“Baltica 9 Guida ai misteri d’oriente” è un libro di Daniele
Benati e Paolo Nori, edito da Laterza nella Collana Contromano (2008, pagine
172, € 10,00), che ho letto lo scorso luglio perdendomi in questa immagine: la Russia senza più la Russia. Non conoscevo
Benati. Di Nori avevo letto qualche pezzo in qualche giro internettiano. La
penna sembra una sola… Per la riuscita del libro è cosa buona. Pure cosa buona
è che sia andato giù nel caldo ammorbante di quest’estate -non ancora finita (è
il 29 agosto mentre scrivo)- come una birra ghiacciata. Come una Baltica 9,
appunto. Una birra che si può bere tentando di penetrare nei misteri d’oriente.
Una birra che in occidente non ho trovato. E, proprio come una birra (cui sono
seguite altre birre), la scrittura anomala di questa anomala guida torna su:
con un bel rutto. Niente di volgare. Nessuna violazione del bon ton. Come
quello di un bambino dopo il pasto che gli fai l’applauso. Non c’è pericolo di
rigurgito. Un rutto secco e pieno, fragoroso, senza nessuna enfasi, di quelli
che ti liberano lo stomaco dalle bollicine superflue e ti lasciano dentro un
lieve stordimento: quel leggero senso di svagamento e soddisfazione che ti fa
vedere le cose come sono e ci ridi sopra. Di gusto. Ch’è vero che dopo alcune
pagine “Vi piomberà addosso un cupore e una cupitudine e una cupetaggine simile
a una disperatezza d’animo che non vi aveva mai colto prima. Non sappiamo dirvi
perché. Ma sarà così e non bisogna voltargli le spalle nel modo più assoluto a
questa disastrosa rovina del vostro umore perché la vita è fatta anche di
questi momenti”, ma poi ci penserà quello di Masone con la sua sfiga che genera
scene in movimento esilaranti a farvi tornare il buon umore. Che i guai degli
altri spesso ci salvano… E, poi, se non bastasse, è sufficiente entrare nel bar
strapieno di avventori e ascoltarli parlare e cogliere in quel linguaggio tutta
la vita del mondo e un po’ di letteratura… Ché la tristezza l’hai vaporizzata
fuori, trattenendo del viaggio all’Est traverso le pagine di questo libro una
specie di smarrimento e una stilla di curiosità. Ché i russi mi mancano. Non li
ho letti. A parte qualche frammento di conoscenza obbligata e Michail
Afanas'evič Bulgakov del quale, oltre tutto, mi piace pronunciare e ripetere a
voce alta il nome per esteso. Sbagliando la pronuncia, ovvio. Nonostante
“Baltica 9”.
Ché in questo libro ch’è una guida senza patente dove ci sono notizie che non
si trovano in nessun’altra guida di quelle che se chiedete all’edicolante una
guida di una città vi dà una guida di quella città ci sono anche esercizi di
pronuncia. Ma, soprattutto, mi mancano quegli spazi da sempre immaginati chiusi
per quanto infiniti e che non riesco ancora a concepire aperti per quanto
finiti. Mi mancano quelle frontiere. E le doganiere in divisa. E, in fine,
pensandoci, se a un sentimento devo pensare (come mi suggerisce l’ultima
pagina), non è paura di quel mondo, com’era e com’è diventato, che provo, ma
anelito di guardare quella luce da un punto più vicino al suo nascere. Questo
è. Forse. Avvicinarmi a quel mistero. Che, forse, è padre di tutti i misteri
d’oriente. Anche di quelli, svelati e nascosti, in “Baltica 9”.
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