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lunedì 28 febbraio 2011

Voci dalla luna di Andre Dubus (Mattioli 1885). Esce il 15 aprile 2011











Dall'autore di "Non abitiamo più qui" Mattioli1885 pubblica, per la prima volta in Italia, un romanzo indimenticabile sul tradimento, il peccato, la redenzione. ANDRE DUBUS è stato, ne sono fermamente convinto, il più grande scrittore americano di racconti della seconda metà del XX secolo / DENNIS LEHANE. Un padre si innamora della ex-moglie di suo figlio. Nelle ventiquattro ore successive i complessi rapporti all’interno della famiglia vengono rimessi in gioco, sino a giungere alla conclusione che l’amore della famiglia come insieme può essere superiore al dolore che le parti che la compongono si infliggono reciprocamente. Dopo il successo di pubblico e critica riscosso con "Non abitiamo più qui" (sempre edito da Mattioli1885), Andre Dubus, allievo e poi maestro oltre che amico intimo di Richard Yates (l'autore di Revolutionary Road, Minimum Fax), torna con un romanzo di rara intensità. La prosa profonda dell’americano Andre Dubus torna sui territori del tradimento, peccato, redenzione in una versione modernissima e attuale dei grandi temi dostoevskiani.

Andre Dubus (1936-1999), maestro nell’arte del racconto o romanzo breve, è stato anche saggista, biografo e sceneggiatore, aggiudicandosi svariati premi letterari. Da un suo racconto è stato tratto il film In the bedroom, mentre dai tre racconti riuniti in Non abitiamo più qui (edito da Mattioli 1885 nel 2009) è stato tratto il film I giochi dei grandi, premiato al Sundance Festival con protagonista Naomi Watts. Innumerevoli gli scrittori che indicano Dubus come maestro e fonte d’ispirazione.

Voci dalla luna di Andre Dubus (Mattioli 1885). Esce il 15 aprile 2011. Prefazione a cura di Nicola Manuppelli. Postfazione di Pete Orner

domenica 27 febbraio 2011

La letteratura è un cortile di Walter Mauro (Giulio Perrone editore)








Walter Mauro porta con sé quasi un’aria di leggenda. Critico, scrittore, musicista jazz, appassionato di calcio, professore eccentrico e memorabile. “Attaccava la giacca di velluto su un angolo della lavagna – ha scritto Marco Lodoli – e restava in camicia, anche se era inverno. Poi si girava verso di noi e apriva quel suo sorriso bellissimo”. Qui, forse per la prima volta, si guarda indietro. Sceglie i ricordi. Cerca i segni del proprio destino, del come si diventa ciò che si è. Con un padre ufficiale pilota innamorato di Wagner, una madre pianista, Ungaretti per professore, non può che entrare nella vita in modo tutto suo. Va in carcere nel ’43 per una retata fascista, si iscrive al Partito d’Azione, incontra Croce. Negli anni ’50, a Roma, di mattina è professore a scuola e di notte viveur: la sua doppia vita diventa un film con Walter Chiari. Negli anni ’60 c’è una Parigi scintillante, sospesa tra le note di Miles Davis e le parole di Sartre. Suona nella “Tampax Jazz Band”, colleziona migliaia di dischi e altrettanti libri, scrive sui giornali. Incontra persone. Questo libro è il cortile dove finalmente raduna tutti gli amici di una vita. Anche, soprattutto quelli che adesso gli mancano. Poeti con le tasche colme di fogli, scrittori. Calvino armato di forbici, Moravia e la sua impazienza, Pasolini spericolato, Sciascia taciturno. Rafael Alberti ripensa a García Lorca, Carlo Levi chiede notizie di Neruda, Montale lascia in eredità un cappotto, Marquez ha paura di volare. Gli entusiasmi e le sconfitte; la musica, tantissima musica – la partitura di un’esistenza irripetibile che è un lungo tratto di storia del ’900. Percorsa a ritroso con il passo allegro, mai nostalgico, “da marinaio appena sceso dalla nave che ha circumnavigato il mondo”.

Walter Mauro, nato a Roma nel 1925, è tra i più noti esponenti della critica militante musicale e letteraria ed è sovrintendente della società Dante Alighieri. Allievo di Ungaretti, si è occupato, con monografie critiche, di numerosi autori italiani e stranieri, come Sciascia, Alvaro, Fenoglio, Baldwin, Gramsci, Dante, Sartre. In collaborazione con Elena Clementelli ha pubblicato tre antologie dedicate al Blues, agli Spirituals e ai Work Songs. È autore anche di Storia dei neri d’America (Newton & Compton), Storia del jazz (Newton & Compton), Il blues e l’America nera (Garzanti), Jazz e universo negro (Rizzoli), Louis Armstrong, il re del jazz (Rusconi) e Miles e Juliette (Giulio Perrone).


venerdì 25 febbraio 2011

Giosuè Rizzi. Giudizio e pregiudizio, di Giosuè Rizzi e Angelo Cavallo, illustrazioni di Emiliano Properzi (Perdisa Pop). Intervento di Nunzio Festa










In sostanza, siamo, con “Giosuè Rizzi. Giudizio e pregiudizio”, ‘ovviamente’, nella biografia d’un bandito d’altri tempi. Siamo, in sostanza, oltre la biografia raccolta con meticolosa Solidarietà da Angelo Cavallo. Veramente nel corpo del pregiudizio. Oltre che, è più che chiaro, del giudizio. E’ questo, diciamo, c’interessa maggiormente. Rizzi è in libertà solamente dal novembre dell’ultimissimo 2010; dopo che, da detenuto e qualche volta da fuggitivo, è stato per anni delinquente comune. Insomma forse non proprio il “Papa di Foggia” come un pentito di camorra volle definire l’uomo. Ma, anche se così fosse stato e quindi tanto potente fosse diventato, non possiamo che leggere la vita di Rizzi Giosuè per intero. Ovvero da quando decide, lui che è classe ’52, di cominciare a essere un fuorilegge. Però partiamo da un altro punto. Che, per quanto sia finanche giusto, l’editore punta su questo libro, su questo volume tutto umano cominciando e sottolineando aspetti d’un rapporto a distanza e vicinanza con il “caso Vallanzasca”. E, lasciatecelo dire, il confronto non è sostenibile. E non per differenza di potere o poteri. Invece questo faccia a faccia fra Cavallo e Rizzi, che la struttura mantiene il racconto d’Angelo Cavallo a riportare vicende cronachistiche in luce e testimonianze dirette di Giosuè Rizzi sulla propria esistenza e sulle sue tante attività, intanto ci spiega il carcere. La vita nel carcere. La vita del carcere. Le vite che sono il carcere. E quanto questo luogo, soprattutto a quanti tanto devono scontare molti anni, incide sulle caratteristiche personali dei detenuti stessi. Per non parlare, infine, del personale di servizio lavorativo negli assilli di queste strutture che sempre dovrebbero reintegrare nella società chi ha commesso qualcosa che non sia ottemperato dalle leggi dello Stato. Per di più, e ripartiamo dal pregiudizio, Rizzi fra le altre cose fu condannato per la “strage del Bacardi” dell’86 nella ancora bollente Foggia. Quanto alla storia, Rizzi si dice e s’è detto innocente per questa. Eppure la cronaca non ci racconta il grido dell’innocenza – almeno intima – quanto piuttosto ci propone di studiare il solito concetto del capro espiatorio. Rizzi e Cavallo, sentiamo adesso i contenuti, non vogliono spingere su una presunta buona anima di Giosué. Infatti si racconta dei furti cominciati in tenerissima età fino agli accoltellamenti vari per amicizia e per onnipotenza nelle varie e diverse carceri italiane (fino alle crisi dei manicomi criminali). Proprio in ragione d’una giusta considerazione d’un personaggio che similmente ad altri ha plasmato, persino a tratti involontariamente, l’immaginario collettivo. Attirando giudizio e pregiudizio. In prima battuta: pregiudizio. Senza scordarci che, è le cose non sono assolutamente cambiate, le carceri italiote sono il purgatorio più l’inferno dello Stato e dell’Antistato. Che lo stato deve punire, molte volte ricorrendo a trattamenti disumani, mentre l’antistato deve cercare quantomeno di sopravvivere. Ma alla fine Giosuè Rizzi comunque è riuscito a riprendersi la sua vita. Dopo tanti patimenti e tante cattive azioni ha voluto riconsegnarsi nelle mani d’una sua vecchia passione. Per sconfiggere pregiudizio e giudizio. Senza aver più debiti con una società che essenzialmente non perdona.

Giosuè Rizzi. Giudizio e pregiudizio, di Giosuè Rizzi e Angelo Cavallo, illustrazioni di Emiliano Properzi, Perdisa Pop (Bologna, 2011), pag. 184, euro 15.00.

giovedì 24 febbraio 2011

L’ultima sposa di Palmira, di Giuseppe Lupo (Marsilio). Intervento di Nunzio Festa









In un’introvabile Basilicata, perché Palmira non esiste per davvero oltre che non è appuntata sulle cartografie ufficiali, è ambientato l’ultimo romanzo dello scrittore d’origini lucane Giuseppe Lupo. Premesso, comunque, che dello stesso autore sappiamo solo di Zanardelli, quest’opera appartiene alle tante e diverse che mettono insieme fantasia e realtà. E fin qui nulla di speciale, verrebbe da dire. Anzi è proprio così: niente di speciale fino a questa lettura. Ma per comprendere meglio “L’ultima sposa di Palmira” occorre immedesimarsi, è viene piuttosto facile, nei luoghi che Lupo disegna. E mette al posto delle righe sulle mappe. Che è senza dubbio molto ma molto meglio. Ma per spiegare meglio il libro, ricorriamo al trucco di scindere in due pezzi la storia. L’antropologa Pettalunga spunta da Milano per raccogliere immagini dalle macerie del terremoto del 1980 d’Irpinia e Basilicata. E innanzitutto incontra il falegname ‘cantastorie’ mastro Gerusalemme. L’uomo che intanto gli spiegherà la storia di Patriarca Maggiore, fondatore di Palmira. E della dinastia di palmiresi che fece Palmira. Ma la Palmira fino all’Ottanta, ovviamente. Non quella nuova dei palazzi di cemento uguale a tutto il resto del mondo. Mastro Gerusalemme, nel frattempo, cioè mentre racconta alla a dir poco curiosissima Pettelunga, costruisce il mobilio di Rosa Consilio. In pratica affida alla signorina Consilio tutto il peso di far proseguire lo stesso, anche dopo la scossa dell’annientamento per mano del sisma catastrofico, la struggente Palmira dei veri palmiresi (o palmirani che dir si voglia – visto che spiegazioni da questo punto di vista non ce ne arriveranno). Lupo approfitta dunque delle storie orali, oltre che di tante bellezze della vera storia, per costruire innanzitutto una trama che ricorda quando e quanto la marginalità addirittura possa o ha potuto essere salvifica. In più sottolineando, e in questo lo scrittore è perfetto, che il Meridione pure della Lucania è sinonimo d’incrocio di civiltà. Di culture altre. Per fortuna. Dai turchi. Agli ebrei. Giuseppe Lupo, che utilizza una lingua semplice perché sviluppata semplicemente appunto nel cuore pieno e fresco dell’oralità, fa un linguaggio che volutamente esce dalla tattica del dialetto eppur sforzandolo a inseguire le traiettorie di nomi e cognomi attaccati ai fiori del Sud. L’intreccio che lo scrittore permette d’agganciare al territorio tutt’altro che cupo è sentenziato dalla lotta fra il passato non proprio passato e il presente che si fa accompagnare dal fenomeno sismico demolitore. Lupo tocca le vette più alte non quando eccede nell’onirismo troppo sghignazzante della stessa memoria collettiva che era, bensì nel mentre si propone d’essere il primo a rintracciare, sempre per finta, ma verrebbe da dire fino a che punto?, il primo padre di Palmira. A differenza di Di Consoli, che trova invece in altri dettagli del romanzo “L’ultima sposa di Palmira” punti veramente significativi di questa letteratura, non guardiamo in particolar neppure al ‘romanzo mediterraneo’. Da Di Consoli, questa volta, riprendiamo un fattore a forza d’elemento che recentemente nemmanco lo stesso in veste di recensore aveva riutilizzato. Lupo fa il primo vero romanzo sul terremoto lucano che portò dannazione.

L’ultima sposa di Palmira, di Giuseppe Lupo, Marsilio (Venezia, 2011), pag. 174, euro 18.00.


mercoledì 23 febbraio 2011

Aspetta primavera, Lucky di Flavio Santi (Edizioni Socrates)





















L’inverno di Fulvio Sant, giovane traduttore e letterato tuttofare, trascorre come il suo metabolismo, dipendente dalle mail altrui e dal tubicino del suo inseparabile aerosol. Un povero cristo del nostro umanesimo che odia il potere e vorrebbe avere il talento di Martin Amis o l’impeto sardonico di Bianciardi, ma si ritrova invece a ruminare i suoi giorni come un novello Fantozzi. La sua vita, mese dopo mese, ha sempre più un sapore agro e con lei gli affetti: ama Giulia, la moglie, clone di Simone Weil, ma desidera Sveva e la sua schiena da nuotatrice. Vive in un Paese dove il futuro è dei giovani ma non il presente e nel quale fa sempre più fatica a riconoscersi. Ogni sua azione gli sembra velleitaria: un sogno con Pasolini che resta in Friuli per tutta la vita, una lettera a Veltroni, insegnare letteratura a giovani brufolosi, vagheggiare la bomba al Pirellone. Non restano che le parole di un poeta, di Simone, amico vero che ormai però non c’è più. Aspettando sempre che la neve sul parabrezza si sciolga e arrivi primavera.

"La notte è fatta per gli uomini che si svegliano di colpo nel cuore della notte. Così anch’io mi sveglio di colpo nell’oceano scuro e sterminato di questa notte. Un triangolo delle Ber mu da formato camera da letto due metri per tre. Soffoco, annaspo, cerco un’ancora di salvezza nel buio fitto delle tenebre, esposto ai gelidi monsoni del mio disorientamento. Mi sento uno struzzo, la testa sotto terra. Accanto a me c’è Giulia. Devo aver svegliato anche lei. Sento che borbotta qualcosa. «Cristo, ho fatto un sogno, un lungo sogno» le faccio, tremando ancora, la gola chiusa e una specie di brina sugli occhi. Cerco di raddrizzarmi. Per un attimo avverto una fitta alla schiena. Allora lei allunga una mano e accende la luce sul comodino. Un cono giallo canarino invade il suo spazio, illuminandole i capelli e parte del cuscino. Non riesco a vederle il viso, mi dà le spalle. Immagino che tenga gli occhi chiusi. «E che hai sognato?» gorgoglia ancora incredula e addormentata. «Ti va se te lo racconto?» le faccio di getto, come se in bocca avessi un tizzone ardente da sputare via prima possibile..".

Flavio Santi - (1973) vive in campagna alle porte di Pavia. Alterna l’attività di traduttore (Balzac, Celan, Gifford, Kelman, Stone, Smith ecc.) a quella di libero docente universitario. È autore di libri di poesia, tra cui Rimis te sachete (Marsilio, 2001), Il ragazzo X (Ed. Atelier, 2004), dei romanzi Diario di bordo della rosa (PeQuod, 1999) e L’eterna notte dei Bosconero (Rizzoli, 2006), della raccolta di racconti La guerra civile in Italia (Sartorio, 2008).
Suoi racconti, romanzi e poesie sono tradotti in numerose lingue.

martedì 22 febbraio 2011

Warszawa di Fabio Elia (Edizioni La Gru). Intervento di Paolo Merenda





















Warszawa è un romanzo strano. Così strano, forse, da non poter essere nemmeno definito romanzo. Una storia la cui trama è semplice: Felix, un polacco, che insegue Felix, un turco, per ucciderlo, nonostante i due non si conoscano e non ci sia reale motivo per l’astio che l’uno prova per l’altro. Descritto così, potrebbe non attrarre il lettore, che invece, una volta aperto il libro e iniziata la lettura, si trova immerso nella storia, ironica, cinica e dai personaggi apparentemente senza senso. Ma proprio questa mancanza di punti cardine apre un mondo completamente nuovo. Dalle forze dell’ordine, che servono la legge in maniera del tutto originale, ai vari personaggi con cui i due Felix interagiscono. Un festival del nonsense, nel quale fa capolino più volte la città di Varsavia, forse la vera protagonista, con i suoi monumenti, le sue costruzioni, le piazze, e la popolazione. Gli abitanti della capitale polacca infatti sono parte della città e della trama, assorbiti dalla loro vita ma che si lasciano prendere dai due Felix. Come Kapustka, ossessiva cassiera del Carrefour-Rapido, che di rapido non ha nulla, la cui vita cambia nel momento in cui incontra l’aspirante omicida e il fuggiasco. Fino ad allora, la sua esistenza era stata scandita dai bip-bip delle compere. Una vita a emozionarsi grazie solo alla verdura che vede passare dalla sua postazione alla cassa e che da quel momento, gradualmente, cambia. Allo stesso modo cambia l’occhio del lettore, quando, col passare delle pagine, trovano spazio le digressioni e i pensieri dell’autore “onniscente senza i” e coglie qualche particolare della storia della città, come è uscita dalla guerra, dai bombardamenti, provata, segnata in maniera indelebile, ma capace di rialzarsi. Come per un condannato a morte, che deve scontare la sua pena in uno stato di salute ottimale, così il Felix polacco, l’aguzzino, aiuta il Felix turco, la preda, quando capisce che sta per perdere le forze. Un incontro, il loro, nel quale si spalleggiano, mangiano l’immancabile kebab, e con la potenziale vittima che, in altri frangenti, fa in modo di non farsi prendere, ma restando vicino all’inseguitore, in modo da non terminare la caccia all’uomo. Tutto prima del finale in crescendo, una danza bizzarra con Kapustka che decide di vivere appieno la sua vita, il folle personaggio di Arunas, aspirante sindaco e padre del Felix polacco, e i due protagonisti alle prese con l’ultima corsa. Un romanzo che lascia, a lettura conclusa, sì il buonumore, ma anche numerosi, e validi, spunti di riflessione.

Realismo e metafisica: la scrittura di Giorgio Nisini


Una suggestione interessante è contenuta ne La città di Adamo, nuovo romanzo di Giorgio Nisini, giovane autore e critico: la scrittura come rappresentazione di immagini, citando Fellini e l’architettura dell’Eur, in un famoso documentario.
‘Realismo metafisico’ è la categoria che descrive la scrittura dell’autore, leggiamo a proposito del libro. Forse c'è una nuova tendenza nella nostra narrativa?

Nei primi anni Settanta Federico Fellini rilasciò una video intervista a Luciano Emmer. È un’intervista molto nota, che a volte mi capita di rivedere nei palinsesti notturni di Rai Educational; piuttosto breve per la verità, forse dieci, dodici minuti, e interamente girata nel quartiere più visionario e fascista di Roma: l’Eur. Nella prima parte del video il regista è ai piedi del Palazzo della Civiltà Italiana, il famoso Colosseo Quadrato, come lo chiamano in molti, e ha sullo sfondo la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Fellini ha un’aria serena, a tratti divertita, ogni tanto si chiude il colletto della camicia come se fosse infastidito dal vento, o come se stesse compiendo il semplice rituale di un tic. Mi ha sempre colpito questo piccolo movimento che accompagna la sua voce, sembra nasconde e un velo d’imbarazzo, il disagio espositivo di chi di solito è abituato a stare dietro la macchina da presa piuttosto che di fronte ad essa.
Nel corso dell’intervista Fellini confessa il suo amore per l’Eur; ne parla quasi con incanto, come di un luogo improbabile e metafisico, congeniale a chi fa di professione il “rappresentatore di immagini”. Così dice nell’intervista: il rappresentatore di immagini.


(brano tratto da Giorgio Nisini, La città di Adamo, Fazi Editore, pagina 164 - In copertina opera di Marco Verrelli)

Lisa Sanna

Leggi le prime 37 pagine del libro
Guarda l’intervista di Luciano Emmer a Federico Fellini

lunedì 21 febbraio 2011

INVISIBILI Vivere e morire all’Ilva di Taranto (Kurumuny edizioni) di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno












Non molto tempo fa gli operai dell’allora ITALSIDER vennero chiamati metalmezzadri. Era la generazione dei Cipputi, dei sindacati e degli scioperi che paralizzavano la produzione, della terra o del mare da coltivare, dopo il turno. L’ITALSIDER non c’è più. C’è l’ILVA. Una nuova fabbrica con un nuovo nome e nuove regole, ma soprattutto una nuova generazione. Una generazione che sogna la grossa vincita al gratta e vinci o al massimo la divisa da carabiniere. Per i nuovi operai dell’ILVA, divisi in normalisti e turnisti, il sindacato è lontano; al suo posto ci sono i tornei di calcetto aziendali che favoriscono la comunicazione, ma non troppo. Rimane la paura di non tornare più a casa e i santi a cui affidarsi, una volta custoditi nei portafogli ora immagini su cellulari. Le immagini dei santi si affiancano a quelle delle mogli, dei figli e delle famiglie e di loro è tutto quello che oltrepassa i tornelli dell’ILVA. La vita scandita dai turni. Tra la fabbrica e la vita fuori, lo spogliatoio dove si svestono i panni civili e si indossa la tuta da operai. Perché l’Ilva è anche volti stanchi, epopea di pendolari, famiglie e figli, doveri e rancori, solidarietà e silenzi, verità e menzogne. L’Ilva è carne viva, metafora di una condizione universale, piccolo spaccato di mondo. Una fabbrica non soltanto di acciaio ma di storia e storie. E sullo sfondo una città lontana assente, dai contorni sfumati come fosse di sabbia, la stessa sabbia che si indurisce nel naso e lo fa sanguinare. Invisibili di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno è un lavoro a quattro mani che raccoglie e racconta storie di uomini la cui vita è indissolubilmente legata al lavoro, sospesa in aria come il braccio di una gru, operai del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, l’Ilva di Taranto. Ma è anche il racconto delle contraddizioni di una città intera, sparsa su 2600 ettari di cui l’Ilva occupa 1600: facile capire chi comanda e chi dà da mangiare ai tarantini, più difficile è capire perché accade che dei bambini, come quelli di Taranto, siano in trincea per una guerra impari contro un nemico subdolo e imprevedibile, l’inquinamento. Il ricatto occupazionale e il sentirsi colpevoli di lavorare. Questo è uno dei pregi di Invisibili, la narrazione di un’umanità divisa fra la necessità e il rifiuto, la psicologia di chi ogni giorno passa quei cancelli aspettando il momento di uscirne, il malessere di chi sa che non può farne a meno pur essendone sempre tentato.

Copertina e illustrazioni all’interno di Christian Imbriani

INVISIBILI vivere e morire all’Ilva di Taranto, di Fulvio Colucci e Giuse Alemanno, introduzione di Lino Patruno, Kurumuny, 2011, pp.112; F.to 13×19 cm; 10,00€

domenica 20 febbraio 2011

Vivere con frequenza di Paolo Lunghi (Ibiskos-Ulivieri)













Dopo la pubblicazione di “Via Etere” e dopo l’uscita del “RadioLibro”, Lunghi torna in libreria con un nuovo libro che racconta la Radio attraverso i dialoghi di coloro che c’erano, visto con l’occhio dei personaggi che hanno vissuto la storia delle Radio Libere. Una storia dei nostri giorni, le molte facce della stessa medaglia che ha caratterizzato il nostro passato, il presente e che condiziona il futuro di tutti noi. Passaggi fondamentali attraverso il "tempo", il nostro "tempo", quello che abbiamo alle spalle e quello che ci resta da "vivere... con frequenza ". Tappe importanti vissute attraverso i protagonisti del vecchio e del nuovo secolo, passando dalla Radio, dalla Musica, dai grandi Concerti, dai Film, dai dubbi e dalle speranze della nostra Storia personale. Un’analisi sulle dinamiche dell’informazione e sulle logiche mediatiche, raccontate attraverso i dialoghi dei protagonisti e dei fatti realmente accaduti, che hanno determinato cambiamenti epocali e storici.

Un libro edito da Ibiskos-Ulivieri che già da oggi può vantare la vincita dell’Oscar della Radio 2010, prestigioso premio nazionale organizzato da Tonino Luppino nel comune di Vibonati.

Il libro vede oltretutto la preziosa partecipazione, con pezzi scritti di pugno, di molti personaggi noti del modo della comunicazione che, ognuno per il proprio ruolo, ha condiviso e vissuto la storia raccontata quali: Carlo Conti, Marco Baldini, Marco Liorni, Dario Ballantini, Cristiano Militello, i cantanti: Marco Masini, Leee John, Ronnie Jones, Belen Thomas, Ryan Paris, Laura Luca, il giornalista Antonio Mancini, la giornalista e On. Tana de Zulueta, oltre ad Annalisa Marconcini, il prof. Cristiano Mazzanti, l’ing. Marco Lastri, l’assessore alla cultura Eleonora Caponi e la dirigente scolastica Rossana Ragionieri, che ha redatto l’introduzione. Un viaggio nell’etere, con la musica, la creazione dei format anche attraverso i messaggi racchiusi nelle canzoni, i rapporti d’identificazione con i personaggi della radio, i film, i grandi concerti che hanno caratterizzato il nostro tempo, partendo dalla Sicilia facendo tappa in Toscana e passando attraverso molte città e paesi quali: Livorno, Firenze, Sapri, Empoli, Napoli, Roma, Venezia etc… per concludersi a Londra al mitico concerto dei Pink Floyd del 6-8-88 e poi con l’estrema espressione del concetto di normalità nelle sue molteplici e soggettive facce, anche in ambito religioso e sessuale, a Brighton città cara all’autore, sul prato del Royal Pavillion,

Un libro ricco di domande e forse risposte, che attraversano il "tempo" e che incidono sul nostro modo di vivere e giudicare, insomma una profonda storia dei nostri giorni che vale veramente la pena di “vivere”, cercando di non essere la persona sbagliata nel posto sbagliato. Un libro pubblicato grazie al supporto di REA Radiotelevisioni Europee Associate ed Assoartisti/Confesercenti, e al contributo dell’Avis, e i Fornai Pasticcioni.

venerdì 18 febbraio 2011

Tutte le cose ritornano di Loredana Costantini (Youcanprint). Intervento di Luciano Pagano









Terminato “Tutte le cose ritornano” di Loredana Costantini, è facile legare questa lettura al medesimo senso di ironia tagliente e leggero che si può trovare, ad esempio, in un capolavoro come “A livella” di Totò, una poesia che rivela ai suoi fruitori un contenuto di alta profondità: la morte rende tutti uguali, ricchi e poveri, sani e malati, senza esclusione di nessuno, sino al “livellamento” finale rappresentato dalla dissoluzione in cenere. Su queste tipologie di forma e contenuto si sviluppa l’incedere narrativo di Loredana Costantini, che parla della morte descrivendola con una giusta dose di umorismo, sarcasmo, dal sapore agro-dolce, che tenta da un lato di sdrammatizzare l’evento ultimo dell’esistenza per renderlo sensibilmente deglutibile a “noi comuni mortali”, dall’altro suggerisce che la morte può esaltare la vita. L'elemento preponderande è il dialogo. Si tratta di una forma particolare di dialogo, ovvero di una rivisitazione del dialogo platonico, molto più simile nell'ispirazione alle “Operette morali” di Leopardi, che non a caso è citato nel testo, un dialogo in cui permane l'elemento socratico dell'ironia come finzione di ignoranza che aiuta a portare a galla verità a volte scomode. Sono scene dense di un cinismo inquisitorio, pirandelliano, quelle che Loredana Costantini imbastisce per i personaggi di questo romanzo, che per situazione e condizione fanno venire in mente alcuni dei più bei film di Tim Burton. Sì perché ancora prima di incontrare personaggi 'viventi', quelli che in cui si imbattiamo sono personaggi che affatto stanchi di avere terminato la loro vita terrena si trovano a condividere gli spazi e le giornate di un camposanto, in una vita extra-mondana tutta terrestre, ancora dominata da appetiti e curiosità, in apparenza priva di inconvenienti dovuti al non esserci. L'autrice oltre a tenere desto nel lettore un senso di equilibrio tra il mondo “infero” e quello “superno”, lavora sulla costruzione di un ulteriore paradosso che si può trovare nell’aver creato fantasiosamente mondi ultraterreni che recitano la vita dei vivi, e mondi solidamente terreni, che per disavventure o fatalità vorrebbero caricarsi su di sé la consistenza dell’oltretomba. Quest’opera pone l’accento sul destino umano, che nel suo movimento tra passato, presente e futuro, è necessariamente immobilizzato da un substrato psichico, sia individuale che collettivo che rallenta qualsivoglia sistema, sino alla sua immobilità o meglio sino alla sua sospensione tra la vita e la morte. Ma entriamo nello specifico: gli universi dell'azione sono due, quello del camposanto, dove le persone agiscono le loro “esistenze” come se si trovassero ancora nel mondo dei vivi e il mondo, così come lo viviamo. Le due coppie di amici che animano il 'salotto del camposanto', Leandra e Eva, Piero e Rocco, equivalenti in rapporto di forze, continuano la stessa vita di sempre, cenano insieme, sparlano dei morti e dei vivi, fumano, sognano. Eva, Leandra e Piero sono tre amici particolari. Tre amici che trascorrono molto tempo insieme, discutono animatamente e scambiano vedute su ciò che accade nel mondo dei vivi. Eva, Leandra e Piero occupano ognuno un proprio loculo, salvo poi uscire per incontrarsi. Per loro l'al-di-là non è affatto quel luogo etereo e eterno che ci viene descritto dai poeti o dai religiosi, si tratta di un luogo che non ha nulla da invidiare al mondo in cui i protagonisti hanno vissuto prima di esserne strappati, sempre che ciò possa costituire un pregio della loro condizione attuale. I loro incontri sono pretesti per cene elaboratissime e deliziose nelle quali si allestisce un piccolo teatro della crudeltà, dove Piero e Rocco, i malcapitati di turno, devono sopportare la forza del sesso debole, rappresentato da Eva e Leandra, salvo poi intrattenerle con le loro disquisizioni filosofiche. Ci sono scene spassose, comiche, a volte più crude, e c'è addirittura un personaggio che non accetta la sua condizione e decide che vuole ritornare indietro, tra i vivi, per recuperare un pezzo di sé...rivelandoci che la psicologia non si arresta sulla soglia della vita. E poi c’è il mondo reale dove si parla della storia tragica di una famiglia, che colpita da un grave lutto dovrà affrontare le sue “giornate all’inferno” in questa dimensione, tra paranoie e depressioni ai limiti del grottesco. La vicenda di chi non c'è più si intreccia a quella di chi vive nel mondo reale. Ortensia e Stefano assistono increduli alla morte accidentale, durante il pranzo, del proprio padre. Da quel momento Ortensia dovrà fare le veci del padre per il fratello e dovrà prendersi cura, cosa sicuramente più difficile per una ragazza, della madre rimasta improvvisamente sola. Capita spesso che la ragazza si trovi a sembrare più adulta della madre. Stefano è un ragazzino di dieci anni immerso nel mondo alienante delimitato dalle due cuffiette del suo Ipod. A Ortensia capita di svenire nei momenti più inopportuni. Leandra ha un unico cruccio, essere morta troppo presto per vedere crescere sua figlia, la piccola Margherita. Su consiglio di Eva scrive una lettera a Dio, chiedendo di potere incontrare sua figlia almeno una volta. La madre di Ortensia, un giorno, racconterà a sua figlia che nonostante tutti gli sforzi fatti con suo marito, Guido, per avere figli, non ne ebbero; Ortensia, il cui vero nome è Margherita, è stata adottata. Intrigante il colpo di scena finale in giallo, che lascia ancora un po’ di appetito quando si chiude il libro. Opera da leggere e gustare senza fretta, gustandone soprattutto le vivaci pennellate di acidula corrosività che animano le sue pagine. Loredana Costantini ha una scrittura cristallina, limpida, dal ritmo serrato; tutti elementi che bisogna sapare dosare con maestria, soprattutto nei dialoghi, dove l'autrice dimostra di vincere la sfida con la propria materia. Un romanzo che attraverso la storia di due madri e di una figlia racconta la difficoltà di amare e di essere corrisposti, accompagnandoci nella crescita e nell'ingresso in uno stadio di maturità delle protagoniste, ognuna in un modo diverso. Una favola contemporanea in cui viene fatta prova dell'altruismo di una madre, fino all'estremo.

Tutte le cose ritornano

Autore: Loredana Costantini

Collana: Narrativa

Pagine: 176


giovedì 17 febbraio 2011

I 99 giorni che travolsero il Cavaliere di Philip M. Godgift (Fazi editore)





















Protagonisti del romanzo/saggio di Godgift sono i principali politici italiani che si muovono, parlano e agiscono in maniera più che realistica durante i 99 giorni che portano alla caduta del Cavaliere. Attentati, sesso, violenza, lusinghe, ricatti, pedofilia e congreghe occulte si intrecciano sullo sfondo cabalistico della lotta politica in vista delle nuove elezioni che devono decidere le sorti dell’Italia. Sembra tutta fantasia, si tratta invece di uno scenario verosimile, per non dire del tutto veritiero nell’immediato futuro: con un tono grottesco e a tratti esilarante, l’autore costruisce una campagna elettorale insanguinata e costellata di finti dossier, una svolta autoritaria che spingerà il Presidente Salernitano ad abbandonare il Quirinale e a candidarsi premier per il centrosinistra.

L’autore, Philip M. Godgift, si presenta come un giornalista italoamericano che, inviato a Roma per un’inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa, si ritrova ad assistere ai 99 giorni che portano alla caduta del Cavaliere. Su consiglio di un amico italiano ha pubblicato questo suo diario in cui ha annotato, giorno dopo giorno, senza ipocrisie e ambiguità, le impressioni ricavate dall’osservatorio privilegiato della sala stampa estera.

È stato però insinuato che Philip M. Godgift non sia un inviato straniero, ma che si tratti del nom de plume di due noti giornalisti dei maggiori quotidiani italiani che hanno dovuto indossare i panni esteri per non incorrere nelle ire dei rispettivi editori e dei loro amici variamente sbeffeggiati.

Tocca al lettore scoprire la reale identità dell’autore, aggirandosi tra i mille indizi seminati in questo romanzo che aderisce come uno spiritoso rebus alla storia politica di un’Italia già ricca di misteri irrisolti.

Link per leggere le prime 33 pagine del libro

martedì 15 febbraio 2011

Concorso letterario 8x8 – edizione 2011

Torna – dopo due fortunate edizioni, più di mille racconti arrivati, vari concorrenti sotto contratto – il concorso letterario gratuito più divertente sulla piazza.
8x8 ricerca racconti a tema libero di massimo 8000 battute. Una giuria composta da dieci lettori selezionerà otto finalisti per cinque serate.
8x8 è l’unico concorso letterario dove si sente la voce dell’autore: sarà proprio l’autore, infatti, a leggere (in massimo otto minuti) il proprio racconto di fronte a un pubblico votante e a una giuria di qualità che stabiliranno il vincitore di ogni serata.
Non si promette né si vince nulla se non i libri messi a disposizione dalla casa editrice madrina della serata e la possibilità di venire ascoltati e letti dagli addetti ai lavori.
Ad aprire le danze sarà la lettura di un inedito da parte di uno scrittore affermato.

Le serate, le case editrici madrine, gli ospiti:

• 15 febbraio 2011, ore 18,00, Roma, Fandango Incontro. Casa editrice madrina Voland. Interverrà lo scrittore Massimiliano Smeriglio (autore di Garbatella Combat Zone).
• 1 marzo 2011, ore 18,00, Roma, Fandango Incontro, casa editrice madrina Newton Compton. Interverrà la scrittrice Lorenza Ghinelli (autrice di Il divoratore);
• 18 marzo 2011, ore 20,00, Firenze, caffetteria delle Oblate, casa editrice madrina Giunti;
• 29 marzo 2011, ore 18,00, Roma, Fandango Incontro, casa editrice madrina La Nuova frontiera. Interverrà lo scrittore Paolo Piccirillo, autore di Zoo col semaforo;
• 29 aprile 2011, ore 21,30, Milano, La Scighera, casa editrice madrina Isbn.
Interverrà lo scrittore Emanuele Tonon, autore di Il nemico.
Ad ogni finalista verrà assegnato un editor professionista con cui lavorerà assieme per migliorare il racconto in vista della finale nazionale al Salone del libro di Torino.
Il termine per l’invio dei racconti è il 15 marzo. I selezionati per ogni serata verranno annunciati dieci giorni prima.

Maggiori dettagli e regolamento completo su www.oblique.it

lunedì 14 febbraio 2011

Fantafornication. L'immaginario violato di Luca Vecchi (Montag, collana Le Fenici)











Luca Vecchi, vincitore della sezione Letteratura di MArteLive 2010, si presenta al pubblico con una prima “fantasiosa” raccolta di racconti. In Fantafornication – questo il titolo della raccolta - l'autore scrive nuove sceneggiature per i personaggi che hanno animato l'immaginario infantile di più di una generazione, inserendoli, così, brutalmente in contesti tratti dalla peggiore delle realtà contemporanee. Pinocchio, Winnie the Pooh, Sailor moon e tanti altri diventano i protagonisti di thriller e film drammatici, si mescolano le carte, bene e male vanno a braccetto spingendoci a fare i conti con i bambini che eravamo e con l'ingenuità perduta. Le pagine di Fantafornication metaforicamente stuprano la società, andando a toccare quanto di più “puro” e immune dal degrado possa esserci nel comune sentire. Nel mondo dell'immaginario è sparito il lieto fine. Parliamoci chiaro, in una società come la nostra, la netta distinzione tra bene e male risulterebbe oramai una storia incredibile. Il vizio si vende meglio, il cammino dell'eroe passa per i sobborghi, si ferma dagli spacciatori o in una squallida bettola di periferia a bersi un drink, e soltanto alla fine andrebbe a fare i conti con la morale. E' difatti quello che accade a Pi-key, enorme topo giallo ex-campione dei pesi massimi, oramai alcolizzati e con i postumi fisici di una massiccia cura a base di anabolizzanti: o a Winnie l'orsetto, che si vede Charles Manson fare irruzione al bosco dei 1000 acri per portare semplicemente della sana ed effimera ultraviolenza. Che fine possono aver fatto le mitiche guerriere Sailor in una realtà sempre più mercificatrice sessualmente parlando? Si trovano infatti al ciglio del marciapiede in vendita al miglior offerente.

Luca Vecchi - "Nasce prematuro; nel senso prima del previsto: quando tutti ancora non se l'aspettano. Tuttavia lo fa già essendo anzianodentro. Studia presso il Consultorio di Santa Cecilia in Roma e, benché rimanga colpito in particolar modo dal metodo di raschiamento del Dott. Bove, si dedica a tutt'altro: la scrittura, abbandonando così quella parte della medicina dedicata alla vagina delle future meretrici del domani costrette a mantenere il frutto della loro incoscienza dovuto, niente popo' di meno che, al semplice proferire della frase "...dai, ho un'idea!...vengo fuori..." del genio che le ha condotte in stato interessante raggirandole con un'astuzia decisamente dozzinale. Riceve l'investitura di Cavaliere della Repubblica e dello Zodiaco all'irrisoria età di diciannove anni, declinando la proposta per un lavoro al fast-food di zona, dove la madre, pochi anni dopo, in un conflitto a fuoco, perderà la vita. Morso da un ragno radiattivo, al giovane R.R. vengono asportati entrambi i testicoli, rimpiazzati solo in un secondo momento da due sfere cinesi accordate in chiave di Sol. Nel '94 perde il cellulare in un cinema di Taiwan non potendo telefonare a casa per comunicare che non ce l'avrebbe fatta a tornare per pranzo. Lo scolo lo sorprende in una fredda notte di Novembre, alle porte di Aushwitz, durante il terzo Reich.

Vince il premio Nobel per la franchezza, ma é costretto a declinare per un NEGRONI fatto bene. E non come lo fanno all'Openbar, con i super-alcolici da Discount diluiti con l'indifferenza dalla barman sorpresa dai clienti in piena fase pre-mestruale. Ora scrive alternando coliche renali a mastodontici orgasmi dal retrogusto asiatico minorile con le sue concubine di tredici anni acquistate in Corea del Sud, durante una gita domenicale con la parrocchia. (O era MediaWorld?) Preferisce scrivere le prime stesure dei suoi scritti sulle carrozzerie delle automobili fresche di fabbrica. E' fermamente convinto del fatto che la cromatura metallizzata stimoli il flusso di coscienza umano.

Ora sta pubblicando un libro su questa tesi discussa nel 1862 da lui medesimo alla Bocconi di Milano. (O era MediaWorld?). Nel tempo libero adora sbucciare bambini.

sabato 12 febbraio 2011

VULCANO BUONO L’INTERVISTA A RAFFAELE CALAFIORE – NONSOLOPAROLE EDIZIONI a cura di Michela e Alessia Orlando



















VULCANO BUONO. L’INTERVISTA A RAFFAELE CALAFIORE (NONSOLOPAROLE EDIZIONI).
NONSOLOPAROLE
AL I° SALONE MEDITERRANEO DEL LIBRO. “VULCANO BUONO” DI NOLA

“NON SIAMO LA VOCE. QUELLA APPARTIENE A TUTTI COLORO CHE A VARIO TITOLO PUBBLICANO SUL PORTALE. NOI SIAMO SOLO L’ECO!”
NonSoloParole.Com

I° SALONE MEDITERRANEO DEL LIBRO:

http://www.vulcanobuono.it/it/fiere/salone-mediterraneo-del-libro.html

IL DESTINO DELLA LETTURA E DEGLI E-BOOK, E TANTO ALTRO ANCORA IN UNA “CONVERSAZIONE” CON RAFFAELE COLAFIORE, SCRITTORE E FOTOGRAFO NONCHÉ PROTAGONISTA TRA LE TANTE ANIME DI NONSOLOPAROLE.COM.

Abbiamo svelato come nel Vesuvio ci sia un negozio di colori. Da una delle tante “visioni” è nato l’articolo: http://www.napolimisteriosa.it/alessia-e-michela-orlando-vesuvio-una-surreale-visione/
Siamo state costrette a ritornare sul tema giacché ci siamo imbattute nel “VULCANO BUONO”, quello che si vede dall’autostrada all’altezza di Nola. Quello progettato dall’architetto Renzo Piano, anche lui visionario, ma con attitudine a lasciare segni ben più duraturi dei nostri.
Non ci siamo mai state, limitandoci a guardarlo da lontano, rasentando il torcicollo. E ora ci giunge l’invito a verificare che cosa sia già accaduto e cosa stia per accadere nel I° Salone Mediterraneo del Libro (5-13 febbraio 2011; ingresso libero).

L’invito ci è giunto da Renato Calafiore che, quando ci siamo imbattute in NonSoloParole, ha immediatamente risposto a una nostra mail. Volevamo sapere qualcosa di più sul loro portale. È un web_container che non può non colpire. Eviteremmo di dire quali siano i pregi, giacché certe perle vanno scoperte in prima persona.

Alla seconda mail eravamo ormai sulla strada della concretezza. Volevamo porre qualche domanda e se gentilmente qualcuno ci avesse risposto gliene saremmo stati grate. È tutto qui.

L’INTERVISTA

D– Per l’articolo, vorremmo sapere poche cose. Da dove nasce l’idea del portale?

R – L’idea nasce verso la metà del 2000, quando si assisteva alla crescita esponenziale delle connessioni a internet, e sempre più persone si relazionavano in rete. Un nuovo modo di comunicare si stava facendo strada. La domanda che mi sono posto, e che poi ho condiviso con altre persone, era: in che modo questo nuovo mezzo potrà influire nel fare comunicazione e nel fare arte…oltre che nella fruizione. Da qui l’idea di creare uno spazio che potesse essere punto di incontro tra l’istanza della creazione e quello della fruizione all’insegna della libera circolazione delle idee.

D – A chi i meriti; i collaboratori…

R – L’idea di partenza è stata di Raffaele Calafiore (mia), scrittore e fotografo, ben presto condivisa da altre persone, tutti professionisti della comunicazione. Al nucleo di fondatori, si sono succeduti in questi anni altri e nuovi collaboratori. Tra i co-fondatori, oltre il sottoscritto vanno ricordati: Tristana loj, Ciro Riccardo, Paolo Mazzotta, Sergio Gandrus. Qualcuno si è subito distaccato…qualche altro è rimasto per oltre un anno. A questi si sono poi succeduti, tra i tanti collaboratori, Luciano Mallozzi e Assunta Veneruso. Ma i veri protagonisti sono stati gli utenti del portale che con le loro storie, poesie, recensioni, foto, commenti e sfoghi…lo hanno animato; in una ottica di redazione allargata e organizzata NON verticisticamente, ma in modo orizzontale. Se vuoi… potremmo dire oggi con molta tranquillità che NonSoloParole è stato come un grande BLOG, quando questa parola/concetto era per nulla usata. Poi, nel 2003, è iniziata anche la nostra avventura su carta, con l’omonima sigla editoriale NonSoloParole Edizioni. Un’avventura che dopo una pausa durata due anni (2008-2010), riprende nei primissimi giorni del 2011 con la messa in linea del nuovo portale www.nonsoloparole.com , rifatto nella grafica e implementato nelle funzioni…sempre seguendo una logica di libera circolazione delle idee.
Da subito, nel 2001, avevamo lanciato lo slogan “NON SIAMO LA VOCE. QUELLA APPARTIENE A TUTTI COLORO CHE A VARIO TITOLO PUBBLICANO SUL PORTALE. NOI SIAMO SOLO L’ECO!

D – Cosa si pensa dei nuovi mezzi di comunicazione, da Internet all’iPad, in relazione alla scrittura: sono davvero utili?

R – Sicuramente hanno aperto nuove finestre. In nessun caso hanno soppiantato i vecchi media, ma si sono aggiunti a essi. Un nuovo modo di comunicare e, da qualche anno, con un proprio linguaggio più strutturato. Mi spiego meglio: all’inizio si è pensato di applicare a internet, la stessa logica che governava la carta stampata o la televisione… ed erroneamente all’inizio si pensava che ogni cosa che fosse dotcom o avesse la chiocciolina nel mezzo… fosse destinata al successo… La storia ci ha insegnato che non è cosi. E se provi a guardare l’evoluzione anche degli mesg pubblicitari che passano su internet…puoi immediatamente renderti conto che hanno subito una modifica radicale, rispetto a tv e stampa… anche perché il sistema internet permette di interagire immediatamente e direttamente con il potenziale cliente,,, cosa che non avviene per gli spot tv, con affissioni o cartacei. In merito poi al concetto di comunicazione,,,in termini più ampi: sicuramente internet ha permesso il compiersi di una democrazia. Soprattutto nella circolazione delle idee e dei saperi,,,anche se, però, c’e’ da considerare una cosa importante: la troppa informazione (intesa come valanga di parole/concetti/dati), annulla la stessa informazione, nel senso che la disperde…

D – E gli e-book possono essere-divenire uno strumento che incentivi la lettura?

R – Incentivare la lettura? Questa si che è una bella domanda…In un paese fanalino di coda in Europa per tasso di lettura (dopo di noi ci sono la Grecia e il Portogallo), narcotizzato dalla tv/spazzatura, modificato antropologicamente da venti anni di tv commerciale… Come si fa a recuperare persone verso la lettura?…che poi in sintesi è la disponibilità a porsi in ascolto di un pensiero altro da sé, e riflettere su quel pensiero… Come si fa? È una domanda che mi pongo un giorno si e l’altro pure… Per quanto concerne gli e-book, sicuramente avranno una esplosione, grazie anche ai costi più abbordabili dei lettori portatili,,,ma temo che possa essere solo un fuoco di paglia, legato più alla moda che non alla crescita di lettori. Poi, sarà che sono legato alla puzza della carta stampata, preferisco il cartaceo di gran lunga…anche se NON nego i vantaggi dell’e-book, soprattutto pensando a testi di manualistica,,, codici…legislazione….insomma verso quelle pubblicazioni più tecniche,,,strumentali e meno di svago.


Ma spero di sbagliarmi e che qualcuno tra un po’ mi possa dire… “che c…dici?...dati alla mano non vedi che siamo passati dal terzultimo posto al secondo posto per tasso di lettura/popolazione?”; davvero mi piacerebbe sbagliarmi…

D – Quali dovrebbero essere i requisiti dell’e-book per essere davvero letto, magari anche a scuola? La graphic novel potrebbe essere uno strumento capace di interessare ragazzi e magari gli adulti abituati a leggere i classici?

R – Sicuramente nuove forme di scrittura…e, perché no, anche la novella grafica,,, possono incentivare, appassionare di più, soprattutto quando parliamo di testi di studio…quindi testi imposti e non scelti. Renderli più piacevoli,,,godibili,sicuramente aiuta. Ma credo che il vero lavoro vada fatto nell’educare le persone al confronto… a considerare che esiste un “altro da sé” e mettere in moto un meccanismo di scoperta e di confronto…

la cover è del libro di Giovanni Messina "Diario di una guerra quasi giusta"

venerdì 11 febbraio 2011

La porta del tempo” di Fabio Calenda: dalle radici dell'antichità riscopriamo le pulsioni dell'uomo. Intervento di Roberto Martalò












Al suo esordio come scrittore con “La porta del tempo”, Fabio Calenda tiene incollato al libro il lettore grazie a un thriller epico-fantasy avvincente e avventuroso. Alle prese con una vita che non lo soddisfa e sull'orlo del licenziamento dal lavoro, l'inviato Robert Zardi si reca in Grecia per uno scoop che potrebbe rilanciarlo: il bizzarro archeologo Kostia Strapoulos avrebbe infatti rinvenuto nei sotterranei di Micene delle tavolette d'argilla del 1184 a.C. che rimandano alla guerra di Troia e a un segreto vaticinio legato agli Asterii, misterioso popolo scomparso da millenni. Suo malgrado, Zardi si troverà coinvolto da questa scoperta fino a essere risucchiato in una dimensione temporale che lo proietterà nella Grecia di Agamennone tra intrighi, minacce e una missione da compiere per ordine della regina Cletemnestra e di Omero. Calenda ci guida con un romanzo avvincente e intrigante nella Grecia antica, deliziandoci con un linguaggio forbito, che ricostruisce alla perfezione l'atmosfera del tempo con le sue suggestioni e le sue credenze ma anche con le attività quotidiane e le descrizioni di personaggi e luoghi. Lo scrittore infatti si dimostra abile nel delineare i protagonisti del libro: da Strapoulos alla regina Clitemnestra, da Omero a Dinamos. La figura di Robert Zardi inoltre è molto suggestiva: un tipico uomo dei nostri tempi, tormentato dai suoi egoismi e dalle sue fragilità, incapace di prendersi le responsabilità che un matrimonio e un figlio comportano e assillato dalla frenesia dei ritmi contemporanei. Catapultato nell'epoca antica, Zardi curerà se stesso e le sue paure fino a scoprire l'importanza di certi valori che la nostra quotidianità ci porta spesso a sottovalutare. Brama di potere e guerra, lealtà e tradimenti ma anche amore e odio: l'autore attraverso i suoi personaggi affronta temi e sentimenti che sono alla base delle azioni che hanno scritto gran parte della storia occidentale. Consigliato soprattutto a chi ama il genere epico e il fantasy, La porta del tempo è adatto a tutti per qualità ed eleganza di scrittura e per un intreccio ben costruito e sviluppato dal ritmo incalzante.

La porta del tempo di Fabio Calenda

Einaudi, 367 pag, 20 €

giovedì 10 febbraio 2011

L'uomo nel vento di Aniello Ertico (Osanna edizioni)





















L’incontro tra due artisti – Aniello Ertico, Direttore di banca per professione e scrittore per vocazione (la sua prima raccolta di versi è stata con successo tradotta e pubblicata in Spagna) e Antonio Masini, pittore, scultore e incisore (le sue opere sono presenti in varie parti del mondo) – ha dato vita a questa singolare raccolta di versi nella quale il lettore viene invitato, poesia dopo poesia, ovvero, per dirla con l’Autore, “stazione dopo stazione” (“stazione”, s’intende, in senso liturgico) a un confronto serrato tra la parola, non sempre facile e accessibile, e l’immagine che le risponde, talora con espressione altrettanto criptica. Un’opera di innegabile fascino e originalità per chi ama la poesia, per i cultori tutti del bello e dell’arte.

Aniello Ertico è nato nel 1973. Risiede a Genzano di Lucania ed attualmente lavora a Potenza. Esperto d'arte sacra, è conoscitore dei più suggestivi luoghi lucani intrisi di pietà popolare. I riconoscimenti della critica hanno inoltre sottolineato la valenza in ambito artistico quale autore di quadri fotografici. Emissione massiva è la sua prima opera letteraria data alle stampe (www.progettocultura.it)

Autore/i: Aniello Ertico

Editore: Osanna Edizioni

Collana: Poesia

Prezzo deastore.com (info) euro 20.00

Formato: Libro, illustrato

mercoledì 9 febbraio 2011

Drammaturgia nel processo penale di Marcello Strazzeri (Besa editrice)














Il processo penale può essere analizzato e descritto secondo modalità diverse: quelle proprie del discorso giuridico-penale, quelle mutuate da una teoria della figurazione, quelle drammaturgiche che concepiscono il processo penale come rappresentazione di un dramma teatrale. Basta seguire dal vivo la dinamica sequenziale di un processo per avere contezza della molteplicità delle similitudini nei ruoli prefissati e nelle parti assegnate, quali l’accusa svolta dal pubblico ministero e la difesa svolta dall’avvocato, in uno spazio definito, separato dal pubblico, che assiste in silenzio rispetto agli attori a cui spetta la parola. Questo studio si propone una descrizione paradigmatica del processo nel tentativo di delineare, sul piano teorico e metodologico, una sorta di drammaturgia del processo penale, concentrandosi sulle pratiche discorsive attraverso cui il diritto vivente opera nella società rispetto a quello vigente, consegnato a codici, leggi, editti. Ogni testo citato, da Dostoevskij a Musil, da Camus a Bulgakov, da Dürrenmatt a Cechov costituisce il tassello di tale mosaico.


Marcello Strazzeri insegna Sociologia del diritto e Sociologia del Crimine presso la Facoltà di Scienze Sociali, Politiche e del Territorio dell’Università del Salento. Tra le sue pubblicazioni: L’eclissi del cittadino. Attore e sistema sociale nella modernità (Pensa, 1997), Figurazioni letterarie del mutamento sociale (Manni, 2003), Il Giano bifronte. Giuridicità e socialità della norma (Palomar, 2004) e Il teatro della legge. L’enunciabile e il visibile (Palomar, 2007).

Fiume di tenebra, l'ultimo volo di Gabriele D'Annunzio

un romanzo di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino

Recensione di Silvia Agogeri su ARGONLINE

Fiume di Tenebra è più di un romanzo, è molti romanzi. O meglio, è un romanzo a strati. A un primo sguardo, si tratta della ricostruzione di una pagina tanto peculiare quanto oscura della storia italiana: dopo la Grande Guerra, si fa strada in alcuni animi italiani l’idea della vittoria mutilata; il poeta soldato D’Annunzio, incapace di porre fine ai suoi ardori guerriglieri, entra a Fiume con il suo gruppo di soldati Arditi a cui nulla è rimasto da perdere se non la vita per un ideale. Il sogno patriottico di D’Annunzio si trasforma però in qualcosa di distorto, confuso e paradossale, e Fiume diviene un “mondo a parte”, che non piace alle autorità italiane. In questo contesto, la storia racconta di un fallito attentato ai danni di D’Annunzio che avrebbe preso le mosse da un gruppo di cospiratori. Fiume di Tenebra è questa storia, ricostruita dall’interno; è il racconto di Italo Serra, comandate nato e sopravvissuto, che parte per Fiume con una missione da compiere: uccidere D’Annunzio. Basato su fonti storiche, testimoni dell’attentato al Vate, questo romanzo costruisce una storia di uomini affranti dalla Grande Guerra, di soldati bambini incapaci di ritornare alla vita e di italiani entrati a Fiume Città di Vita, a Fiume la Santa, per sostenere un sogno poetico di libertà.
Senza dubbio incuriosisce che il romanzo prenda il via da fatti reali; il legame con una realtà storica di per sé discussa e forse mai del tutto chiarita, così come la presenza di nomi che richiamano un’identità storica e culturale, suscita necessariamente interesse in ogni lettore italiano. Esiste una complessità tipica delle narrazioni di vicende contraddittorie come quella di Fiume, che consiste nel rischio di situarsi ideologicamente da una parte, finendo per dare una visione soggettiva della storia. Gli autori di Fiume di Tenebra riescono a evitare questo giudizio di valore, e a trasmettere la complessità della vicenda lasciando aperta ogni possibilità. Scrivendo a quattro mani ma con un unico stile, Massimiliano e Pier Paolo di Mino depositano nelle mani di Italo Serra le contraddizioni di Fiume che sono anche quelle della natura umana, un congeniale Italo Serra preda di traumi interiori ed esteriori, indecisioni, tentennamenti, incongrue amicizie, riflessioni introspettive che indubbiamente non trovano spazio neanche nei migliori libri di storia.
Nella seconda parte del romanzo, Italo Serra si trova a Fiume, coinvolto nella vita quotidiana di alcuni soldati sostenitori del Vate. La narrazione, che avviene sempre dall’interno, si nutre di un linguaggio forte, crudo, sorprendente, che catapulta il lettore indietro nel tempo, spettatore inerme di episodi drammatici e profondamente umani. I personaggi storditi dalla storia si muovono in atmosfere deliranti, rinnegano i bisogni primari dell’uomo in nome di un nuovo essere,  per il quale il cibo e il sonno altro non sono che veleni che distolgono l’attenzione dalla loro teatrale missione militare e poetica. La ricerca della verità si nutre di cocaina e di droghe che imitano la funzione dell’oppio nei poeti visionari, coloro che fumano per vedere aldilà della pelle del giorno, coloro che, come dice Cocteau, si drogano per scendere dal treno espresso che corre verso la morte. La poesia copre come un velo la totalità del romanzo, trasformando il patetico in mistico. Essa eleva la ricerca di una giustizia al di sopra dei confini della storia, una giustizia naufragata nell’ingiustizia della condizione umana. È qui che il romanzo si separa dalla storia e diviene atemporale, perché Fiume si trasforma in un simbolo della ricerca di un’umanità perduta.
Questa storia non è mai successa a nessuno” esordisce il romanzo. Una frase che racchiude un doppio significato: da un lato rifiuta la definizione di “romanzo storico”, dall’altro innalza la storia sopra la storia, trasformandola in mito, in momento simbolico dell’Italia, dell’uomo. La simbologia religiosa ritorna costante e violenta nei dialoghi dei personaggi, richiamando un sentimento primordiale di peccato e redenzione insito nella morale cristiana, prigione dell’uomo libero. Allo stesso tempo, si situano come riferimenti credibili in un’Italia del 1920, nella quale i soldati partivano per la guerra forti di una solida fede religiosa. 
I simboli religiosi si alternano a quelli pagani, attraverso i quali si riversano la rabbia e il timore ancestrali nell’uomo che diventa bestia. La bestia-poeta è la grande contraddizione di Fiume e dell’uomo; è la contraddizione di D’Annunzio, che si fece amare e odiare da un popolo intero. La terminologia animalesca utilizzata per descrivere i soldati non può non ricordare la figura mitologica del centauro, metà uomo e metà animale, possessore di tutti i pregi e tutti i difetti dell’uomo. Gli autori di Fiume di Tenebra scrivono con la zappa in mano, con quella brutalità necessaria a scavare nella memoria della specie, nei sentimenti di distruzione atavici dell’uomo. All’inizio della seconda parte del romanzo, diviso in due parti e numerosi capitoli brevi e incalzanti, compare una citazione di Carl Gustav Jung: “Il segreto è che solo ciò che può distruggere se stesso è vivo”. Ecco come si esprime la ricerca dei soldati, che nel delirio arrivano a fare chiarezza sulla condizione umana.
L’introspezione presente nelle riflessioni del tenente Keller, di Giuliano, di Comisso, dello stesso Serra, si manifesta spesso per metafore che si nutrono di elementi naturali rappresentativi di sensazioni e disagi umani, come la nebbia, l’acqua, le tenebre, o ancora attraverso oggetti tipici della ricerca psicanalitica, quali gli specchi, artefici della costruzione della natura illusoria dell’uomo. I riferimenti al mondo antico e agli eroi greci sono numerosi e conferiscono un carattere epico all’opera e all’impresa di Italo Serra. Nell’ultima parte, si rivive un altro incontro mitico, quello tra Eros e Thanatos, intesi in psicologia come la pulsione di vita e la pulsione di morte ma teorizzati da Bataille e dai filosofi francesi del ‘900 come stretta e naturale relazione tra l’erotismo e la violenza.
Colpevole di questo incontro-scontro tra Eros e Thanatos è la bella Ada, una donna che come Italo Serra progetta la fine dell’esperienza fiumana. La casa di Ada, nella quale Serra viene trascinato, è un ambiente estraneo a tutto il resto, profondo, assurdo, incomprensibile. É la tana del Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, descritta minuziosamente, con porticine che conducono ad altre porticine sulle note di un pianoforte in fondo all’oceano, un mondo parallelo a quello in superficie, un mondo di terrore e di gioco, ma di gioco mortale. “Questa storia non è mai successa a nessuno”, non è mai successa a nessuno ma più di altre narra una verità nascosta. Così è l’arte, per dirlo ancora con Cocteau: un paradosso che rivela la realtà, o più semplicemente, una menzogna che dice sempre la verità.
 
Silvia Agogeri

martedì 8 febbraio 2011

Tra la palpebra e l'occhio di Vito Russo (LietoColle)
















.. niente è lasciato al caso nell’accumu­lazione apparentemente casuale e caotica di oggetti ed eventi e luoghi e momenti e sensazioni e persone e ricordi e nomi, tutti evocati per virtù di parola dalla melassa della quotidianità e infilati un verso dopo l’altro, come in uno svogliato inventario, a far da cornice alla rasse­gnazione e al lasciarsi andare ai capricci della sorte. Sono impressioni volute, generate apposta dall’effetto tonale della voce poetica, dall’uso scaltrito del linguaggio, dello stile. Dunque impressioni menzognere, come tutto, nella rappresentazione letteraria, è invito alla menzogna: menzogna buona, si capisce, per meglio demistificare la realtà e snidare il vero che in essa si celi. Niente di meno rassegnato di chi cerca un senso nel caos.
[…]
In quell’invisibile intervallo tra palpebra e occhio rivive così tutto il film insensato del mondo esterno, e insensato resta finché non passa attraverso il filtro della parola poetica, attraverso la rappresentazione di un mondo altro, riscattato dal buio, dal silenzio, o al contrario dalla chiassosa insignificanza, rinnovato dal pensiero, vivificato dal senti­mento, offerto ad altri col bisogno di relazione. Insomma un ‘vissuto’ che non perde affatto consistenza di realtà oggettiva, anzi acquista co­scienza e parola, assume spessore morale, si lascia afferrare come corpo vivo, vive di un’altra vita in cui non siano spersi per sempre il senso e la speranza.
Dalla prefazione di Carmine Tedeschi

Tra la palpebra e l’occhio
le unità di misura
il tempo e lo spazio la carne
e le carte da gioco l’asso di denari
la scintilla dei fuochi d’artificio
i dialoghi coi nomi poi il lavoro
le leggi del mercato la televisione
tra quello che si vede e non si vede.