"Ho trovato Antonio che mi veniva incontro. Gli ho sorriso mentre lui cercava le chiavi nella tasca.
Avevo l’animo leggero. Ero sopravvissuta. Potevo ritenermi soddisfatta. Non avevo perso il mio confessore, il mio amico, avevo trovato un uomo. Dovevo accettarlo, come lui con le sue lacrime aveva fatto con me. Pensavo che ormai era tutto finito. La giornata più lunga della mia vita si stava concludendo. Quando ho sentito il frastuono dell’incensiere che cadeva, ho capito che tutto era finito per sempre. Ho sentito una voragine, aprirsi nello stomaco, fino a bloccare i polmoni. Ho sentito la consapevolezza della fine che incombe. Mi sono voltata per correre in sacrestia. Pochi metri lunghi come una vita. L’ho immaginato. L’ho visto. Come in un sogno. Ancor prima di vederlo. Don Eupremio, come mio padre. Per terra. Bianco in volto. Una mano sul petto. Il silenzio. Quello che ti fa fischiare le orecchie."
Dal mito classico alla psicanalisi moderna, la terrificante immagine di Medusa ha sempre rappresentato la pericolosità e l’angoscia del “femminino”, la cui insondabile e ambigua forza distruttiva – di qualsiasi abito si vesta – disarma l’uomo e lo fa soccombere.
Questi racconti, spesso sottilmente surreali, ci portano in storie inquietanti le cui protagoniste mietono vittime impreparate e inermi a volte consumando una loro crudele privata vendetta, a volte per calcolo spietato, altre rivendicando semplicemente il diritto ad esistere
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