“Se
c'è molta luce, possiamo fingere di non vedere./ C'è tantissima luce. Non
possiamo fingere di non vedere.” // Il raffinato discorso poetico di Sándor
Halmosi si fa sempre più fibroso, le sue “schegge” appaiono nei luoghi più
inaspettati, altre volte il corpo pulsante della poesia è lacerato e incrinato.
Basta toccarne la superficie, per percepire la nostra “vita patchwork”. Ne
trarremo il meglio, se ci ferisce. In ogni poesia c'è uno spazio vuoto che
appartiene solo a noi, al lettore. Il marchio distintivo di Halmosi è una
percezione del mondo sottilmente moderna e spirituale. Una poesia precisa che
misura in modo affidabile la densità angelica. (András Visky)
APOKRIF
- Traduzione dall’ungherese Györgyi Gyetvai e Gianmaria D. Eletto
NERETVA
- Traduzione dall’ungherese di Ágnes Kenéz
In
copertina e nel libro illustrazioni di István Fábián
Una trama intessuta di ricordi distorti e oscuri misteri farà luce sugli inquietanti meandri della mente di Rebecca. Le pagine di questo romanzo sono pervase da una suspense travolgente. Proprio come la porta per entrare a St Oswald, quando aprirai questo libro, sarà impossibile chiuderlo.
Rebecca ha vissuto anni duri per arrivare dov'è ora. È la nuova rettrice di St Oswald, una scuola in cui le donne, fino a poco tempo prima, non avevano nemmeno il permesso di entrare. Di certo non dall'ingresso principale. Adesso, invece, è Rebecca a decidere chi entra e chi esce. I suoi progetti, come lei, sono ambiziosi, ma quando un fantasma del passato riappare proprio in quei corridoi, la minaccia di perdere tutto è troppo grande. Nella sua storia c'è un segreto inconfessabile che mette a repentaglio una vita che Rebecca ha impiegato gli ultimi trent'anni a ricostruire. Trent'anni senza suo fratello. Trent'anni passati a cercare una risposta. Trent'anni segnati da un'inquietante presenza, quella di un ragazzo che, senza mostrare il suo volto, non ha mai smesso di tormentarla. La nuova rettrice non ha altra scelta: deve tenere il passato fuori da quei cancelli. Ma deve anche fare attenzione perché ci sono cose che sono lì dentro da sempre. Dopo "La scuola dei desideri" e "La classe dei misteri", Joanne Harris ci porta ancora una volta a St Oswald. Una trama intessuta di ricordi distorti e oscuri misteri farà luce sugli inquietanti meandri della mente di Rebecca. Le pagine di questo romanzo sono pervase da una suspense travolgente. Proprio come la porta per entrare a St Oswald, quando aprirai questo libro, sarà impossibile chiuderlo.
Nell’agosto del 1942 Rachel Bespaloff sbarca a New York: inizia così il suo esilio americano, attraversato da una profonda nostalgia per la Francia. Alla patria perduta sono dedicati gli scritti raccolti in questo secondo volume delle opere: una lunga lettera d’amore indirizzata alla cultura francese, culla di valori inalienabili quali onore, coraggio, nobiltà. Charles Péguy, Georges Bernanos, Antoine de Saint-Exupéry, nonché i maestri del classicismo tragico Racine e Corneille sono i testimoni di un umanesimo che Bespaloff considera l’unico antidoto alla barbarie nazista che pervade l’Europa. Mentre il Vecchio Continente sprofonda nel «culto dell’orgoglio» delle mistiche nazionali, Bespaloff riflette su un’altra idea di appartenenza, elaborando un’originale posizione sionista. Gli orrori del conflitto mondiale impongono una domanda radicale: quanto conta la saggezza costruita dall’Occidente «nelle situazioni in cui l’uomo perde la facoltà di sentirsi uomo, in cui si trasforma in un oggetto superfluo, votato alle distruzioni meccaniche»? Meditando sul mistero dell’opera artistica e poetica, capace di imprimere una forma al caos, Bespaloff contrappone alla violenza del mondo un’etica della creazione fondata sull’istante, quel tempo decisivo in cui l’essere umano sceglie di assumere su di sé i rischi della libertà. Il volume contiene anche i due saggi pubblicati postumi, nel 1950, su Montaigne e Camus: testamento di una filosofa raffinata la cui eredità è ancora tutta da scoprire. Introduzione di Cristina Guarnieri.
Una guida sentimentale per cercatori di funghi e di ricordi, che ci regala tutto lo stupore della prima volta in cui i cani tornano scodinzolando e in bocca hanno un tartufo.
«Certi funghi che hai trovato, quattro anni fa o quaranta, se chiudi gli occhi li rivedi nel dettaglio. Perché proprio quelli, fra migliaia, non lo sai: ti ritornano in sogno, come divinità di un attimo preciso». Andare a funghi è camminare con uno scopo. E anche questo libro è una camminata, che comincia quand’è ancora buio e finisce quando il buio sta tornando. È la storia di due fratelli che seguono le orme del padre nel bosco, esplorandolo in tutte le stagioni, tra le querce o nelle faggete. È la condivisione di un alfabeto naturale. È insegnare ai cani il segreto del tartufo, e allenarli ad arrivarci senza lasciare traccia. Ecco, i posti esatti non li saprete mai: è l’unica condizione di questo racconto. Ci sono valli da tanto e valli da poco. Quella di Sandro e suo fratello è una valle da poco, almeno secondo loro. Non ha montagne famose né attrazioni turistiche, ma boschi, ombre, angoli umidi e segreti. E poi, sottoterra, tesori preziosissimi. Mentre Pietro esplora quella valle tutti i giorni, passo passo, insieme ai cani (perché lui di tartufi ci vive), Sandro ha deciso di tornarci per un po’, per provare a ritrovarsi cercando. Perché ad andar per funghi qualcosa succede sempre: una pesca miracolosa che entrerà nell’epica familiare, la sorpresa di una fungaia nuova proprio quando ci si era persi d’animo, i silenziosi e lancinanti duelli tra cercatori… Storie strambe, misteriose, intime, nascoste fra le foglie e dietro i massi proprio come i porcini. Nel bosco i due fratelli riscoprono l’intimità dei gesti e dei corpi: ridono, corrono, ritrovano parole dell’infanzia che possono essere dette solo in quell’intrico di sentieri, tronchi e muschi. Parlano di soldi, di lavoro, dei problemi di tutti i giorni come di quelli del mondo. Aspettano il temporale, maledicono la siccità che li spinge a faticare il doppio, si preoccupano di nascondere la jeep per evitare che qualcuno la veda lungo la strada, fanno la guerra ai cinghiali e alla loro astuzia nello scovare le tartufaie, ammutoliscono se vedono passare una cerva poco più in là. In questo libro sussurrato e commovente, Sandro Campani scava tra le radici con profondità e spensieratezza.
I racconti presenti nella raccolta sono come elisir preparati con stelle frantumate nel mortaio del cervello. Bevande capaci di trasportare il lettore verso quella sottesa trascendenza a cui i personaggi nella loro semplicità cercano di aspirare.
Danilo Di Prinzio è nato nel 1972 a Guardiagrele, antico borgo alle pendici della Majella, Danilo dice di aver bruciato una laurea in filosofia prima di iniziare a lavorare per un’impresa di costruzioni, lavoro durante il quale approfitta delle pause per scrivere; ha pubblicato i suoi racconti e poesie presso varie riviste letterarie.
Una scia di violenza che non si ferma e che è impossibile ignorare. Un libro per ricordare le vittime e i casi più noti avvenuti nel nostro paese.
Quella dei femminicidi è una piaga che purtroppo non accenna a fermarsi. Quasi quotidianamente i media danno notizia di omicidi che hanno come vittime le donne, spesso uccise da mariti, compagni, ex o familiari: una scia di sangue che non manca di suscitare sgomento e rabbia a ogni nuovo caso. Bruno De Stefano racconta i femminicidi che più hanno segnato l'opinione pubblica italiana, analizzandoli e rilevando le zone d'ombra tralasciate dagli esiti processuali. Da Giulia Tramontano a Melania Rea e Yara Gambirasio, da Saman Abbas a Chiara Poggi, da Agitu Ideo Gudeta a Giulia Cecchettin: una raccolta di casi brutali e scioccanti a testimonianza di un complesso fenomeno sociale tanto grave quanto radicato. Una scia di violenza che non si ferma e che è impossibile ignorare. Un libro per ricordare le vittime e i casi più noti avvenuti nel nostro paese Tra le storie citate: Giulia Tramontano; Elisa Claps; Saman Abbas; Yara Gambirasio; Chiara Poggi; Giulia Cecchettin; Simonetta Cesaroni; Carol Maltesi; Melania Rea; Chiara Poggi.
Dissi loro che avrei voluto essere una vedova. «Ho l’impressione che, quando divorzi, tutti si chiedano come hai fatto a rovinare tutto, cos’ha reso così insopportabile stare con te. Se tuo marito muore, almeno la gente è dispiaciuta per te.»
Maggie sta bene. Anzi, non è mai stata meglio. Certo, è al verde, la sua carriera accademica non sta andando da nessuna parte e il suo matrimonio è durato solo 608 giorni, ma alla veneranda età di ventinove anni, Maggie è determinata ad abbracciare la sua nuova vita di Divorziata Sorprendentemente Giovane™. Ora ha tutto il tempo che vuole per dedicarsi a ben nove hobby, mangiare hamburger nel letto alle 4 del mattino e “rimettersi in gioco” dal punto di vista sessuale. Con il sostegno della sua severa professoressa, Merris, della sua amica, anche lei appena divorziata, Amy, e della (immancabile) chat di gruppo, attraversa il suo primo anno di vita da single, uscendo a intermittenza e svegliandosi occasionalmente sul pavimento. Ma soprattutto mettendo ogni cosa in discussione, compreso: Perché ci sposiamo ancora? Ho fallito prima ancora di iniziare? Quante abbuffate notturne ci vorranno prima che io sia felice?
Paul Rosenfeld, figlio unico di genitori ebrei, il giorno del suo nono compleanno scopre che il padre non abiterà più con loro. Impara ad aspettare le sue visite sempre più rare, tanto che il suo volto gli si cancella quasi dalla memoria. Instaura con la madre un rapporto totalizzante, che si incrina quando lei lo «tradisce» con un nuovo amore. Da quel momento Paul trascorre più tempo a Czernowitz con il padre pittore, che sfoga nel bere la frustrazione di essere artista ed ebreo in un mondo che fa sempre più fatica ad accettare entrambe le cose. Allo smarrimento emotivo e alla solitudine di Paul fa da controcanto la tensione drammatica di un’Europa che si affaccia sul baratro della Seconda guerra mondiale. La vicenda privata di una famiglia, con le sue ferite e i suoi vuoti incolmabili, diventa allora lo specchio in cui si riflettono la paura e lo sgomento di un intero popolo, la follia che di lì a poco innescherà la tragedia dell’Olocausto.
Bruce Hunter: la ricostruzione in poesia di frantumi di vita e di storia - Bruce Hunter, un’identità letteraria poliedrica, frutto dell’incontro tra molteplici richiami storici misti a un interesse tangibile per la quotidianità, secondo una prospettiva didattica volta all’osservazione puntuale. Attraverso innumerevoli apparizioni antologiche di poesia e anche di prosa, l’autore canadese intende ricercare gli indizi e riunire i tasselli di esperienze presenti e passate in frantumi. Simili ricordi di vita e di storia altrui vengono resi sulla pagina mediante una voce sommessa, proiettata alla valorizzazione, pur nella concisione di una rappresentazione scritturale che non manca mai di essere attenta alla frammentarietà più profonda, insita in quelle stesse schegge di memoria. (Angela Caputo)
«Lo zio Antoine è morto martedì, vigilia di Ognissanti, probabilmente intorno alle undici di sera. Quella stessa notte Colette ha tentato di buttarsi dalla finestra».
Ha un incipit brusco e drammatico questo romanzo (scritto, caso più unico che raro nella vasta produzione di Simenon, in forma di diario), che ci immerge nell’atmosfera soffocante di una città di provincia – universo angusto e abitudinario, con le sue rigide gerarchie sociali, i suoi riti immutabili e, soprattutto, il peso schiacciante dello sguardo altrui sul destino degli individui. Attraverso il racconto dell’autore del diario, «un mediocre soddisfatto», e tuttavia capace di una visione lucida e disincantata della realtà, Simenon amplia l’orizzonte narrativo e mette in scena, come lui solo sa fare, la rappresentazione tragicomica della famiglia Huet, dilaniata da conflitti latenti e malcelati rancori, da rivalità e tradimenti. In attesa delle esequie dello zio, e soprattutto dell’apertura del testamento, verranno alla luce fragilità e solitudini, ambizioni e frustrazioni, meschinità e bassezze – ma anche, per una volta, virtù morali, e perfino eroismi.
Piccoli gioielli della letteratura in lingua francese, questi due testi si dimostrano divertenti, filosofici e commoventi allo stesso tempo, capolavori di stile, semplicità e naturalezza.
Nel 1790, mentre presta servizio nell’esercito piemontese, Xavier de Maistre è punito per aver duellato e viene messo agli arresti domiciliari per quarantadue giorni. Quarantadue saranno anche i capitoli del suo libro di memorie, Viaggio intorno alla mia stanza, a cui farà seguito Spedizione notturna intorno alla mia stanza. In questi due testi, che raccontano la clausura attraverso la prospettiva, apparentemente paradossale, del viaggio, l’autore trova una dimensione originalissima e felice, in cui le restrizioni della stanza, lungi dal porre limiti al vagabondare del protagonista, offrono continue occasioni di narrazione. Ogni oggetto apre vie di fuga per esplorare con ironia sentimenti e opinioni e rievocare con tenerezza e pudore i ricordi che affiorano. Proponendo una parodia discorsiva e maliziosa della scrittura di viaggio, Xavier de Maistre dimostra con umorismo impareggiabile quanto si può esplorare anche senza partire per luoghi esotici. Un’opera innovativa, che ebbe un’immensa popolarità all’epoca e che in seguito avrebbe influenzato Victor Hugo e Marcel Proust e avrebbe suscitato ammirazione in Nietzsche e Machado de Assis, Ossian e Susan Sontag.
Relazioni, rotture e cuori infranti di una generazione alle prese con la sfida più grande: sopravvivere all’età adulta.
Trentacinquenne con il sogno di diventare uno stand-up comedian di successo, Andy è un’anima che gira a vuoto. Da quando la sua ragazza l’ha lasciato, ha in testa mille domande su di sé, ma una più delle altre lo tiene sveglio e lo sballotta per le strade di Londra: perché l’unica donna che abbia mai davvero amato se ne è andata così, dall’oggi al domani? Senza più una casa, Andy si trasferisce prima dalla madre e poi nella camera degli ospiti di una coppia di amici, e intanto divaga: giorno e notte si abbandona a gratuiti esercizi mentali, compila lunghe liste di dubbi su Jen, sulla fine della loro relazione, sperando così di sciogliere il mistero dei propri insuccessi e di riuscire a voltare pagina. Tra fallimenti professionali, grotteschi tentativi di riallacciare i rapporti con ex fidanzate dei tempi della scuola, sbronze sconsolanti e coinquilini complottisti ultrasettantenni, capirà che per uscire dalla prigione della propria nostalgia e diventare finalmente l’adulto che si è sempre rifiutato di essere, dovrà mettere in discussione tutto quello che credeva di sapere sulle donne, su se stesso e sull’amore. Con l’ironia e l’acume che l’hanno resa un’autrice di culto in tutto il mondo, Alderton torna alle origini e mette in scena relazioni, rotture e cuori infranti di una generazione di uomini e donne alle prese con la sfida più grande: sopravvivere all’età adulta.
Coltivare la compassione,
abbracciare le avversità, formare la mente: l’insegnamento millenario che può
liberarci dalla sofferenza.
Una mente allo stato
brado tende a ferire chiunque si trovi nel suo raggio d’azione ed è fonte di
grande sofferenza, anche per noi stessi. Domarla è quindi il primo passo per
conoscere la propria vera natura e riconnettersi con gli altri, cosa che richiede
un grande lavoro interiore. È per questo che si può dire ci sia qualcosa di
eroico nell’intraprendere il cammino di liberazione per diventare degli esseri
illuminati. Ma come fare? Jetsunma Tenzin Palmo dà la sua saggia risposta in
questo libro, offrendo il prezioso commento a uno dei testi classici del
buddhismo tibetano a lei più cari, Le trentasette strofe sulla pratica di un
bodhisattva di Thogme Sangpo. Le sue spiegazioni e i suoi consigli danno così
vita a una guida che invita a comportarsi come dei veri bodhisattva (colui che
aspira all’Illuminazione con l’intento di aiutare tutti gli esseri senzienti a
liberarsi dalla sofferenza e dalle sue cause), permettendoci di fare tesoro
della compassione in modo autentico ed essere così fonte di liberazione per noi
stessi e per gli altri.
Jetsunma Tenzin Palmo
(Londra, 1943) è autrice, insegnante e fondatrice del monastero di Dongyu
Gatsal Ling Nunnery nell’Himachal Pradesh in India. Avvicinatasi al buddhismo
già in adolescenza, a vent’anni si è recata in India per ricevere gli
insegnamenti e divenendo così una delle prime donne occidentali a essere
ordinata monaca. Ha vissuto per dodici anni in una grotta remota dell’Himalaya,
come raccontato ne La grotta nella neve di Vicki Mackenzie. Nel 2008 S.S.
Gyalwang Drukpa, capo del lignaggio Kagyu, le ha conferito il titolo di
Jetsunma (Venerabile Maestro).
Ecco
una nuova singolare pubblicazione dal titolo significativo “Dagli
antichi altari al culto di Satana” a cura di Antonia Depalma e Vincenzo
de Lisio Collana Universo del Mistero diretta da Mario Contino (I
Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno). Antiche pratiche,
talvolta basate sul bisogno di una conoscenza più autentica, sono state
assoggettate ad un relativismo temporale che ha modificato, di
generazione in generazione, l'agire, ed ha integrato un simbolismo
sempre più ampio distaccandosi, talvolta, dagli usi più arcaici in
favore di nuovi approcci. Questo volume si pone come manuale per la
conoscenza storica e simbolica, a fini investigativi nell'ambito della
criminogenesi e della criminodinamica, analizzando le correnti che
caratterizzano il mondo dell’iniziatico e dell’occulto che, nella sua
complessità, ha dato origine a forme devianti e che talvolta diventa il
protagonista di scenari di cronaca nera.
«La prospettiva che potesse essere tutto vero, che stessi davvero aiutando Marco nelle indagini sul caso di una ragazza scomparsa, per un attimo mi ha fatta sentire viva come non mi sentivo da tanto tempo.»
Se la sorte ti ha riservato un parto trigemellare, meglio prenderla con umorismo. Forse è per questo che Valentina Bronti, trentenne, torinese, una carriera messa tra parentesi, ha scelto per le sue tre bambine i nomi di Emilia, Carlotta e Anna, come le celebri sorelle Brontë.Conservare alto l’umore non è così facile per Valentina, una vita incastrata tra illusori tutorial sulle pulizie domestiche e una relazione fallimentare con Marco, il padre delle bimbe che si è ritirato a dormire nello sgabuzzino. Finché un giorno viene convocata all’asilo perché le tre piccole pesti hanno tentato la fuga trascinando con sé una compagna. Davanti alla direttrice, c’è un’altra mamma: Chiara Barberis. Altezzosa e severa, Chiara lascia in Valentina una strana impressione. Un’impressione confermata dalla scoperta che si tratta proprio di «quella» Chiara Barberis: la sorella di Elisa, la ragazza scomparsa inspiegabilmente dieci anni prima, quasi inghiottita dal buio di una Torino che da sempre ha fatto del mistero il suo secondo volto.È così che Valentina si ritrova in una storia piena di ombre e bugie. Con un entusiasmo e una sagacia sorprendenti, prima di tutto per lei, si tuffa nelle strade, nei palazzi signorili, negli atenei della città, improbabile ma tenace investigatrice. Ciò che Valentina scoprirà di Elisa, di Torino e soprattutto di sé stessa è la materia spumeggiante di questo romanzo, capace di tratteggiare un personaggio attualissimo in cui convivono senso di inadeguatezza, acume e un’ostinata vitalità.
Alla fine del xix secolo, convivono due mondi opposti. Da un lato, l’opulenza e lo splendore. Dall’altro, i peggiori vizi dell’uomo: alcol, denaro e sesso. È su questo confine, nel cuore del famigerato Triangolo Nero, che una ricca famiglia cerca di affermarsi pretendendo di liberare la città dalla corruzione. Gli Stallworth, guidati con pugno di ferro dal loro patriarca, l’influente e implacabile giudice James Stallworth, coadiuvato dal figlio Edward, predicatore dai sermoni incendiari, e dal genero Duncan Phair, giovane avvocato dalla carriera promettente, hanno un piano impeccabile: estirpare il male annientando una famiglia di corrotti e criminali: gli Shanks.
Ambientato in una Sicilia asfittica e mitologica, solcata da cieli accecanti e ceneri nere, Marabbecca è un romanzo visionario che pone domande cruciali sull'identità: su cosa significa dire “io” e sulle collisioni con l'altro che in qualche modo raccontano chi siamo davvero.
Come la Marabbecca, personificazione nel folklore siciliano dell'oscurità e delle insidie dell'inconscio, leggendo ci si muove in un buio sfavillante, illuminati solo dalla luce lunare della scrittura, fino al vertiginoso finale.
Certe persone scelgono le parole come si caricano i fucili. Per ottenere qualcosa di fatale. E noi, noi che parliamo mossi dalle emozioni – mossi dalla vita – cadiamo al colpo di quelle parole come bestie atterrate dai cacciatori.
Un pomeriggio di fine estate Clotilde e Igor, dopo essersi lasciati, hanno un incidente d'auto. Lei rimane ferita, lui finisce in coma. Mentre veglia sul suo sonno impenetrabile, Clotilde inizia a ricevere visite della ragazza responsabile dello schianto, una fragile studentessa di ornitologia di nome Angelica, e tra loro nasce un rapporto indecifrabile e intenso. Quando Igor sì sveglierà dal coma—radicalmente trasformato eppure immutato nella sua indole violenta— la sua presenza logorerà l'equilibrio precario delle due donne: nello spazio magico e claustrofobico di una stanza piena di uccelli, i tre personaggi precipiteranno in un dedalo tortuoso dove i sentimenti muteranno forma a ogni curva.
I
racconti presenti nella raccolta sono come elisir preparati con stelle
frantumate nel mortaio del cervello. Bevande capaci di trasportare il
lettore verso quella sottesa trascendenza a cui i personaggi nella loro
semplicità cercano di aspirare.
Danilo Di Prinzio è nato nel
1972 a Guardiagrele, antico borgo alle pendici della Majella, Danilo
dice di aver bruciato una laurea in filosofia prima di iniziare a
lavorare per un’impresa di costruzioni, lavoro durante il quale
approfitta delle pause per scrivere; ha pubblicato i suoi racconti e
poesie presso varie riviste letterarie.
Con un’abile narrazione che salta dal ricordo del promettente
passato dei Browns al loro straziante presente, Rick Bass narra le
vicende di una famiglia dimenticata e descrive con realismo un’epoca che
fece la storia della musica americana. Nashville Chrome è un
accordo perfettamente intonato: un armonico racconto della società
moderna e una dura riflessione sulle complessità del successo.
Alla fine del 1959, i fratelli Brown – Maxine,
Bonnie e Jim Ed – godono di un successo internazionale senza precedenti,
eguagliato solo dal loro amico Elvis Presley. Tra le mani hanno un
pezzo da cifre folli, in cima alle migliori classifiche di musica
country e pop, e destinato a dare origine alla multimilionaria industria
musicale dei nostri tempi. Incantati dai Browns, persino i Beatles
cercheranno di scoprire i loro segreti, per scoprire che la
straordinaria armonia del trio scaturisce dal loro profondo legame
familiare. Come scrive Rick Bass: “I Browns sono persone reali e ciò che
hanno dato alla musica americana e il modo in cui l’hanno fatto sono
reali; Nashville Chrome, però, è un’opera dell’ingegno.” Questo è il
loro romanzo, la loro ascesa e la loro caduta: in un mondo in continua
evoluzione, la loro fama non è destinata a durare, e i legami fraterni
cominciano a sgretolarsi così come il loro successo. Una storia
profondamente americana di creazione, distruzione e rinascita.
“Un bel giorno – i giorni sono belli – mi sono svegliato dove non c’erano le mie finestre né i miei quadri, non c’era il crocifisso, il letto era un altro letto: non era un letto ma uno spazio simile ad una bara, uno spazio tra un legno sotto i piedi e l’altro legno sulla testa. Mi accorsi dopo pochi minuti che ero in compagnia di tanti fiati e nessun fiato riconosceva il suo proprio fiato e neppure il suo letto. Avevo un pigiama che non è mai stato mio, una magrezza che non è mai stata mia, un tatuaggio che non è mai stato mio – il mio corpo era il corpo degli altri che c’erano. Il prete recitava il rosario tutte le sere, il rabbino recitava le sue preghiere tutte le sere – insieme abbracciavano i cuori e le profonde ferite di noialtri. Seppi che era un prete, seppi che era un rabbino… lo seppi quando non tornarono mai più.” (Luca Imperiale)
Partono i treni, trasportano bestie – così rispondono i vampiri
a chi chiede loro chi c’è in quei vagoni.
Partono i treni,
nelle botteghe si dice della voglia di andare, nei pressi delle piazze
i mugugni si fanno strada – esiste la favola del binario, della stazione
dove ci si arriva per cenare insieme
se nella casa di legno c’è spazio per tutti…
e ci si fissa a vicenda, poi qualcuno scompare
Un racconto in versi, la sequenza delle immagini ci accompagna nell’incubo: il tragico viaggio verso l’olocausto scandito atto dopo atto, questo Olocausto di Luca Imperiale, l’autore è protagonista, come in una mimesi s’incarna in ciò che non ha conosciuto, si fa testimone e interprete del dolore, della rassegnazione e della speranza. I pensieri s’addensano e il lettore, anche lui, è chiamato all’atto della presenza, della condivisione come a partecipare a una preghiera. L’olocausto è stato (è nel suo ripetersi) un momento di sacralità, ma poco rimane nel presente di quella (necessaria) memoria, siamo chiamati oggi a celebrare una ritualità sancita, una ricorrenza svuotata di senso e tutti siamo soli, incapaci di reagire, piegati e senza speranza. (dalla nota di lettura di Mauro Marino)
Luca Imperiale è nato a Brindisi nel 1983. Vive a Sannicola, nel Salento. Nel 2015 si è iscritto all’istituto di scienze religiose di Lecce, l’ISSRM “Don Tonino Bello” conseguendo il titolo magistrale con una tesi “Tratti antropologici in Dostoevskij. Nell’inquieta sofferenza la libertà cristiana”. Ha “I giorni dell’ombra. Diario degli occhi disarmati” (Musicaos editore, 2020); ha curato “Danteide(e)” (5emme), raccolta di contributi scritti in occasione del 7ooesimo anniversario della morte di Dante Alighieri. Nel 2022 ha pubblicato, il poema “Il Balordo” per Spagine – Fondo Verri edizioni e il racconto in versi “Il tempo di Pinocchio” per Controluna. “Inquietudini” è il suo primo romanzo per i Quaderni del Bardo Edizioni. Nel 2024 sempre per la stessa casa editrice pubblica la raccolta in versi Olocausto
Non molti sanno che dall’847 all’871 sorse e fiorì a Bari uno Stato islamico. I suoi tre capi furono Halfun, il conquistatore; Mufarrag, che ne allargò i confini e vi costruì una moschea congregazionale; e Sawdan, l’emiro riconosciuto dal califfo di Baghdad, che per qualche anno lo rese potenza egemone nel Mezzogiorno continentale. L’originale opera di Giosuè Musca, pubblicata per la prima volta nel 1964, resta l’unico saggio dedicato a questo capitolo della complessa storia del Mezzogiorno medievale, diviso tra potenze cristiane e islamiche. Questa nuova edizione, arricchita da un’introduzione di Francesco Violante, costituisce un punto di riferimento fondamentale, anche metodologico, per la ricostruzione geopolitica di un Mediterraneo in cui fedi, armi e culture si sono indissolubilmente scontrate e intrecciate.
"Fiume" è un albo illustrato dedicato al ricordo e alla giornata del ricordo dei Martiri delle Foibe. Un racconto poetico che porta al centro le emozioni e i sentimenti delle famiglie che hanno vissuto quel terribile periodo storico. Anna Baccelliere usa parole delicate, ruvide, leggere, pesanti ma anche liberatorie e conduce il lettore in una narrazione che sembra una danza sulle immagini di Liliana Carone. “C’era un fiume lì sotto...Un fiume che scorreva ignaro nella foiba mentre noi, prigionieri, marciavamo in fila indiana tra i rovi spinosi e i sassi aguzzi. Sordi al dolore perché storditi dalla paura, dal futuro incerto e dall’ignoto. Ero piccolo allora.”
Insieme si va più lontano. E col passare del tempo si diventa anche più luminosi, vivaci, più vitali! Da soli, invece, l'unico destino è quello di appassire lentamente come un fiore sotto il sole cocente. O come la pozzanghera protagonista di questo albo illustrato, che consegna a grandi e piccoli un messaggio importante: apritevi agli incontri e alla curiosità, esplorate il mondo e amatelo così com'è. Amate e accettate gli atri e voi stessi. E diventerete una splendida parte del tutto
Che cos'è l'antisemitismo? Perché non è stato debellato dall'Illuminismo e dalle rivoluzioni moderne, al pari di tanti altri pregiudizi e superstizioni tradizionali, ma è invece riapparso, più barbaro che mai, nel cuore della società moderna? Come spiegare la sua spettrale persistenza fino ai giorni nostri? Quale misteriosa attrattiva continua a consentirgli di fare breccia nei cuori delle classi dominanti così come di quelle oppresse, a destra come a sinistra?
Manuel Disegni rilegge Marx a partire da queste domande. Il suo intento non è solo quello di mettere fine una volta per tutte alle dicerie sul presunto antisemitismo del rivoluzionario di Treviri, nato ebreo e convertito al cristianesimo in età prescolare. Questa indagine sui rapporti fra la teoria marxiana e il fenomeno antisemita punta a proporre un radicale ripensamento dell'una e dell'altro. La discussione su Marx e l'antisemitismo ruota tradizionalmente intorno al famigerato, mai ben compreso e tuttora scandaloso articolo del 1844Sulla questione ebraica. Disegni vi legge una testimonianza del fatto che proprio Marx sarebbe stato il primo a riconoscere nei rigurgiti antisemiti del suo tempo un fenomeno specificamente moderno: non soltanto il residuo di un antico astio religioso, ma allo stesso tempo un prodotto della nuova società nata dall'emancipazione borghese e dalla rivoluzione industriale. Ma ben al di là di quello scritto giovanile, il progetto di fare una «critica definitiva della questione ebraica» attraverserebbe sotterraneamente l'intera opera di Marx, svolgendo un ruolo determinante in tutte le tappe del suo itinerario critico, dal confronto giovanile con la filosofia tedesca a quelli più tardi con il socialismo francese e con l'economia politica britannica. Muovendosi fra testi noti e meno noti, ampie ricostruzioni storiche e aneddotica minuta, controversie teoriche, battaglie politiche ed excursus letterari, la ricostruzione di Disegni porta alla luce questo tema come uno dei principali elementi di continuità fra i presunti due Marx, il giovane filosofo e l'economista dalla barba bianca; come il vero garante della coerenza metodologica fra il materialismo storico e la teoria del capitale. Mentre gli studi marxiani e il marxismo hanno da sempre sottostimato, per non dire negletto, il tema dell'antisemitismo, la ricerca sull'antisemitismo ha finora mancato di recepire il contributo di questo classico del pensiero critico alla comprensione della natura e delle cause del proprio oggetto.
Inchiesta, a metà tra indagine giornalistica e reportage storico, per conoscere da vicino alcuni dei cristiani che si opposero al nazismo fino al sacrificio della vita. Alcuni di questi sono diventati noti sia dentro che fuori la Chiesa – i beati Franz Jägerstätter e Josef-Mayr-Nusser; altri sono ancora sconosciuti come il giovanissimo Walter Klingenbeck, ghigliottinato nel 1943, oppure poco note al grande pubblico come Eva Buch, Max Josef Metzger, Maria Terwiel e Heinrich Dalla Rosa. Questo libro offre al lettore la possibilità di conoscere da vicino figure straordinarie che hanno seguito la voce della coscienza nel buio dell’epoca nazista, perchè illuminate dall’esempio di Cristo.
Questo
libro di aforismi: Una "virgola per pensare” di Donato Di Poce, (Tra i
maggiori poeti e aforisti contemporanei, tradotto anche in Spagnolo e
Rumeno) è un diamante etico-linguistico ma anche un vaso che tracima
filosofia, poesia, ironia. E’ una dannazione del presente che ama e
vede il futuro, un minimalismo linguistico che trabocca poesia e
orizzonti filosofici ( A volte basta una virgola,/Per non farti sentire
prolisso; Le anime in cerca di verità/Si accecano di dubbi./Quelle in
cerca d'illuminazioni/Si nutrono di "non so”.)
Rafael
Soler è considerato un poeta con un mondo poetico interiore così forte
che la sua stessa voce abbraccia l’essere e l’esistere della vita, di
una vita, forse dell’intera esistenza regalando ai lettori attraverso i
suoi versi profondi ed illuminanti stati di lucida coscienza, proprio
quando magari il velo di Maya cala sugli occhi degli uomini. Questa
pubblicazione (che raccoglie il best off della produzione di Soler)
apre una dimensione alternativa per contemplare il mondo, gli esseri
che lo abitano, la sua stessa vita, manifestando un'affascinante
intimità con la morte, superandone i limiti imposti . Uno sguardo
intelligente, singolare, misterioso, che viene dal profondo, a tratti
quasi visionario, che solo attraverso l’amore per l’amore e per la vita
può autodeterminarsi e legittimarsi. Traduzioni di Gianni Darconza, Laura Garavaglia e Daniela Citterio
RAFAEL
SOLER (Valencia, Spagna, 1947) è un poeta, rinomato e premiato
narratore, professore universitario e Vicepresidente dell'Associazione
degli scrittori spagnoli ACE dal maggio 2015. Ha pubblicato sei libri
di poesia: "Los sitios interiores" (1980, secondo classificato al
Premio Juan Ramón Jiménez), "Maneras de volver" (2009), "Las cartas que
debía" (2011), "Ácido almíbar" (2014, Premio de la Crítica Literaria
Valenciana), "No eres nadie hasta que te disparan" (2016) e "Las razones
del hombre delgado" (2021), oltre alle antologie "La vida en un puño"
(2012) e "Leer después de quemar" (2018). È anche autore di sei romanzi
e due libri di racconti. È stato invitato a leggere le sue poesie in
più di quindici paesi e i suoi libri sono stati pubblicati in Ungheria,
Giappone, Italia, Stati Uniti, Ecuador, Paraguay, Bolivia, Honduras e
Perù.
«Fatti di umani» è un’opera affascinante che abbraccia una rapsodia di
racconti, intrecciati da un filo conduttore che lega insieme i suoi
personaggi. Ciò che rende questo libro interessante è la sua capacità di
ritrarre in modo unico e coinvolgente i “tipi” contemporanei, spesso
trascurati dai media e dalla narrativa attuale. Elisa Rovesta si è
impegnata a descriverli con grande acume osservativo. Troverai un amante
dello spugnato giallo, un individuo che incarna una particolare
“filosofia di vita”, un nutrizionista sempre arrabbiato, un esperto di
soft skills, un architetto determinato a imporre la sua visione di
bellezza, un influencer privo di seguaci e molti altri ancora. Questa
carrellata di “maschere” contemporanee lotta per trovare il proprio
spazio nel mondo. Essi sono collegati tra loro in modi diversi: si
conoscono, si frequentano, sono amanti, amici o semplici conoscenti
Sono circa cinquecento gli ebrei presenti sul territorio modenese quando, il 30 novembre 1943, viene emanato l'ordine di polizia n° 5 che impone il loro arresto e la loro deportazione. Sono donne e uomini di ogni età e condizione sociale. Molti di loro sono italiani, appartenenti a una comunità da sempre ben integrata nel tessuto cittadino, ma sono presenti anche ebrei stranieri o apolidi, che studiano o si sono laureati a Modena, o che si sono trasferiti nella nostra penisola per sfuggire alle persecuzioni e alla guerra. Questi ultimi, per un periodo significativo della loro vita, vivono in provincia di Modena come «internati liberi» o «non internati», ma comunque sempre in condizione di estrema precarietà e stretta sorveglianza. Avvalendosi di una grande mole di documenti provenienti da una pluralità di fonti, il volume ripercorre in modo puntuale le vicende di questi ebrei stranieri che a Modena vivono, per periodi più o meno lunghi, tra il 1933 e il 1945. La ricerca affronta anche le storie degli ebrei italiani - soprattutto quando queste si intersecano a quelle dei primi - in occasione dei salvataggi, degli arresti e delle deportazioni. Una attenta ricostruzione di una vicenda e di un periodo complesso in cui a Modena hanno convissuto gesti di grande generosità e concrete pratiche di collaborazione al disegno nazista di sterminio degli ebrei.
«Ghetto» è una parola ideologicamente connotata quanto poche altre, le cui origini s’intrecciano con la storia di due città: Venezia, dove indicava il quartiere ebraico obbligatorio istituito nel 1516, e Roma, dove il ghetto si sarebbe dissolto insieme allo Stato pontificio nel 1870. Ghetto. Storia di una parola è una ricostruzione dei significati mutevoli di questo termine sfuggente, dalla nascita a oggi. Nell’Ottocento, «ghetto» divenne una metafora ambivalente dell’ebraismo premoderno, per poi designare realtà tanto diverse quanto le enclave affollate di migranti ebrei nelle metropoli e i centri di raccolta e di segregazione dell’Europa orientale occupata dai nazisti. Non solo, questa parola in continua metamorfosi attraversò l’Atlantico, si radicò nel Lower East Side newyorkese e nel Near West Side di Chicago, dopodiché passò a indicare l’ambiente di vita della comunità afroamericana, ancor più che della comunità ebraica. Nel guidare il lettore in questa odissea tra le due sponde dell’Atlantico, Daniel B. Schwartz mostra l’intreccio tra la storia dei ghetti e il confronto polemico sul significato di una parola. Paradossalmente, «ghetto» assunse un’importanza di primo piano nella tradizione ebraica proprio quando gli ebrei non furono più obbligati per legge a vivere in un quartiere a parte. Ora che le associazioni con il vissuto ebraico si sono perlopiù offuscate, "Ghetto" riporta alla luce la storia di questa parola e le sue variazioni semantiche. Con prefazione di Adriano Prosperi.