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sabato 3 novembre 2012

Rosso totale, di Fabio Calenda (Laurana). Intervento di Nunzio Festa



Il ’68 non basta. Leggete e rileggete, se volete perdere tempo, gli alluvionali saggi dei sessantottini pentiti, cercate e cercate ancora le prodezze letterarie da pensionati di quelle e quelli convinti che come il Sessantotto l’han fatto loro: nessuno mai. Pippe e racconti morenti, vi prenderete. Ma se volete andar, almeno per una volta, un po’ più in alto, acchiappate il romanzo di Fabio Calenda, “Rosso totale”. E qui, finalmente, troverete un’opera pura, letteraria. Molto meglio, decisamente, della scrittura della compagna Luna. Intanto. Ma partiamo, per una volta, dalla scrittura. Perché qui il miracolo risiede. Nel senso che Calenda, tranne che nei pochi episodi dove mette in evidenzia giudizi che avrebbe potuto continuare a ‘celare’, usa le parole con meticolosità. Ma, ché questo di certo non basta, sfruttando il metodo delle voci ossessionanti; ovvero Fabio Calenda, tra un dialogo e il successivo, posteggia il pensiero e le parole e le opere dei personaggi che ha preso (la personalità), quando questi sono soprattutto figure femminili. Ricorrendo, anche, alla fantasia della voce esterna. Soprattutto quando deve darci, e il gioco gli riesce perfettamente, gli ambienti. In quanto, si deve sapere, questi sono estremamente importanti nella storia. Allora la trama che se ne va per Roma, non sarebbe più che la Capitale se non entrasse in alcuni quartieri popolari, però innanzitutto nelle tane dei Parioli e simili della borghesia. Qui nascono e vivono, infatti, i giovani che l’autore vede fare rivolta. Tra soldi dei genitori, ma siamo fino al ’78 anziché nell’interminabile e brevissimo ’68 delle proteste tante, e il patto con la violenza suggellato con la firma sulle armi. La borghese Patrizia e il borgataro Michele, in tutto ciò stan dentro. Sono un pezzettino, in pratica, della meglio gioventù. Quella, va detto, che sbaglia e pagherà ma che anche non si fermerà nell’ovatta del proprio stato sociale d’appartenenza. (Vedi Colotti, diremo senza voler esser o sembrar offensivi). Davvero lo scrittore, che oggi vive nel Salento ed è nato a Parigi, riesce a renderci perfettamente il quadro delle situazioni. Nel romanzo c’è tutto. In Rosso totale, titolo tra l’altro perfetto, troviamo praticamente tutti i temi. Le origini, i rapporti famigliari e d’amore, le scelte vitali e la politica vera – tutta quanta - . Quando la lotta armata cresce e poi muore. Per l’ennesima volta, non possiam che usare la definizione di De Luca, su quegli anni: che furono, appunto, anni di rame. Visto che Calenda con l’astuzia dello scrittore di razza ci dice sostanzialmente la capacità di trasmissione, i contagi degli anni Settanta. Per fortuna dopo il meraviglioso anno. La prosa dell’autore omaggia un contesto. Sentendo bene e male. Alla fine, in effetti, non può che giungerci l’epilogo in sostanza solamente riscritto da Calenda. Le donne e gli uomini che fecero politica ogni giorno, mentre l’amore magari gli scorreva accanto e dovevano guardare sempre ai princìpi, sono davvero carne e ossa nel romanzo. Han fatto il carcere, in diversi. Eppure aveva rabbia e coraggio da muovere. Ricchi e poveri che fossero. (E qui è bravo ancora l’autore a ridirci della differenza d’approccio derivante dalle origini). Pure con le armi s’è provato a cambiare il mondo.  

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