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martedì 3 luglio 2012

In libreria “Di bellezza non si pecca eppure …” (TRILOGIA DI IDRUSA) di Marthia Carrozzo. Con illustrazioni di Ever Trip (Edizioni Kurumuny). Prefazione di Lello Voce


Nuovo ritratto in versi di Marthia Carrozzo, di quella che fu, nella penna della Corti, la più bella donna di Otranto, capace di calamitare, al suo passaggio, ogni singolo sguardo, diviene, in questa Trilogia di Idrusa, appunto, un purissimo richiamo all'acqua che ne computa il nome, senza dimenticare il sale, stemperando in suoni, in echi di quel mare da cui nasce e a cui torna e vuol tornare, la forza d'un canto di guerra e d'amore, che ingaggia un corpo a corpo col mondo intorno, col mondo tutto con cui vuole e sa dialogare, ricercando in esso, come in un unico grande banchetto totemico, la pelle amata. "Sei brace azzurra, luce lattea che mi scalda. / Che fa ferita, che mi scuce e appresta a resa. / Sei la ferocia della pelle sulla pelle. / Il credo unico che sgrani tra i miei seni". Un poemetto per voce e fiato, che sfugge agli occhi che ne inseguono il ritmo incalzante sulla pagina scritta, che nella pagina non vuole e non sa stare, irriverente e viva, "fatta d'arcobaleno" come fu la bella Idrusa, che di bellezza fa il suo baluardo, la luce che ne ammanta le movenze e ne assolve ogni colpa, perché, citando l'inusuale titolo di quest'opera: Di bellezza non si pecca eppure. E di bellezza, allora, non pecca, ma osa, Idrusa, al limite della colpa, se colpa vi sia in faccende d'amore, perché non si possa mai dire di lei che non abbia vissuto, che non abbia tentato e creduto. Un canto di vita, questa Trilogia di Idrusa, sensuale, di una sensualità cosciente cui già ci aveva abituato Marthia Carrozzo, nel suo scrivere del corpo senza lesinare parole, ma usandole e osandole, nominando, come nella Genesi biblica, in una scelta lessicale attenta e accurata, mai casuale, ogni parte, ciascuno dei sensi con il nome che gli è proprio. Un canto che riprende la modalità formulaica degli antichi rapsodi, perché alla poesia spetti il tornare al proprio ruolo, centrale, di cassa armonica di un sentire comune. Perché Idrusa è Idrusa, certo, ma è tutte e ciascuna insieme: creature, donne e uomini, al cospetto del proprio stesso corpo, per imparare da lui solo le leggi di un sapere troppo spesso messo a margine. «Ogni verbo è prima nei nostri muscoli, che nella nostra lingua», dirà meglio Lello Voce, nella Prefazione, e allora, anafore, allitterazioni, ripetizioni incalzanti sembrano suggerirci, lungo lo svolgersi per Stanze di questo piccolo poema, la necessità estrema di riappropriarci del nostro suono, della nostra capacità di dirci e consegnarci in una voce che non sia vuoto e flebile assenso, ma consapevolezza piena di sé in ogni piega del nostro sentire e mostrarci, così come per l'Idrusa d'antica memoria ("non mi lasciava mai la volontà d'essere bella"). "Solo per smettere, soltanto, e non mentire. / Per non mentire, mentre ancora è troppo presto." Ciò che se ne coglie è, allora, «Una litania di lussuria e abbandono, di libertà e desiderio, una serenata al rischio e all’acrobazia, una melopea per ogni abbandono e per ciascuna ribellione». (Lello Voce), perché Eros è fuoco purissimo, mai volgare, che parla unicamente alla bellezza e la bellezza, come la bella Idrusa, procede scalza di piedi e voce a dirci il «Peso specifico del mare nell'amore», a mostrarci che è ancora possibile.

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