
«ruvidi riottosi rasposi per rancori», «…agli stuporosi stupri / del sole
segnanti aspri scrigni»,ecc.). In questo suo continuo gettar semi per poi
nasconderli, è come se l’autrice volesse invitare il lettore nel suo giardino
privato, che è assieme lucente e tetro, e cioè nella parte di sé più segreta;
ma poi è come se innalzasse attorno a quel giardino, per complicarne o
comprometterne l’accesso, un intricato groviglio di rovi. Nella confessione di Il
mio gioco è farvelo credere, per esempio, Eliana Forcignanò chiarisce che
l’urgenza della sua poesia è giustificata e sorretta da un’istanza che non è di
ordine intellettuale, ma sensuale; e che la cogente necessità di quest’ultima
non può che essere depistata, per una sorta di pudore, attraverso lo schermo
della prima, oppure attraverso il paziente esercizio della scrittura: «e la
strada della scrittura la percorro / per tacere il vuoto della fede in te / dio
della secca che mi trascini / contro lo scoglio e mi scavi la notte»; «Non
scrivo di getto / m’inforco il verso all’uncinetto / scavo nelle asole i
bottoni / mi cucio addosso le ossessioni». I continui rimandi a un repertorio
filosofico e psicoanalitico (autori, temi, lessico: Kant, eone, Kierkegaard,
darwinismo, Zenone,il prediletto Jung, ecc.) funziona, allora, più che come
vezzo stilistico o ricerca di punti fermi, come un’ulteriore e rassicurante
maschera dell’io, che se da una parte rinvia il momento della sua ostensione
piena e completa, dall’altra permette all’autrice di prolungare il ricamo
attorno al vuoto del suo privato e annientante ‘inferno’:«che mi manca un dio
si sente / per venerare la pienezza di questo dissolversi». (Simone Giorgino)
iQdB
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