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martedì 20 dicembre 2011

Gymkhana-Cross, di Luigi Davì con prefazione di Sergio Pent e postfazione di Giuseppe Lupo (Hacca); Peccatrice moderna di Carolina Invernicio (Avagliano); Il porto dell'amore, di Giovanni Com’isso con prefazione di Nico Naldini (Longanesi). Intervento di Nunzio Festa

























Spesso Tq parla e ha parlato di libri e d'autori dimenticati. E della necessità di ridarne stampe. Cosa, tra l'altro, che a primo impatto e specie in giornate pienissime di stampe apparirebbe addirittura dannoso; ma ovviamente così non è. Come è dimostrato da tre editori che in questi mesi hanno ripubblicato opere interessantissime, per varie ragioni e forme: Hacca, Avagliano, Longanesi. Ma partiamo appunto dalla prima, perché la casa maceratese, seguita dalla consulenza 'novecentesca' e dotta d'Andrea Di Consoli e grazie al legame con Giuseppe Lupo, nella collana Novecento.0 custodisce, e s'appresta a custodire (fra non molto spunterà persino Ottiero Ottieri) opere che il finire del Novecento, appunto, ha fatto finire d'intensità. Prendiamo, per dire, la raccolta di racconti Gymkhana-Cross dello scrittore-operaio - o dovremmo 'capovolgere' i termini? - Luigi Davì. Libro edito per la prima volta nel 1957 nei "Gettoni" enaudiani di Vittorini. Vergati da un autore di ventotto anni che parlava del suo mondo, dell'officina. Dell'officina e degli operai. Persino di quelli "brutti". Oltre che, naturalmente, forse "sporchi e cattivi". Nei tempi del lavoro. Similmente attrarverso e attraversando il dopolavoro. Ma con una penna/lingua che è semplice, anzi molto articolata e rimirata dallo scrittore prima di farsi intensa pietra e brevissima descrizione quasi di tono minimalista. In tono, di certo, realista. Appoggiata a sensazoni direttamente viste e immaginate nelle letture americane, di quelli Usa delle lettere tanto amati da Vittorini e Pavese. Chi non aveva mai letto Davì resterà folgorato. Anche quando non apprezzerà la mistura fra abbozzo e scena teatrale. Perché il libro è indimenticabile, quindi imperdibile, dunque giustamente rilanciato. Marchionne fra parentesi - è ovvio. Uno dei romanzi più famosi di Carolina Invernizio, quel "Peccatrice moderna" che è esemplare per comprendere le ragioni che portavano tale Antonio Gramsci a contestare la scrittrice nata a Voghera e che esordì nel 1876 esce invece da Avagliano. Autrice di libri d'appendice, commerciali, rosa, Invernizio potrebbe essere paragonata un po' a Liala e un po' a Sveva Casati Modigliani. Ma le puttanizie che quest'opera ormai antica ci danno, sono materiale che permette di ragionare sui mondi del popolo. Infatti al pari dei comportamenti usati per le telenovela, tante persone, donne soprattutto, hanno ascoltato i sussulti di Sultana Nigro, moglie d'avvocato e traditrice per passione e tendenza. La protagonista d'un romanzo che va tra desideri e meschinità. Apparso nel 1924 dopo una lunga gestazione e ristampato nel 1928 col titolo "Al vento dell'Adriatico", "Il porto dell'amore" è infine il primo libro in prosa pubblicato da Giovanni Comisso. Oggi ridatoci grazie alla Longanesi seguita da Valentina Fortichiari. "Libretto carnale e febbrile che avvampa e trascolora è appena un libro ed è ancora una malattia. Arte legata alle primavere del sangue, al corso delle stagioni e delle temperie: poco più di un rabesco, il diagramma di una vita rovesciata sulle cose...", fece dire Il porto dell'amore al vate Dannunzio. Qui abbiamo un Commisso che guarda al paesaggio  e al paesaggio umano. Oltre che all'impresa di Fiume. Ché vide Giovanni Commisso fare assalto, come è noto. Per questo testo la premessa di Naldini fa tantissimo. Insegna un contesto, il contesto storico. Ma in specie quello letterario. Dunque Il porto dell'amore con Peccatrice moderna e con Gymcana-Cross non potevano restar morti ammazzati.

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