Spesso Tq parla e ha parlato di
libri e d'autori dimenticati. E della necessità di ridarne stampe. Cosa, tra
l'altro, che a primo impatto e specie in giornate pienissime di stampe
apparirebbe addirittura dannoso; ma ovviamente così non è. Come è dimostrato da
tre editori che in questi mesi hanno ripubblicato opere interessantissime, per
varie ragioni e forme: Hacca, Avagliano, Longanesi. Ma partiamo appunto dalla
prima, perché la casa maceratese, seguita dalla consulenza 'novecentesca' e
dotta d'Andrea Di Consoli e grazie al legame con Giuseppe Lupo, nella collana
Novecento.0 custodisce, e s'appresta a custodire (fra non molto spunterà
persino Ottiero Ottieri) opere che il finire del Novecento, appunto, ha fatto
finire d'intensità. Prendiamo, per dire, la raccolta di racconti Gymkhana-Cross
dello scrittore-operaio - o dovremmo 'capovolgere' i termini? - Luigi Davì.
Libro edito per la prima volta nel 1957 nei "Gettoni" enaudiani di
Vittorini. Vergati da un autore di ventotto anni che parlava del suo mondo,
dell'officina. Dell'officina e degli operai. Persino di quelli
"brutti". Oltre che, naturalmente, forse "sporchi e
cattivi". Nei tempi del lavoro. Similmente attrarverso e attraversando il
dopolavoro. Ma con una penna/lingua che è semplice, anzi molto articolata e
rimirata dallo scrittore prima di farsi intensa pietra e brevissima descrizione
quasi di tono minimalista. In tono, di certo, realista. Appoggiata a sensazoni
direttamente viste e immaginate nelle letture americane, di quelli Usa delle
lettere tanto amati da Vittorini e Pavese. Chi non aveva mai letto Davì resterà
folgorato. Anche quando non apprezzerà la mistura fra abbozzo e scena teatrale.
Perché il libro è indimenticabile, quindi imperdibile, dunque giustamente
rilanciato. Marchionne fra parentesi - è ovvio. Uno dei romanzi più famosi di
Carolina Invernizio, quel "Peccatrice moderna" che è esemplare per
comprendere le ragioni che portavano tale Antonio Gramsci a contestare la
scrittrice nata a Voghera e che esordì nel 1876 esce invece da Avagliano.
Autrice di libri d'appendice, commerciali, rosa, Invernizio potrebbe essere
paragonata un po' a Liala e un po' a Sveva Casati Modigliani. Ma le puttanizie
che quest'opera ormai antica ci danno, sono materiale che permette di ragionare
sui mondi del popolo. Infatti al pari dei comportamenti usati per le
telenovela, tante persone, donne soprattutto, hanno ascoltato i sussulti di
Sultana Nigro, moglie d'avvocato e traditrice per passione e tendenza. La
protagonista d'un romanzo che va tra desideri e meschinità. Apparso nel 1924
dopo una lunga gestazione e ristampato nel 1928 col titolo "Al vento
dell'Adriatico", "Il porto dell'amore" è infine il primo libro
in prosa pubblicato da Giovanni Comisso. Oggi ridatoci grazie alla Longanesi
seguita da Valentina Fortichiari. "Libretto carnale e febbrile che avvampa
e trascolora è appena un libro ed è ancora una malattia. Arte legata alle
primavere del sangue, al corso delle stagioni e delle temperie: poco più di un
rabesco, il diagramma di una vita rovesciata sulle cose...", fece dire Il
porto dell'amore al vate Dannunzio. Qui abbiamo un Commisso che guarda al
paesaggio e al paesaggio umano. Oltre
che all'impresa di Fiume. Ché vide Giovanni Commisso fare assalto, come è noto.
Per questo testo la premessa di Naldini fa tantissimo. Insegna un contesto, il
contesto storico. Ma in specie quello letterario. Dunque Il porto dell'amore
con Peccatrice moderna e con Gymcana-Cross non potevano restar morti ammazzati.
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