Kamal è un ragazzino nepalese,
orfano, naufrago nella miseria, eppure appartenente all'alta casta dei Newari,
la casta egemone a Kathmandu, culla floreale dell'omertà. È innamorato di
Buddha, il cui nome egli pronuncia per allontanare la paura mentre si sciacqua
nelle pozzanghere o durante le meditazioni del nonno sciamano. Come tutti i
suoi coetanei carezza il sogno di una vita, ma a differenza di essi sacrifica
il corpo per realizzarlo: svende un rene ai trafficanti di organi che operano
tra Oriente e Occidente. È una piaga di inaudite proporzioni che contrasta la
diffusa spiritualità orientale, una dualità spirito/macelleria che si ripete in
tutto lo sfogo di Kamal. È un vomito silente che scorre nel cinismo dei turisti
sui risciò, nelle mani dei medici collusi con le organizzazioni dedite alla
mercificazione delle vite, nella violenza e nello schiavismo perpetrati sui
minori. Un vomito che rifluisce intorno ai bordi della vergogna e della rabbia,
in cui a sopravvivere resta solo il sentimento improvviso della pietà come una
reincarnazione nel futuro.
“Kathmandu - Calcutta, solo
andata. Sì, io ritorno, io sì, ma ultimamente ho il vizio di farmi portavoce
del mio rene e quello quando emette parola, tra una drenata e l’altra, è serio
e sentenzioso; almeno lui conosce il proprio futuro, arresta la sua indefessa
marcia di filtraggio, s’asciuga il sudore come un contadino della valle e dice
che sì, questa è la volta buona che abbandoni un corpo immeritevole e
infruttuoso a favore di altre mete capitaliste. Ha un suo orgoglio il rene,
roba da schifiltosi, come il sangue. Sarà per la sua predisposizione al viaggio
e per il fatto che anziché sborsare rupie egli guadagni somme cospicue per questi
spostamenti. Lui ha un altro corso, ha già l’occhio al sorpasso, oltre l’umido
opprimente di Calcutta; chissà, forse lo vedremo giocare a rimpiattino tra le
finestre smog style del Colosseo, o improvvisare una piroetta circense sui
resti del Muro di Berlino, prima di scendere in terra a piè pari, davanti al
murales di Brezhnev e Honecker che si stampano un bacio in bocca. Chissà, forse
ci invierà una fotografia sfocata mentre che l’ascensore vitreo lo sbatacchierà
su e giù per i bulloni acciaiosi della Torre Eiffel. Il mio rene avrà la voce
di tutti i turisti che mi hanno parlato e a cui ho affidato i miei occhi. Il
mio rene avrà il piede veloce, la sillaba cis pronta per ogni kanon impicciona e
il silenzio, come dire, alla moda.
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