Il ’68 non basta. Leggete e
rileggete, se volete perdere tempo, gli alluvionali saggi dei sessantottini
pentiti, cercate e cercate ancora le prodezze letterarie da pensionati di
quelle e quelli convinti che come il Sessantotto l’han fatto loro: nessuno mai.
Pippe e racconti morenti, vi prenderete. Ma se volete andar, almeno per una
volta, un po’ più in alto, acchiappate il romanzo di Fabio Calenda, “Rosso
totale”. E qui, finalmente, troverete un’opera pura, letteraria. Molto meglio,
decisamente, della scrittura della compagna Luna. Intanto. Ma partiamo, per una
volta, dalla scrittura. Perché qui il miracolo risiede. Nel senso che Calenda,
tranne che nei pochi episodi dove mette in evidenzia giudizi che avrebbe potuto
continuare a ‘celare’, usa le parole con meticolosità. Ma, ché questo di certo
non basta, sfruttando il metodo delle voci ossessionanti; ovvero Fabio Calenda,
tra un dialogo e il successivo, posteggia il pensiero e le parole e le opere
dei personaggi che ha preso (la personalità), quando questi sono soprattutto
figure femminili. Ricorrendo, anche, alla fantasia della voce esterna.
Soprattutto quando deve darci, e il gioco gli riesce perfettamente, gli
ambienti. In quanto, si deve sapere, questi sono estremamente importanti nella
storia. Allora la trama che se ne va per Roma, non sarebbe più che la Capitale se non entrasse
in alcuni quartieri popolari, però innanzitutto nelle tane dei Parioli e simili
della borghesia. Qui nascono e vivono, infatti, i giovani che l’autore vede
fare rivolta. Tra soldi dei genitori, ma siamo fino al ’78 anziché
nell’interminabile e brevissimo ’68 delle proteste tante, e il patto con la
violenza suggellato con la firma sulle armi. La borghese Patrizia e il
borgataro Michele, in tutto ciò stan dentro. Sono un pezzettino, in pratica,
della meglio gioventù. Quella, va detto, che sbaglia e pagherà ma che anche non
si fermerà nell’ovatta del proprio stato sociale d’appartenenza. (Vedi Colotti,
diremo senza voler esser o sembrar offensivi). Davvero lo scrittore, che oggi
vive nel Salento ed è nato a Parigi, riesce a renderci perfettamente il quadro
delle situazioni. Nel romanzo c’è tutto. In Rosso totale, titolo tra l’altro
perfetto, troviamo praticamente tutti i temi. Le origini, i rapporti famigliari
e d’amore, le scelte vitali e la politica vera – tutta quanta - . Quando la
lotta armata cresce e poi muore. Per l’ennesima volta, non possiam che usare la
definizione di De Luca, su quegli anni: che furono, appunto, anni di rame.
Visto che Calenda con l’astuzia dello scrittore di razza ci dice
sostanzialmente la capacità di trasmissione, i contagi degli anni Settanta. Per
fortuna dopo il meraviglioso anno. La prosa dell’autore omaggia un contesto.
Sentendo bene e male. Alla fine, in effetti, non può che giungerci l’epilogo in
sostanza solamente riscritto da Calenda. Le donne e gli uomini che fecero
politica ogni giorno, mentre l’amore magari gli scorreva accanto e dovevano
guardare sempre ai princìpi, sono davvero carne e ossa nel romanzo. Han fatto
il carcere, in diversi. Eppure aveva rabbia e coraggio da muovere. Ricchi e
poveri che fossero. (E qui è bravo ancora l’autore a ridirci della differenza
d’approccio derivante dalle origini). Pure con le armi s’è provato a cambiare
il mondo.
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