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sabato 31 dicembre 2011

Come fece come non fece a Lecce 1 | 3 gennaio 2012 presso lo ShowRoom Limone





La casa editrice Kurumuny, il primo gennaio 2012 presenta il libro a cura di Luigi Chiriatti ed Egidio Marullo dal titolo "Come fece come non fece" alle ore 19.00 a Lecce
presso lo Show room Limone illuminazione in via XXV Luglio per cominciare insieme il nuovo anno con una bella favola  in barba a quanti vogliono far vivere solo brutte storie!
"Come fece come non fece" è una raccolta di fiabe fatte di immagini, luoghi, atmosfere, suoni di paesi e città, voci di uomini e di animali, odori antichi di case umili o profumi esotici di sfarzosi castelli, di malìe e incantamenti alla controra. Immagini lontane, nel tempo e nello spazio, di principi e principesse che vivono e rivivono tra gli ulivi contorti e tra gli spinosi fichi d'India. Dietro ogni favola c'è il volto rugoso di un vecchio che fu bambino, la sua voce sfiatata e i gesti delle sue mani nod Come fece come non fece è una raccolta di fiabe fatte di immagini, luoghi, atmosfere, suoni di paesi e città, voci di uomini e di animali, odori antichi di case umili o profumi esotici di sfarzosi castelli, di malìe e incantamenti alla controra. Immagini lontane, nel tempo e nello spazio, di principi e principesse che vivono e rivivono tra gli ulivi contorti e tra gli spinosi fichi d'India. Dietro ogni favola c'è il volto rugoso di un vecchio che fu bambino, la sua voce sfiatata e i gesti delle sue mani nodose che raccontano storie vere, camuffate da fiabe. Un libro attraverso cui i bambini possono apprendere gli strumenti per affrontare la vita, perché si narra di grandi difficoltà e pericoli da superare, di magie e incantesimi buoni e cattivi, di viaggi straordinari; ma Come fece come non fece è anche un libro per gli adulti che possono svegliare i ricordi custoditi in un angolo della memoria e ritrovare il tempo in cui furono bambini attraverso la fascinazione di un racconto. Le favole qui pubblicate fanno parte di un lavoro di ricerca e documentazione più ampio e complesso condotto dall'autore sulla cultura orale salentina. Le favole sono state registrate direttamente dalla viva voce dei narratori in dialetto salentino e sono state trascritte mediante una traduzione libera dove si combinano le immagini e i giri di frase più espressivi caratteristici della lingua dialettale con un impianto linguistico italiano, in questo modo la lingua è parte integrante del paesaggio perché contribuisce in modo determinante a identificare i luoghi in cui si svolgono le azioni e i personaggi stessi delle favole. ose che raccontano storie vere, camuffate da fiabe. Un libro attraverso cui i bambini possono apprendere gli strumenti per affrontare la vita, perché si narra di grandi difficoltà e pericoli da superare, di magie e incantesimi buoni e cattivi, di viaggi straordinari; ma Come fece come non fece è anche un libro per gli adulti che possono svegliare i ricordi custoditi in un angolo della memoria e ritrovare il tempo in cui furono bambini attraverso la fascinazione di un racconto. Le favole qui pubblicate fanno parte di un lavoro di ricerca e documentazione più ampio e complesso condotto dall'autore sulla cultura orale salentina. Le favole sono state registrate direttamente dalla viva voce dei narratori in dialetto salentino e sono state trascritte mediante una traduzione libera dove si combinano le immagini e i giri di frase più espressivi caratteristici della lingua dialettale con un impianto linguistico italiano, in questo modo la lingua è parte integrante del paesaggio perché contribuisce in modo determinante a identificare i luoghi in cui si svolgono le azioni e i personaggi stessi delle favole.

Barthes Roland (AA. VV.) a cura e con introduzione di Filippo La Porta, con scritti di Gianfranco Marrone, Matteo Marchesini, Caterina Selvaggi, Luca Doninelli, Jean-Marc Mandosio, Stefano Gallerani e Giogrio Patrizi (Gaffi Editore). Intervento di Nunzio Festa























Roland Barthes chi era costui? Riferimento per decine, anzi in certi casi flotte d'intellettuali, il francese Roland Barthes pare non ispiri come una volta. Ma l'opera del critico e semiotico e filosofo, almeno, interessa ancora al "critico militante" Filippo La Porta. Che in "Barhes, Roland" ci mette una densa e articolata introduzione, per dare il via a un'antologia che porta pensieri al pensiero estemporaneo. E per tornare sulle "mitologie del contemporaneo", La Porta ha chiesto parole di giovani penne del valore di Gallerani e Marchesini, d'esperti alla Mandosio e Marrone, e così via. Per fare una raccolta disomogenea ma che parla d'una certa omogeneità. Passeggiando, appunto, nelle preferenze degli studiosi e 'appassionati' (vedi Doninelli - Luca - ): per esempio: autore del breve intervento titolato "Madri": righe che mettono in parallelo il francese a Testori. Quindi se per il filosofo Marrone due Barthes non esistono, è proprio La Porta a spiegare, invece, quale dei due 'preferisce' - che per lui ne estino proprio due, diciamo. Senza entrare nei particolari degli scritti, però, possiamo già dire che questo libro va nella direzione recentemente e nuovamente auspicata da Berardinelli, cioé fa discutere su intellettuali che da decenni parevano essere stati messi fuori dall'interesse generale. E rivediamo, dunque, quel Barthes che diventò proprio il massimo rappresentante dello Strutturalismo. Ma lui, spiega sempre A. Berardinelli in un'interessantissima recensione al piccolo lavoro collettivo "né voleva essere un filosofo, neppure un filosofo esistenzialista. Era più sfuggente, aborriva e temeva i concetti nitidi, scriveva in una prosa dominata da un enigmatico, ossessivo istinto a sottrarsi, a retrocedere dalla chiarezza e distinzione delle idee preferendo gli indefiniti territori prelinguistici, l’esperienza incondizionata, non verbalizzata, allo stato puro, un’esperienza singolare eppure (eccola la novità) senza soggetto e fuori contesto". Il quale, naturalmente, sottolinea l'intuizione di Mandosio che, con questa riproposizione d'un saggio già pubblicato su rivista, spiega quanto il concetto che il semiotico raccontava della "lingua fascista" è un punto d'arrivo d'una lunga elaborazione e non un incidente da ripulire. Un'antologia che può far almeno discutere, per fortuna. Lo si faccia o non lo si faccia più sulle prime pagine.

venerdì 30 dicembre 2011

Kamen n.40
























È  stato pubblicato in questi giorni il quarantunesimo numero (n. 40, Gennaio 2012), della rivista  di poesia e filosofia Kamen’ con le sezioni di Poesia, di Filosofia e di Materiali. Il numero è dedicato alla memoria della grande poetessa svedese Birgitta Trotzig (1929 –  2011), redattrice della rivista, scomparsa il 14 maggio.
La sezione di Poesia curata da Karen  Mirzoian è dedicata al poeta armeno Parouir Sevak. Oltre ad una selezione di poesie è presente la nota di Amedeo Anelli,  “Piccola nota per Sevak”.
Paruir Sevak  (in realtà Paruir Rafaelovic Kazarian) nacque il 26 gennaio del 1924 in Armenia nel villaggio di Sovetashen  nella regione dell’Ararat. Si laureò  nel 1945 in Filologia all’università di Erevan. Dal 1951 al 1959 Sevak studiò e lavorò a Mosca presso l’Istituto di Letteratura Maksim Gorkij. Il capolavoro che lo ha reso famoso e premiato è il poema lirico-narrativo scritto nel 1959 Il campanile che non tace mai. È un testo dedicato al genocidio e al compositore Komitas. Debuttò in letteratura negli anni ’40 e scrisse per circa 30 anni scavando nelle radici della poesia armena multisecolare e in quella mondiale. Creò un suo mondo poetico irripetibile conquistandosi un posto di rilievo nella letteratura classica armena. Dopo una vita travagliata, e anche di ricerche sulla letteratura del passato e del presente, morì a soli 47 anni con la moglie, in un incidente stradale, il 17 giugno del 1971. Le sue opere sono state tradotte in molte lingue fra cui  inglese, russo, ungherese, tedesco,  polacco, estone e georgiano.
La sezione di Filosofia è la sesta selezione di Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930. Questo numero è interamente dedicato alla caricatura. Oltre al saggio introduttivo di Daniela Marcheschi contiene scritti di Paul Gaultier, scelta da“Le rire et la caricature (1906)”, di Ettore Allodoli, da “La caricatura inglese (1929)”, di Lucien Refort, Préface da “La caricature littéraire (1932).
La sezione di Materiali contiene lo scritto di Paolo Rossi del 1944, di cui avevamo già pubblicato il Guicciardini criminalista, dal titolo I Partiti contro la democrazia.
Paolo Rossi nasce a Bordighera il 15 settembre del 1900, figlio di Iride Bagnara e del noto avvocato penalista Francesco Rossi. Nel 1918 si iscrive a Giurisprudenza a Genova, ma frequenta anche le lezioni di Giuseppe Rensi alla facoltà di Filosofia, rimanendone affascinato. In quel periodo inizia a collaborare con «Il Lavoro» e, non ancora ventenne, è picchiato per la prima volta dai fascisti. Nel 1923, laureato in Giurisprudenza e iscritto d’ufficio all’Ordine degli avvocati, diventa il più giovane avvocato d’Italia. Subito dopo il padre lo manda a far pratica per un anno da un amico avvocato di Liverpool, dove conosce Mario Praz. In Inghilterra prende con il servizio segreto inglese contatti che mantiene per tutta la durata del Fascismo. Tornato in Italia si dichiara apertamente antifascista e alla fine del 1926 squadristi fascisti distruggono lo studio e l’abitazione suoi e di suo padre. Nel 1927 collabora alla rivista «Pietre», con gli amici Francesco Manritti, Giuseppe Rensi e il libraio Mario Bozzi; in quel periodo conosce Carlo Rosselli che all’Università di Genova sostituisce il prof. Arias nel corso di Economia Politica. Rosselli influenza molto i giovani universitari antifascisti di Genova, con la sua visione antitotalitaria, ma non marxista-comunista. Nell’aprile del 1929 Rossi scrive per «Il Foro ligure – Temi genovesi» il suo primo saggio di Diritto Penale dal titolo “Ingiuria e diffamazione nel progetto di codice penale”. Nel 1932 esce il primo libro, La pena di morte e la sua critica, che è sequestrato e dato alle fiamme perché in concomitanza con la reintroduzione della pena capitale. Nel frattempo si sposa con Giuseppina (Giugi) Bagnara. Nel 1937 scrive il suo secondo libro, Scetticismo e dogmatica nel diritto penale, che seguirà la stessa sorte del primo. Nel 1938 esce Il Manifesto della Razza e ne resta profondamente ferito; intanto non può far sentire la sua voce, avere nessuna cattedra a causa dell’obbligo di giuramento di fedeltà al fascismo. Nel 1939 scrive La riforma penale inglese, e poiché Genova è troppo pericolosa con la moglie Giuseppina decide di andarsene in Toscana, a Lucca, dove acquista la villa Burlamacchi di Gattaiola. Qui si trasferisce nel 1940 quando l’Italia entra in guerra. Durante il conflitto, si rifugiano a Gattaiola molti amici e conoscenti, tra cui Giuseppe Rensi, Enrico De Negri ed alcuni amici ebrei. Nel 1943 scrive Guicciardini criminalista. Nel periodo dal 1934 al 1943, ha però scritto tutta una serie di saggi innovativi su questioni di carattere penalistico e criminologico, collaborando a riviste come «Criminalia», diretta all’epoca da Eugenio Florian. Dopo il 1943 i coniugi Rossi aiutano molti giovani a sfuggire ai rastrellamenti; andato a Barga (Lucca), Rossi entra in contatto con la Resistenza e a far parte del gruppo del CLN XI zona. Nel 1945 pubblica I partiti contro la democrazia, e alla fine della guerra è incaricato di Diritto Penale all’Università di Pisa; nel 1946 viene eletto nell’Assemblea Costituente dei 75, nei ranghi del Partito Socialista. Il 15 ottobre del 1947 è chiamato a far parte della Commissione dei 18 redattori per la messa a punto definitiva del testo costituzionale. In quello stesso anno gli è affidata la cattedra di Diritto Penale all’Università di Genova. Nel 1948 è rieletto alla Camera dei Deputati nel collegio di Genova. Nel 1950 per la Mondadori cura una antologia di scritti su Carlo Cattaneo dal titolo La società umana; nel 1951 pubblica L’insurrezione di Milano nel 1848. Dal 1955 al 1957 è Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Segni e il 12 giugno 1958 assume la vice-presidenza della Camera dei Deputati (riaccadrà negli anni  avvenire). Il primo settembre del 1961 è nominato dal Ministro degli Interni Scelba Presidente della Commissione di studio sui problemi dell’Alto Adige, detta dei «19»: il rapporto conclusivo sarà pubblicato sulla rivista «Relazioni internazionali» nel 1964. Il 2 maggio 1969 è nominato Giudice Costituzionale; ma trova il tempo di studiare e dal 1970 al 1973 pubblica i quattro volumi della sua Storia d’Italia dal 476 ai giorni nostri, ricca di informazioni e testimonianze importanti. Dal 18 dicembre 1975 al 9 maggio 1978 (con proroga al 2 agosto 1979) è Presidente della Corte Costituzionale. Il 24 maggio 1985 muore a Lucca e viene sepolto nel piccolo cimitero di Gattaiola.

Kamen' n. 40 - Gennaio 2012
pp. 128 - € 10,00
Editrice Vicolo del Pavone


giovedì 29 dicembre 2011

“1860 - La Stangata” di Francesco del Vecchio edito da Libellula edizioni






















I tasselli essenziali del “puzzle” della storia unitaria inseriti correttamente al loro posto, attraverso le testimonianze dei protagonisti, la freddezza della logica, la conoscenza dei fatti e la passionalità del narratore. La creazione di uno stato federale che fu proposta da Cattaneo e dai Borbone, avrebbe costituito l’unica possibilità di realizzare una vera unità della penisola, nel rispetto delle diversità culturali, economiche e territoriali. Non a caso, fu immediatamente scartata dagli indebitatissimi Savoia e Cavour e dai “fondamentalisti” Mazzini e Garibaldi, tutti “pilotati” dalla massoneria inglese. Oggi quella proposta può ancora tornare buona ma solo a condizione di ripristinare la verità storica e riequilibrare la bilancia del dare e dell’avere . Riecheggia nelle pagine di questo vero e proprio “Bignami della contro storia risorgimentale” il vero grido di dolore di un popolo umiliato dalle infamie di chi rese possibile l’invasione coloniale del 1860, quella che solo la storia uffi ciale continua a defi nire: Risorgimento e che anziché unire deluse l’universale aspirazione unitaria delle popolazioni italiche.

Per info scrivi a: info@libellulaedizioni.com

mercoledì 28 dicembre 2011

Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia (Mondadori) di Franco Arminio. Intervento di Nunzio Festa























Per chi non conoscesse ancora Franco Arminio, ma sono sempre di più le persone che lo conoscono, cominciamo col dire che il poeta e scrittore e meridionale, e quindi paesologo Arminio scrive sempre libri essenziali e fondamentali, libri summa, perché testi, siano loro di poesia o di prosa e dunque che facciano paesologia, che nascono da un viaggio sentimentale e reale attraverso luoghi e comunità. Basterebbe rivedere due volumetti apparentemente giocosi pubblicati nella Contromano di Laterza. Reportage dai margini. Fotografie della marginalità. Con desolazioni. E con piccole salvezze. Fatti di tante morti e possibilità, però, di rinascita. Per chi non conosce ancora il sottoscritto, invece, e sono tantissime le persone che non mi conoscono, posso spiegare innanzitutto che veramente di rado, per esempio non ricordo più quanto tempo fa, mi capita di recensire dei libri pubblicati dalla casa di Segrate (forse dobbiamo risalire alla lettura di “Guerra” di Franco Buffoni). E persino raramente ne leggo. O acquisto (in questo caso dobbiamo sicuramente risalire al primo giorno d'uscita di “Gomorra” di Roberto Saviano, grazie a un consiglio illustre che non possiam qui rivelare). Ma “Terracarne” rappresenta ovviamente un evento eccezionale, e grazie all'attenzione dell'ufficio stampa mondadoriano ho letto in file e poi in cartaceo il libro, prima d'incontrare, tra le altre cose, nella nostra Matera l'autore stesso. Ché, appunto, Franco Arminio ha un debole, bello, per la città dei Sassi. E per lui questo posto dovrebbe diventare la nuova “capitale del mondo contadino”, dopo esser stata davvero 'mondo contadino'. In quanto per Franco Arminio non si potrà che tornare alla terra. Tanto vale, allora, attrezzarsi. La suggestione è fascinosa. Peccato, però, sia sponsorizzata solamente da pochi radical-chic e qualche paesanologo, oltre che dal nostro paesologo. Dunque immergiamoci, a questo punto, nel volume. In un testo vivo e che respira. Affanni delle stanchezze dei suoi protagonisti a parte. La prima parte del testo, l'eponima, con quattro saggi dolenti e sferzanti allo stesso tempo fa da prefazione. Leggendo i nomi strani di certi paesi, tra l'altro alcuni persino non del Sud. Epperò facendoci ripensare a quello che con una sempre più fortuna formula Arminio chiama “autismo corale”. Perché i paesi hanno abitazioni chiuse e bar aperti. Vie evacuate dai suoi abitanti e ritrovi per bevitori affollati di chi è rimasto. Poi la sezione “Viaggio in Lucania”: dalla Basilicata tanto amata dal poeta. Dai pezzettini di lande che sono stati di Scotellaro e Levi. Mentre oggi sono dell'inquinamento della cementificazione e dell'abbandono in carne e ossa. Non sarà un caso, ovvero, se Arminio dirà “terracarne” per farci conoscere il peso dell'appartenenza. In un'epoca, invece, che ci vede praticamente tutti quanti figli d'una crisi d'identità. Postumi della crisi di civiltà. Quando, sappiamo bene, le città si sono presi le campagne e nelle campagne è entrata, a far saccheggio di valori e usanze, la città. Dopo l'intervallo di “Piccolo cinema convalescente” troviamo “Terremoto”: e sentiamo il Franco Arminio di “Viaggio nel cratere”. Dove al superamento di “Paesi invisibili”, tra i quali troviamo la Rocchetta già visitata per ricordare da De Sanctis, troviamo “I carpentieri del nulla” - condito da “Rileggendo Salvemini” - e “Geografie della Controra”. Fino ai “Paesi giganti” ecc. Eppure per entrare nel senso di base, diciamoci, s'ascolti queste frasi di “Il viaggiatore ripetente”: “Mi piacciono i vecchi, gli inattuali, i malcapitati della sorte, mi piace chi non smercia, chi butta un occhio alla vita e uno alla morte”. Sassi coi quali fare inciampare gli antimeridionali e i malpancisti di tutta la società, i lamentosi e gli ottusi. Chi non vuole sporcarsi le mani, come si dice, ma soprattutto chi non vuole rovinarsi le retini. “Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia” è scritto col mestiere del reporter, col fiato del poeta, con la preparazione e le descrizioni e il talento dello scrittore. Terracarne non va letto per queste ragioni, però. Terracarne è da leggere per le decine di proposte di riscatto che Franco Arminio, grazie persino a quest'opera letteraria che s'aggiunge ai documentari e alle invocazioni di “Oratorio Bizantino”, avanza. Siccome so benissimo quello che Franco Arminio sente e dice, visto che anch'io vivo questi luoghi e anch'io ho deciso di restare in questi luoghi sperduti, oltre a spingere a leggere queste pagine in barocco vitale vi chiedo di valutare parola per parola, proposta per proposta. Siamo noi i fili d'erba.  

martedì 27 dicembre 2011

Amadou – intervento di Vito Antonio Conte























Ho iniziato a scrivere questo pezzo dopo averlo concepito mentalmente in almeno tre modi diversi. Intendo (dire) che questo è (ormai) il quinto incipit. Sì, perché il pezzo che avevo cominciato e, poi, quasi chiuso è “saltato”! Per una bizza del PC o, forse, perché sono stato maldestro nell’usarlo (il PC). C’è che c’ho (cècchècciò: a dirlo a viva voce e a ripeterlo è quasi un allegro motivo musicale…) combattuto per diversi minuti e, in fine, ho deciso di cestinarlo, ché il file si apriva, W (cioè il sistema) recuperava i dati, poi mi interrogava se volevo o meno segnalare il problema al dio dei PC, quindi chiudeva quel file, ne apriva un altro vuoto e… HO DETTO BASTA! L’ho preso come un segno: dovevo rifare il pezzo, ché quello perduto (per un qualche cazzo di motivo a me sconosciuto) non andava bene. Ché qualsiasi cosa, in un modo qualunque, non dipende soltanto dalla propria volontà. Ci vuole altro. Perché sia compiuta. Io ci avevo messo del mio. Forse non avevo aggiunto al mio volere di scrivere un pezzo: sarà “se ole diu”! Ovverosia: questo mio pezzo lo diventerà davvero, e circolerà, se dio vuole! “Se Dio Vuole” è il titolo del libro che letto tra sabato e domenica della scorsa settimana. Fresco di stampa per i tipi di “Giovane Africa Edizioni” (pagine 61, € 8,00), è la prima prova autoriale di Papa Ngady Faye (alias Amadou) e Antonella Coletta (compagni di viaggio in questo esordio letterario, come nella vita). Inshallah, mi ha detto Amadou, accompagnando l’invocazione-saluto col suo sorriso e con una gestualità appena cennata, come d i profonda preghiera.
In šā Allāh (إن شاء الله  ) -in lingua araba- significa (appunto) "se Dio [lo] vuole" e indica la speranza di una persona credente acché un evento possa accadere in avvenire. Io, preferisco l’equivalente "A Dio piacendo" (e mi capita di dirla spesso, anche se non vi dirò del mio rapporto con dio o, se preferite, con Dio). Il significato dell’espressione –in origine squisitamente religioso- ha assunto valenza (pressoché universalmente riconosciuta, in tutte le religioni ma non solo) di buon auspicio. A livello strettamente letterale “Sia fatta la volontà di Dio” (Inshallah) non ha connotati islamici, pur derivando del Corano; infatti, la sura Al-Kahf ("La caverna") recita: « Non dire mai di nessuna cosa: "Sicuramente domani farò questo", senza dire: "se Allah vuole". Ricordati del tuo Signore quando avrai dimenticato di dirlo e dì: "Spero che il mio Signore mi guidi su una direzione ancora migliore". » (sura XVIII, 23-24[1]); « E non dire di nessuna cosa: "La farò domani", senza aggiungere: "se Dio vuole". E se lo dimentichi, invoca il nome del Signore e dì: "Può darsi che il Signore mio mi guidi a far cose di questa più rette". » (sura XVIII, 23-24[2]). Trattasi di espressione tipicamente islamica, ché racchiude quasi un compendio della fede musulmana, esprimendo la totale sottomissione dell'uomo a Dio.
Perché questo excursus, vi chiederete. Non tanto per fornire un minimo di approfondimento sul significato di un’espressione usata di frequente a ogni latitudine (e spesso ripetuta come un “detto”…), ma per entrare nella maniera migliore (per quel che intendo io, all’evidenza) nello spirito di questo libro, oserei dire nell’anima del libro stesso. Avrei potuto dire che si tratta di una pubblicazione che contiene la leggerezza di una narrazione tra il diaristico e il romanzo (meglio, data la brevità testuale, di un racconto) di formazione, e la profondità della riflessione stimolata dalla fiaba, ché Pap’ Ngady Faye è uomo di stirpe “Griot” e si nota. Avrei potuto dire che i libri di Amadou non sono più nella mia libre ria. Avrei potuto dire che tutti i libri che Amadou mi ha venduto in tutte le strade in cui ci siamo incontrati continuano a girare. Tutti quei libri che erano suoi perché narravano di miti e leggende africane. Di favole. Di fiabe. Che non sono la stessa cosa (lo sai, vero?). E d’altro. Di quella Terra da dove anche lui è giunto. Di quella Terra madre di tutti. Anche se qualcuno non lo sa. O fa finta d’ignorarlo. Avrei potuto dire che tutti quei libri continuano a viaggiare (insieme a qualche altro migliaio e a altre parti di me…) da quando ho alleggerito il mio fardello di vita per rendere più agevole il mio cammino… Questo e ancora avrei potuto dire. E, siccome è un pezzo, scriverlo. Ma preferisco notare l’aspetto spirituale di questo racconto e l’unico vero modo possibile per farlo è avvicinarsi alla spiritualità di chi l’ha scritto. Partendo da qui, la lettura diventerà altro e, quel c he più importa, lascerà altro. Io, adesso, non ho più nulla di cui disfarmi. Tutto l’inutile e il superfluo ormai è fuori di me. Non dirò più BASTA! E, parlo con te ora Amadou, tu sai quanto può far male un BASTAAA! (pag. 44). Io il tuo libro (questo libro, ch’è tuo, proprio tuo perché lo hai scritto tu, non me lo hai soltanto venduto) lo conserverò, forse lo rileggerò, ché era destino incontrarti una volta ancora. Come il tuo destino, “Il destino di un venditore di libri”, nato in un altro Sud e giunto in questo Sud dal Nord. Lo custodirò il tuo libro Amadou (lo custodirò Antonella), ché un libro è (anche) dono e come dono va accolto. Con questo approccio ho letto “Se Dio Vuole”. Chi vuole conoscere il resto apra questo libro, ma prima abbia cura di aprire il suo cuore.



lunedì 26 dicembre 2011

“Il silenzio dell’onda” di Gianrico Carofiglio (Rizzoli Editore). Intervento di Vito Antonio Conte
























Non so se saprò dire quel che sento contando le battute. Ché tra le novità della rinnovata veste editoriale di questo quotidiano (refusi a parte, lunga vita!) c’è anche questa: i pezzi devono essere contenuti in tot battute. Io non so neppure contarle. Le battute. E, comunque, ho dimenticato il tot. La notizia è di quelle informali o, se preferite, ufficiose. Cercherò di non essere prolisso. Dovrei farcela: la prolissità non m’è mai piaciuta. Tot battute… Vabbé, facciamo una cartella. Allincirca. TuttoUnitoESenzaInterpunzioneCosìRisparmioBat. Vabbé… Mi affido alla mia incapacità (fosse una sola!), che, comunque, deve scorrere libera… Mi attraversano un’infinità di flash durante il giorno e volano via. Non riesco a fermarli. Mi accade specialmente la mattina. In auto, in particolare. Mentre vado a lavorare. Qualcuno, di quei flash, meriterebbe di essere fermato. Ripetuto. A voce alta. A me stesso. Vedere se regge alla parola detta. Annotato. Eventualmente, approfondito. E, invece, il più delle volte va perduto. Storia vecchia… Perché questa solfa? Vi chiederete! R/ c’è che mi giravano dentro le parole per dire della mia ultima lettura, ché ne volevo fare un pezzo. E fluivano bene. Pertinenti. Una accanto all’altra. Armoniche. E, nell’insieme, pensavo, ho reso bene quel che quella lettura mi ha lasciato. Poi, accade di tutto. Come sempre. E non sempre è quel che avrei voluto. C’è che siamo complessi. Nella testa, intendo. Tanto è noto. Della testa. Di quello che c’è dentro. Dei meccanismi che ci fanno agire. O non agire. L’ignoto è certo di più. Ma purtroppo (quasi sempre) ci fottono entrambi, noto e non. Un amico musicista mi ha detto che siamo complicati. Dissentivo, replicando che siamo complessi, non complicati. Siamo così complessi che complichiamo le cose della vita. La differenza non è solo terminologica. Ne ho già scritto. E, è noto, non amo ripetermi. Cosa c’entra tutto questo con la mia ultima lettura? R/ abbastanza! Ché l’ultimo libro che ho letto (meglio: che ho finito di leggere intanto che leggo anche altro) è “Il silenzio dell’onda” di Gianrico Carofiglio (Rizzoli Editore). Sì, Carofiglio. Ancora lui. Li ho letti tutti i suoi libri. Credo di aver speso qualche parola per ognuno. E, ogni volta, specialmente per gli ultimi titoli, prima d’iniziare a leggere, anche per aver letto alcune recensioni “sospettose”, mi sono chiesto: sarà ch’è diventato uno sc rittore che… (in una parola) vende? Il suo editore starà cavalcando l’onda? No! L’onda è silente, parafrasando il titolo del libro. È silente l’onda se ti c’immergi dentro. Il mondo dell’onda è silenzioso se ti rapisce. Il silenzio dell’onda è quello che trovi nell’esatto luogo di confine tra il caos più assordante –dove tutti fanno rumore e nessuno dice niente- e il fluire naturale dell’acqua –dove il suono dà significato e senso a ogni movimento come a qualunque stare-, tra omologazione e riflessione, tra l’ingranaggio della macchina della vita imposta e il tempo del conoscersi e del conoscere l’altro. Quel luogo è nella mente e nel cuore di ognuno. Quel confine è poco conosciuto. Non riconoscerlo può portare alla pazzia. A perdere per sempre il proprio sé. A non comprendere l’altro da sé. A navigare trascinati dai flutti, in continue derive. È quel che è accaduto a Roberto, carabiniere che ha operato per una vita sotto copertura, infiltrato nel mondo del crimine, sino a farne parte e a amare quel ruolo e quel mondo… No, tranquilli, lo sapete, non parlo mai della trama della storia, né svelo alcunché! Aggiungo soltanto, se non fosse ancora chiaro, che ho amato il personaggio di Roberto. Non meno di Emma e del loro comune psichiatra (è la prima volta che “mi piace” uno strizzacervelli…). E, poi, Giacomo e Ginevra… E Estela… E tutti gli intrecci, le storie nella storia, una narrazione densa di atmosfere e (anche) di citazioni (mai staccate dal contesto) che (come e più di sempre) intriga e scorre come un film Francis Ford Coppola, con la colonna sonora di Ennio Morricone (che incontra i grandi del rock, tra tutti i Led Zeppelin…), che spiegare oltre non voglio ché “se una cosa importante hai biso gno che ti venga spiegata, probabilmente non la capirai mai”. Mi ha sorpreso, una volta ancora, Carofiglio. Ovviamente, mentre va “Stairway to heaven”.

venerdì 23 dicembre 2011

I pesci non chiudono gli occhi di Erri De Luca (Feltrinelli). Intervento di Vito Antonio Conte
























E qualcuno ha scritto che dei suoi libri può utilmente scrivere soltanto un poeta. È opinabile. Come (quasi) tutto ormai. Ma (chiunque l’abbia partorito) è un concetto meritevole di rispetto. Qualcun altro ha (anche) scritto che sono un poeta. Opinabile anche questo. Di più… Se così fosse potrei, per quel primo qualcuno, scrivere della scrittura di cui potrebbe occuparsi soltanto un poeta. La scrittura in parola è quella di Erri De Luca e, in particolare, quella de “I pesci non chiudono gli occhi” (Feltrinelli Editore, Collana: I Narratori, pagine 115, € 12,00). C’è che (poeta o grafomane o altro…) di De Luca molto ho letto e dei suoi libri in più occasioni ho scritto. Ché, prima di ogni altra cosa, mi nutro di letture. Poi viene la scrittura. Eventuale. Esclusivamente quando necessaria. Come in questo caso. Ché “Te lo dico una volta e già è troppo: sciacqua le mani a mare prima che metti il morso all’esca. Il pesce sente odore, scansa il boccone che viene da terra. E fai tale e quale a come vedi fare, senza aspettare uno che te lo dice. Sul mare non è come a scuola, non ci stanno professori. Ci sta il mare e ci stai tu. E il mare non insegna, il mare fa, con la maniera sua.”. Scrivo in italiano le sue frasi e tutte insieme. Quando le diceva erano scogli staccati e molte onde in mezzo. Le scrivo in italiano, senza l a sua voce a dirle nel dialetto sono spente. Iniziava spesso con la – e - . A scuola insegnano che non si comincia un periodo con una congiunzione. Per lui la frase era la continuazione di un’altra detta un’ora, un giorno prima. Parlava poco,  spazi larghi di silenzio mentre sbrigava le faccende di una barca a pesca. Per lui si trattava di un solo discorso, che ogni tanto si staccava di bocca con la – e - , lettera che a scriverla disegna un nodo. Ho imparato dalla sua voce a iniziare frasi con la congiunzione”. E anche per me è stato così. Per i miei versi (e non solo) che si aprono con la – e - . Anche se non l’ho mai detto. Ché certe cose non mi va di spiegarle. Specialmente se me lo chiedono. Come quella volta, dopo la mia prima pubblicazione, che un magistrato onorario mi disse: “…sì, però quelle – e -  all’inizio”. Era stato amico di Ercole Ugo D’Andrea, lui. Di versi e di poeti se ne intendeva! E ancora peggio mi va di ripeterle. Poi, come adesso, capita… e ne parlo. Ché ci vuole attenzione quando si ascolta. Ammesso che si abbia la capacità di ascoltare. E (anche) leggere un libro è ascoltare. È come ascoltare l’Autore che parla… Ci vuole attenzione. Quel che arriva a noi dipende dalla nostra attenzione. Sì, anche da altro. Sensibilità, per esempio. E ancora… Poi, ognuno ne fa quel che vuole… Ho avuto molti maestri. Sul mare. Come sulla terra. Nessuno era professore! Ché la vita e le cose della vita non s’insegnano. E non s’imparano mandando a memoria qualche nozione. Nessuna nozione contiene vita. Siccome la vita non contiene nozioni. La scuola, anche e soprattutto fuor d’ogni nozionismo, è altro. E può insegnare altro. E può essere utile a apprendere altro. Non vita. Un po’ a vivere, sì. Ma non vita! Le cose della vita s’imparano… traversando l’esistenza con tutti i sensi allerta e una tasca sempre vuota. E, semmai, si possono trasmettere. Mai insegnare. È tutta qui la differenza tra dire e fare. Erri De Luca conosce bene quella differenza. Come la diversità. Ché l’ha scelta. E praticata. Anche con le parole. Usate sempre con assoluta attenzione. De Luca le adopera dopo averle tenute nelle mani. Dopo essersele girate e rigirate tra i palmi. Dopo averne sentita l’esatta consistenza. Dopo averne soppesato lo specifico significato. Dopo averle annusate. Dopo averle trattenu te sulla lingua. Nella bocca. E delle parole usate conosce il corpo e l’anima. Quand’era decenne, nell’estate del ’60 sull’isola d’Ischia, la seconda stava molto stretta nel primo. Finché non è stato colpito dalla sorpresa del verbo “mantenere”, cioè fino a quando non ha incontrato qualcosa di talmente grande e sconosciuto da non riuscire a abbracciarla, a contenerla, a comprenderla. Finché non ha imparato che “mantenere è tenere per mano” e, dunque, quella novità, quella meravigliosa novità, non poteva tenerla col suo piccolo corpo, con le sue sole mani, ma era necessario che la sua mano ne stringesse un’altra. Lui, bambino che affrontava per la prima volta l’esistenza a doppia cifra (“a dieci anni l’età si scrive per la prima volta con due cifre”), scopre anche il contenuto del verbo “amare” tenendo (nella sua) la mano di una ragazzina del Nord (come lui in vacanza a Ischia). Assaporandone l’alterità. E la diversità. E il sangue. E il medicamento del suo sorriso sulle sue ferite dopo le mazzate volute cercate e trovate dei tre bulletti antagonisti... E quel suo corpo che si spacca e cresce. A contenere tutta quella vita nuova. Immagine –per altro verso- già vista in “Montedidio” nel corpo di don Rafaniello, il calzolaio ebreo che in fine mette le ali… E se in “Montedidio” si attraversa il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, ne “I pesci non chiudono gli occhi” l’adolescenza comincia. E finisce con un bacio. Il romanzo s’apre con l’incipit sopra virgolettato e termina così: “Adesso e qui sta bene la parola fine, sorella minore di confine e di finestra chiusa”. In mezzo una gran bella narrazione. Parola dopo parola. Immagine dopo immagine. E, se volete, verso dopo verso.


giovedì 22 dicembre 2011

“Il buio delle volpi”: dolore e lamento di un estirpato dalla proprio terra di Roberto Martalò























Abbandonare la propria terra per cercare lavoro e fortuna altrove: quella dell'emigrante è una condizione che milioni di italiani hanno dovuto condividere per inseguire la speranza di una vita migliore. Partire con fiducia e aspettative, ma anche con timore e trepidazione per un futuro tutto da definire: anche questa è una condizione tipica dell'emigrante. Ma se si fosse costretti a partire? Se del domani a una persona non gli importasse granché? Anzi, se costui fosse più legato al passato che proiettato a guardare avanti?
“Il buio delle Volpi” di Tony Sozzo affronta il tema dell'emigrazione, rovesciandone però modalità e contenuto; nell'andare al Nord non c'è più quella chimera tipica di chi si sente pronto, con la convinzione di avere dinanzi svariate possibilità, a giocare una sfida con il destino, ma, al contrario, si prova una sensazione di condanna, come se si fosse imprigionati in una cella senza barriere, costretti a scontare una pena senza alcuna colpa. In questo modo, non è più il territorio a essere impoverito dalla partenza di tanta gente, ma è chi lascia la propria terra, che resta lì immobile, a sentirsi più povero.
Il protagonista del libro abita in un paesino del Salento e vive tra le sue certezze e le sue abitudini, senza avere alcuna ambizione, intrappolato in una volontà di eterno ragazzino. Così trascorre le proprie giornate a leggere libri, identificandosi con i personaggi che di volta in volta incontra in queste sue escursioni narrative, a parlare con l’anima di Hanno, il gatto morto e sepolto in campagna, a pedalare con la bici in giro per il paese. L’unico contatto con una vita normale è Marco e qualche rara uscita il sabato sera a Lecce, senza però socializzare con il resto della compagnia dell’amico. Rifiutando categoricamente di ammettere la diversità del figlio e nel tentativo di smentire quanti lo vedono come “lo scemo del villaggio”, il padre del protagonista decide di mandarlo al Nord dalla sorella alla ricerca di un lavoro e di una normalità preclusa nel Salento.
“Il buio delle Volpi” è un grido di dolore, un lamento di chi non accetta una vita all’insegna della responsabilità, di chi vive in un mondo identico e parallelo alla società contemporanea, di chi gode di un bel sole e di una brezza di vento, di un singolo momento senza pensare al domani.
L’autore organizza la narrazione come un flusso di coscienza del protagonista, conferendo un ritmo travolgente, incalzante, forse a volte anche eccessivamente. Si ha quindi un amalgama tra fatti e idee, tra azioni e pensieri, con continui cambiamenti di stati d’animo: una mescolanza espositiva che corrisponde alla confusione della psiche del personaggio principale. Un romanzo cupo che ha sì una certa originalità nell’affrontare l’emigrazione in un’ottica capovolta, ma che si dilunga un po’ troppo, rendendo meno efficace lo stile scelto.

Il buio delle volpi di Tony Sozzo
Lupo Editore, 223 pag, 16€

mercoledì 21 dicembre 2011

Marrakech Dietro le Antiche Porte di Barbara Bertuzzi (Polaris Edizioni)






















Marrakech ha mille volti. è una città che va assaporata. Capita. Scrutata. Vissuta. Stracolma di affascinanti contrasti. Variegata di colori, sapori, odori. Pullulante di rumori e suoni. Che cessano improvvisamente quando si entra in una caratteristica casa araba con corte alberata. Dietro grandi porte borchiate si nasconde un mondo inebriante, silenzioso, magico. Questo libro offre spunti curiosi per scoprire una Marrakech talvolta dimenticata, sconosciuta. E fa di più: si spinge oltre fino a esplorare nuove, avventurose, rotte lungo le sommità dell'Atlas o ai confini del deserto del Sud. Lasciatevi condurre nel quartieri medievali della medina, dormendo in uno dei tanti "Riad" un tempo abitati da leggendari pachà o influenti saggi dell'Islam, oggi splendide dimore per viaggiatori instancabili. Seguite i consigli di chi Marrakech la vive ogni giorno, da anni. Immergetevi in un continuum di decori architettonici arabo andalusi, di opere di straordinario artigianato locale e design glamour. Affinate il palato gustando la cucina dei "Riad" e imparate a dosare le spezie (è questo il segreto dei piatti tipici delle grandi famiglie marocchine). Infine lasciatevi incantare da storie di vita che si intrecciano e alimentano il mito della Marrakech cosmopolita. L'oasi dove tutti si incontrano o vorrebbero incontrarsi.


martedì 20 dicembre 2011

Gymkhana-Cross, di Luigi Davì con prefazione di Sergio Pent e postfazione di Giuseppe Lupo (Hacca); Peccatrice moderna di Carolina Invernicio (Avagliano); Il porto dell'amore, di Giovanni Com’isso con prefazione di Nico Naldini (Longanesi). Intervento di Nunzio Festa

























Spesso Tq parla e ha parlato di libri e d'autori dimenticati. E della necessità di ridarne stampe. Cosa, tra l'altro, che a primo impatto e specie in giornate pienissime di stampe apparirebbe addirittura dannoso; ma ovviamente così non è. Come è dimostrato da tre editori che in questi mesi hanno ripubblicato opere interessantissime, per varie ragioni e forme: Hacca, Avagliano, Longanesi. Ma partiamo appunto dalla prima, perché la casa maceratese, seguita dalla consulenza 'novecentesca' e dotta d'Andrea Di Consoli e grazie al legame con Giuseppe Lupo, nella collana Novecento.0 custodisce, e s'appresta a custodire (fra non molto spunterà persino Ottiero Ottieri) opere che il finire del Novecento, appunto, ha fatto finire d'intensità. Prendiamo, per dire, la raccolta di racconti Gymkhana-Cross dello scrittore-operaio - o dovremmo 'capovolgere' i termini? - Luigi Davì. Libro edito per la prima volta nel 1957 nei "Gettoni" enaudiani di Vittorini. Vergati da un autore di ventotto anni che parlava del suo mondo, dell'officina. Dell'officina e degli operai. Persino di quelli "brutti". Oltre che, naturalmente, forse "sporchi e cattivi". Nei tempi del lavoro. Similmente attrarverso e attraversando il dopolavoro. Ma con una penna/lingua che è semplice, anzi molto articolata e rimirata dallo scrittore prima di farsi intensa pietra e brevissima descrizione quasi di tono minimalista. In tono, di certo, realista. Appoggiata a sensazoni direttamente viste e immaginate nelle letture americane, di quelli Usa delle lettere tanto amati da Vittorini e Pavese. Chi non aveva mai letto Davì resterà folgorato. Anche quando non apprezzerà la mistura fra abbozzo e scena teatrale. Perché il libro è indimenticabile, quindi imperdibile, dunque giustamente rilanciato. Marchionne fra parentesi - è ovvio. Uno dei romanzi più famosi di Carolina Invernizio, quel "Peccatrice moderna" che è esemplare per comprendere le ragioni che portavano tale Antonio Gramsci a contestare la scrittrice nata a Voghera e che esordì nel 1876 esce invece da Avagliano. Autrice di libri d'appendice, commerciali, rosa, Invernizio potrebbe essere paragonata un po' a Liala e un po' a Sveva Casati Modigliani. Ma le puttanizie che quest'opera ormai antica ci danno, sono materiale che permette di ragionare sui mondi del popolo. Infatti al pari dei comportamenti usati per le telenovela, tante persone, donne soprattutto, hanno ascoltato i sussulti di Sultana Nigro, moglie d'avvocato e traditrice per passione e tendenza. La protagonista d'un romanzo che va tra desideri e meschinità. Apparso nel 1924 dopo una lunga gestazione e ristampato nel 1928 col titolo "Al vento dell'Adriatico", "Il porto dell'amore" è infine il primo libro in prosa pubblicato da Giovanni Comisso. Oggi ridatoci grazie alla Longanesi seguita da Valentina Fortichiari. "Libretto carnale e febbrile che avvampa e trascolora è appena un libro ed è ancora una malattia. Arte legata alle primavere del sangue, al corso delle stagioni e delle temperie: poco più di un rabesco, il diagramma di una vita rovesciata sulle cose...", fece dire Il porto dell'amore al vate Dannunzio. Qui abbiamo un Commisso che guarda al paesaggio  e al paesaggio umano. Oltre che all'impresa di Fiume. Ché vide Giovanni Commisso fare assalto, come è noto. Per questo testo la premessa di Naldini fa tantissimo. Insegna un contesto, il contesto storico. Ma in specie quello letterario. Dunque Il porto dell'amore con Peccatrice moderna e con Gymcana-Cross non potevano restar morti ammazzati.

lunedì 19 dicembre 2011

UNA QUESTIONE DI STILE. Poesie di Donato Di Poce (LaRecherche.it). Introduzione di Tomaso Kemeny





















I tuoi versi sono grigi – mi dissero – / Mancano di stile / Sembrano racconti inconclusi. // Forse non sapevano che la Poesia / Mi trasforma continuamente / Un giorno sono Curdo, l’altro Albanese / Un altro ancora, sono un treno / Colpito per errore da un missile Americano. // Credevo ‘essere nato per scrivere Aforismi / Ma la Prosa della vita mi confonde le idee / E domani forse sarò dentista, medico, giardiniere. // Io lo so! / Non sono un Poeta / Ma la poesia mi dorme accanto / Con in tasca una scatola di colori. // Io non so cos’è la Poesia / Ma la vita credetemi / È una questione di stile.”


domenica 18 dicembre 2011

Il Club Bilderberg - 2ª EDIZIONE AGGIORNATA di Daniel Estulin (Arianna Editrice)



























Il Club Bilderberg è l'organizzazione occulta che ha tra i suoi protagonisti molti personaggi della vita politica, economica e finanziaria italiana. Scopri chi governa veramente l'Italia... nella seconda edizione aggiornata di Il Club Bilderberg di Daniel Estulin. Il Club Bilderberg è il libro che racconta la vera storia del più potente e segreto organo decisionale del mondo, Il Club Bilderberg appunto. Dal 1954 e una sola volta all’anno, un gruppo ristretto di persone si ritrova per decidere segretamente il futuro politico ed economico dell’umanità. Nessun giornalista ha mai avuto accesso alle riunioni che fino a poco tempo fa si sono svolte presso l’Hotel Bilderberg, in una piccola cittadina olandese. Nessuna notizia è mai filtrata da quelle stanze, anche se – come dimostrano le pagine di questo libro – è durante questi incontri che vengono prese le decisioni più rilevanti per il futuro di tutti noi. Risultato di un’indagine serrata e pericolosa durata oltre 15 anni, l’impressionante inchiesta di Daniel Estulin svela per la prima volta quello che non era mai stato detto prima, rendendo noti i giochi di potere che si svolgono a nostra insaputa. Dalla privacy armata che la protegge, la classe dirigente globale detta legge su politica, economia e questioni militari.
La dettagliata opera di Estulin dimostra come il Club Bilderberg sia stato coinvolto nei maggiori misteri della storia recente, dal Piano Marshall allo scandalo Watergate, come da questa élite emergano le figure chiave dello scacchiere internazionale – presidenti USA, direttori di agenzie come CIA o FBI, vertici delle maggiori testate giornalistiche – e come da questi incontri nascano le linee guida della globalizzazione. Il Club Bilderberg, tradotto in 50 lingue e diffuso in oltre 70 Paesi, è diventato in poco tempo un bestseller internazionale, di cui è prevista a breve la versione cinematografica. Approfondimento: Mario Monti e il Club Bilderberg (segnalazione a cura di Stefano Donno)

sabato 17 dicembre 2011

L'Evoluzione della PNL by Robert B. Dilts, Judith DeLozier, Deborah Bacon Dilts (Alessio Roberti Editore - Nlp Italy)























"Era il 1980, quando nella conclusione del libro Programmazione Neurolinguistica promettevamo un secondo volume che avrebbe dovuto contenere applicazioni più concrete dei concetti, dei principi e delle distinzioni esposte in quella nostra prima introduzione alla PNL. Affermavamo che il secondo volume avrebbe “esplorato più specifi camente come applicare la Programmazione Neuro-Linguistica al proprio lavoro e alla propria vita quotidiana”. Per una serie di ragioni, quel secondo volume non è mai diventato realtà. Questo in parte perché noi autori abbiamo avuto tutti vite intense e occupate, ed eravamo profondamente coinvolti nello sviluppo e nell’esperienza diretta di quelle applicazioni su cui ci eravamo ripromessi di scrivere. Col passare del tempo, poi, la vita ci ha portato in direzioni diverse. Non ci siamo mai più ritrovati con lo stesso spirito che ci aveva raccolto e legato agli albori, e il progetto di creare un seguito a quel primo volume si è perso per strada. Un altro motivo per la mancata pubblicazione è stato il rapido sviluppo della disciplina; talmente rapido che avrebbe reso ardua la selezione di uno specifico gruppo di processi che a nostro giudizio caratterizzasse la storia e il potenziale della PNL. Nuove sfide e nuove opportunità ci hanno spinto a trovare risorse e soluzioni fortemente innovative che andavano a toccare i fondamenti stessi della disciplina. Negli anni, tutti e quattro gli autori di Programmazione Neurolinguistica hanno continuato a girare il mondo insegnando la PNL e contribuendo alla sua evoluzione e al suo sviluppo, ma soltanto Judith (DeLozier) e io (Robert Dilts) abbiamo mantenuto uno stretto rapporto personale e di lavoro che è culminato ogni anno nei nostri programmi estivi alla NLP University of California, a Santa Cruz. Abbiamo spesso riflettuto sulla visione di un secondo volume e sulla promessa che avevamo formulato tanto tempo addietro. Le persone coinvolte nella disciplina hanno continuato a chiedere: “Che fine ha fatto quel secondo volume?”. A volte abbiamo cercato di mantenere quella promessa in altri modi. Abbiamo passato quattro anni a scrivere la Encyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding per trattare la vasta gamma di modelli e applicazioni di PNL, e per rendere onore alla storia e all’evoluzione di questa affascinante disciplina. Nel nostro operato abbiamo cercato di preservare lo spirito del gruppo originario che, con Bandler e Grinder, aveva sviluppato la PNL sulle montagne attorno a Santa Cruz. Quattro anni fa abbiamo deciso che era arrivato il momento di portare finalmente a compimento il nostro proposito di creare un secondo volume. Dal nostro punto di vista era chiaro che c’erano delle cose nuove da dire: il libro che avete tra le mani, L’evoluzione della PNL, è il frutto di quella decisione.
Il testo ha subìto diverse evoluzioni negli ultimi anni e non sarebbe esistito senza il supporto e l’energia di Deborah – insegnante di danza dei 5Ritmi®, psicoterapeuta e trainer di Psicosintesi, oltre che interprete –, che ha contribuito in maniera rilevante a una serie di nuovi sviluppi presentati nei capitoli della parte finale del libro. Deborah ha conosciuto la PNL nel 1994, quando ha fatto da interprete in francese per John Grinder a Parigi, città dove si era trasferita dall’America sin dai primi anni Ottanta. Da allora ha fatto da interprete a molti altri trainer di PNL, quali David Gordon, Charles Faulkner, Lynne Conwell, Robert McDonald, e, ovviamente, Robert Dilts e Judith DeLozier. Dal 2005 Deborah e Robert hanno sviluppato programmi che coniugano il background di Deborah nelle pratiche trasformazionali corporee quali i 5Ritmi® con i principi della PNL (Robert e Deborah si sono sposati nel 2008). Hanno applicato questi nuovi sviluppi in workshop e seminari in giro per il mondo, nonché con Judith presso la NLP University in California. La collaborazione tra noi tre (Robert, Judith e Deborah) è stata caratterizzata da entusiasmo, creatività e desiderio di completezza. Ci auguriamo che queste qualità emergano nel libro e permettano a voi lettori un rinnovato apprezzamento della profondità, della ricchezza e del potenziale della PNL". (dalla prefazione di Robert Dilts. Judith DeLozier, Deborah Bacon Dilts). (Segnalazione a cura di Stefano Donno)

venerdì 16 dicembre 2011

TWINS di Alessia e Michela Orlando




















La vita non è un film. La vita non è un fumetto. La vita non è un romanzo, sia esso da leggere in un libro cartaceo che in forma di e Book. Tuttavia la vita è il contenitore in cui tutto accade o forse si sogna o forse si sogna e poi accade oppure accade e poi si sogna! E se la vita fosse nata contemporaneamente in più esseri umani, ma nello stesso grembo? Quale vita vivranno? Come ripartiranno il carico delle tensioni, dei problemi, dell'incubo? È proprio vero che uno dei gemelli avrà una personalità più forte dell’altro?  È proprio vero che l’altro vivrà alla sua ombra fino alla fine dei suoi giorni? E come affronteranno la minaccia devastante, la peggiore possibile, che incombe su loro e su tutti i loro amici? E come affronteranno l’irruzione nella loro vita di un affascinante tanghero che si porta dietro problemi e bellezza simili? Soccomberanno entrambe alla forza del desiderio? E come reagiranno alla scoperta di una verità atroce? E lui, lo straniero giunto rocambolescamente nella terra di origine, quale diavolo ospiterà per compiere ciò che porrà in essere? Cosa porta nelle sue carni di così cocente da non poter resistere alla forza che lo indurrà a uccidere, a uccidere, a uccidere, a uccidere, quasi senza fine? Sembrerà del tutto naturale che i tre si incontrino, e che le due gemelle, scatenate quanto basti per renderle imprevedibili, sfacciate eppure tenere, paurose eppure coraggiose, affascinanti eppure talvolta urticanti quasi per forza, come a volerlo fosse un copione, che si aggirano per l'Europa, saranno anch’elle attirate nella trappola che è dapprima erotica e poi mortale. Sapranno salvarsi, dopo il piacere? E quel corpo giovane che si inerpica lungo un crinale irto di pietre aguzze, scalzo, perché si denuda e sembra voler spiccare il volo nel vuoto? Lo farà davvero o sta solo sognando nuovamente un sogno ricorrente? E la vita che gli scorre davanti agli occhi della mente è per intero la sua? Ed è veritiera? La trama è totalmente inventata, ma per sapere se non siano raccontati fatti accaduti occorre leggere i giornali, anche nei prossimi mesi. Non si può mai sapere …
Dei protagonisti e dei personaggi apparentemente marginali, ma certamente di rilievo, tutti non tributari di nessun’altro apparso in letteratura, al cinema o nei fumetti, si può solo rinvenire qualche similitudine qua e là. È solo un deja vu del lettore … è un inganno del cervello: il peggio deve ancora accadere ai protagonisti e non è mai successo prima.