Gli anni Sessanta sono stati per gli U.S.A. un decennio di grande fermento, un periodo che comprende la crisi di Cuba, l’incredibile situazione in Indocina (Vietnam, Cambogia, Laos) e le tante azioni di spionaggio della CIA, mentre attorno viene attestandosi, il mostruoso potere dei mass-media che riescono a manipolare le notizie e le menti della gente. È tutto un mondo dove ciò che non si condivide lo si riversa nella rivoluzione psichedelica, nella liberazione dell'individuo, nell'abbandono della società, nella non-violenza, nel misticismo, ed è in questo mondo che nasce la poesia “beat”, un universo altro dove la fanno da padroni l'idealismo e l'individuo di Whitman, la libertà, la fuga-esilio nella natura di Thoreau, le soluzioni comuniste e comunitarie in campo economico e sessuale e le utopie socialiste come quella di R. Owen. Un multiverso dove c’è posto per l'Oriente, l'io-tutto dello Zen e il “flower power”, il potere dei fiori, dove tutto si ibrida in un facile ottimismo non-violento concretizzato nell’uso libero di droga, nel sesso e nelle religioni orientali. E dunque la Beat Generation è l’emersione di tutto questo e molto di più in un movimento socio-culturale estesosi a tutta una popolazione giovanile d'America e d'Europa che diventa da subito contro/cultura e contro/tendenza. Un caratteristica nota di questo movimento, a chi si occupa di letteratura e poesia, è stata senza ombra di dubbio la stampa underground, quella sotterranea come il Greenwich Village Voice a New York e l'Oracle e la City Lights Books di Ferlinghetti a San Francisco. Una stampa forse di “regime alternativo” principalmente incentrato sulla propaganda contro la guerra del Vietnam e che fece incrementare nel ’67 il numero di tali giornali che invasero la California. Individuiamo due filoni principali di questi free press: quello della New Left, Nuova Sinistra, e quello dell'attivismo non-violento. Questo è parte del mondo beat, è il sotto/livello antropologico di quel coarcevo di idee, slanci, sregolatezze e furori che nutrivano quella galassia di storie e vite, quello di Kerouac, Burroughs, Ginsberg, questo è il mondo che io ho visto nei versi di Anastasia Leo. E naturalmente si tratta di un giudizio di valore soggettivo che come tale deve rimanere per due o tre considerazioni che andrò sviluppando. Dunque mi sottraggo volutamente ad un’analisi che sappia di verità assoluta. Nella Poesia, è tutto finzione, è tutto un gioco di specchi che così deve rimanere, per non perdere della sua malevola bellezza. Il primo aspetto (tale da rendere questa raccolta singolare) è che Anastasia Leo sia un’adolescente, e come tale non si può e non si deve parlare di una sua poetica, perché non ne ha e non può averla alla sua età. Per questioni di vissuto soprattutto non di tecnica poetica che ha già reso sua. Fare il contrario sarebbe una cattiveria immensa nei suoi confronti perché non le si darebbe lo sprone a cercare la sua identità, ovvero che tipo di poeta vuole diventare - lirico, tragico, satirico etc, etc - o non diventare!. Secondo aspetto, il suo fare versi è frutto di una manducazione costante e onnivora di classici della letteratura e della poesia mondiali da Rimbaud, Baudelaire, Lautremont sino ai cantori della Beat Generation e molto molto di più, che le ha permesso di trovare il respiro, il ritmo della sua poesia, insomma di mettere al mondo un organismo poetico che sin da subito ha saputo nutrirsi famelicamente dei suoi guizzi migliori. Sempre ad oggi, ovviamente. Terzo aspetto, Anastasia Leo, è figlia d’arte, e questo per lei è un “demerito” perché agli occhi di molti cultori delle lettere, potrebbe apparire un inevitabile conseguenza di discendenza “nobiliare” tra gli allori delle genealogie poetiche di queste latitudini. Ma posso dire che si sbaglia e di grosso. Era inevitabile che Anastasia diventasse una sacerdotessa della Poesia, inevitabile come lo può essere il sorgere e il tramontare del sole, o la morte. Perché Anastasia Leo, diventerà una grande poetessa, se solo donerà tutta se stessa alla Vita, e alla Poesia, perché queste due Parche, tutto chiedono a chi a loro si consacra, e tutto pretendono. Ad Anastasia dedico questo augurio per la sua Poesia, che le servirà da lanterna anche nell’oscurità più totale:” Se vuoi tutto devi sacrificare tutto, ma non per sempre” (Georges Ivanovič Gurdjieff). Del suo modo di procedere per/versi non posso che dire questo: la sua lingua è asciutta e precisa come una composizione geometrica. Il suo vedere, è uno sguardo inquieto restituito da una scrittura brulla, scorrevole ed essenziale, formalmente ( e superficialmente solo per chi non coglie le sue profondità già abissali) dimessa. Il montaggio poetico dei versi è una consecuzione di episodi il cui principio ordinatore è la poiesi stessa, lo spostamento dello sguardo, la variazione del punto di vista, in un “metissage” di esperienze e situazioni dalla suggestione profonda. Il resto … scopritelo voi! (Stefano Donno)
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