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martedì 31 agosto 2010

Einstein secondo me a cura di John Brockman (Bollati Boringhieri, dal 2 settembre 2010)




















Un Einstein inedito, i mille volti che non ti aspetteresti di un genio. Tutti conosciamo Einstein, o pensiamo di conoscerlo: il vecchietto geniale e bizzarro che scorrazza in bicicletta per i viali di Princeton, con i suoi capelli bianchi e scarmigliati, o che fa irriverenti linguacce ai fotografi. Ma cosa c’era dietro questa superficie ormai cristallizzata, come per altre icone del Novecento, in migliaia di gadget, poster, magliette, tazze, magneti per il frigo, pupazzi? Chi era davvero Einstein e soprattutto che cos’è stato per quelli che l’hanno conosciuto o le cui biografie si sono indirettamente incrociate o sovrapposte alla sua? Ventiquattro scienziati, o meglio ventiquattro intellettuali, ci raccontano in questo libro che cos’ha significato Einstein per loro, come ha influenzato le
loro esistenze, le loro vite professionali e personali, ci portano a conoscere l’Einstein privato, quello molto lontano dall’aura del saggio che circonda la sua immagine più diffusa. Questo libro è un’autentica testimonianza del potere che può avere un lascito scientifico ed è una lettura entusiasmante, alla portata di tutti.

John Brockman (1941) è scrittore, agente letterario e animatore di Edge, il sito web della «Terza Cultura», dove scienziati e intellettuali di primo piano condividono le loro ricerche con il pubblico. Tra i saggi tradotti in italiano: I nuovi umanisti (2005) e 135 ragioni per essere ottimisti (2009).

lunedì 30 agosto 2010

Questa città che sanguina di Alex Preston (Elliot). Intervento di Stefano Donno




















Wall Street, film splendido del 1987. Nella New York dell’alta finanza ciò che conta veramente è il potere dei dollari. Bud Fox (per gli amici Buddy) è uno splendido quanto anonimo broker con un solo imperativo categorico al di là del bene e del male: “Il successo si condensa in pochi attimi”. Il destino di Buddy cambierà radicalmente dopo l’incontro con lo spietato e spregiudicato finanziere d’assalto Gordon Gekko. Il film è una bella panoramica sul mondo della finanza negli anni ottanta, intriso di yuppismo, avidità, e scelleratezze varie dove il grande Michael Douglas rappresenta l’incarnazione del rampantismo e del “self-made man” degli anni ottanta, che sacralizza il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze.
Siamo nell’ambito della cinematografia contemporanea, anzi siamo nell’orizzonte degli eventi che appartengono alla storia del cinema, forse cosa ben più diversa. Diciamo che ora, ai nostri giorni, i tempi erano maturi perché qualcuno realizzasse, in questo nuovo millennio, un romanzo ambizioso, riuscito, che raccontasse una storia dove il ghiaccio rovente dei mercati finanziari e la dura realtà si fondessero in un’alchimia originale, ovvero in un prodotto in grado di avere un’alta resa di stile, e allo stesso tempo dotato di eleganza e brutalità. Ad oggi l’unico in grado di operare questo miracolo è un esordiente: Alex Preston. Classe 1979. Ha lavorato nel settore della finanza a Londra, dopo la laurea ad Oxford e aver ottenuto la CFA designation in economia. “Questa città che sanguina”, in Italia pubblicato da Elliot, in Inghilterra è stato un vero e proprio caso letterario e considerato uno dei migliori esordi narrativi dell’anno.
La storia: Charlie Wales vuole conquistare “il mondo” della finanza. Comincia la sua carriera finanziaria nella City, e con tanto di “resistenza sovietica” fa lo slalom tra le mille difficoltà iniziali, dal rapporto travagliato che lo lega alla splendida Vero, alla vita di ogni giorno nel lavoro e con gli amici e inquilini. Ma … c’è un ma! La scalata al successo a Londra per Charlie vuol dire investimenti ad alto rischio, e operazioni ai limiti della legalità proprio mentre fuori dal suo ufficio dove è come se fosse “sepolto vivo”, sta per esplodere la peggiore crisi economica mai conosciuta… La forza di questo lavoro sta nel rigore con cui Preston coniuga un alto valore letterario con i tecnicismi propri di un guru dell’economia, riuscendo a esprimere in maniera drammatica la perdita di senso e valore della nostra vita contemporanea, schizofrenicamente divisa tra modelli “glocali” economici avanzati e un senso di spaesante provvisorietà

domenica 29 agosto 2010

"Quiete e Primavera” di Jole Chiara Romano (MEF edizioni)











“Quiete e Primavera” di Jole Chiara Romano (MEF edizioni) per versi raccoglie frasi, poesie, momenti, stati d’animo come momento di dialogo metrico con il proprio Io poetante. Si tratta di un volumetto di 65 pagine ricche di vita, volti, storie molto vissute, in cui i pensieri tentano di superare i dis/equilibri dell'esistenza.

Ho fretta

Sono quì vorrei essere lì
e viceversa.
Ansia placati, lasciami vivere.
Vita sii clemente con me.
Amore compari
e spicciati, per favore?

sabato 28 agosto 2010

Brasarsi di Max Cabrerana (Cut-Up edizioni). Intervento di Stefano Donno





















Cut-Up Edizioni ha pubblicato da poco “Brasarsi”, la raccolta di racconti dello scrittore di Viareggio Max Cabrerana. L’autore vive in Italia, ha scritto racconti che sono stati pubblicati su diverse riviste letterarie e ha sceneggiato brevi fumetti. Una cosa devo dirla prima di scrivere di questo lavoro. Più volte sono stato tentato di chiuderlo, gettarlo via … ma non certo per una mancanza di capacità o proprietà di tenuta di stile dell’autore. Pervasivo è stato un forte senso di nausea, che ho provato pagina dopo pagina, quella stessa nausea che ho avuto guardando il remake di “The Texas Chainsaw Massacre”. Sono dieci racconti che definirli duri, spietati è poco: il tentativo di Cabrerana di potenziare scene, storie, e contesti attraverso un’iper/surrealismo (che ad alcuni potrebbe risultare addirittura comico) non fa altro che trasformare il tutto in una poltiglia terribile … e a me il pulp piace! A mio avviso il libro da un punto di vista narratologico rende concreto un discorso su quelli che sono gli aspetti cruciali della sofferenza mentale sociale nell'angoscia e nella paranoia, nella disperazione e nella dissociazione, nell'ossessività e nell'euforia, vale a dire i tracciati emozionali di ogni esperienza neurotica o psicotica che oggi viene indotta dalla Matrice dei contesti in cui ci troviamo a vivere. In una parola Max Cabrerana descrive la perdita di direzionalità dell’individuo, ovvero il senso di smarrimento del soggetto quando la sua vita si trasforma in un colabrodo, in cui le falle sembrano aprirsi in successione inarrestabile, senza che si possa avere il tempo di porre dei rimedi. Mettendo a rischio la stessa qualità della vita, ma anche l’equilibrio mentale. Ed ecco che attraverso una carrellata piena di malvagità e pura cattiveria, prendono corpo tra le pagine di questo libro, mostri di ogni genere, depravati, omicidi, malati mentali, in poco più di 148 pagine. Dunque dieci racconti duri, spietati. Ad esempio, che cosa potrebbe accadere ad un gruppo di animalisti “cazzuti” che irrompono in un orrido laboratorio dedito alla vivisezione? Che soluzione potrebbe trovare un mimo che scopre di essere affetto dal morbo di Parkinson e non vuole rinunciare al suo lavoro? Che ruolo può avere di così interessante da raccontare un telefono che assiste ai ripetuti e squallidi tradimenti di un marito insoddisfatto e patetico? Che ci fa l’attore di una soap opera con il cadavere della fidanzata uccisa in un raptus di follia? Cos’hanno da spartire Adolf Hitler e Sigmund Freud che si incontrano casualmente in una sordida birreria nella Vienna asburgica. Le risposte non sono poi così tanto ovvie, e Cabrerana lo dimostra inequivocabilmente. Consiglio, mentre si legge questo lavoro, come sottofondo il gruppo STASI (Cristina Puia, Ruggero Ruggeri, Luana Barnabà, Chiara Vidonis, Francesco Merenda) con il loro ultimo lavoro IDENTITA’. Il loro sito è : http://www.gruppostasi.it/home.html


Max Cabrerana è nato nel 1975 e vive in Italia. Ha pubblicato racconti comparsi su Antologie come Humorotica e Ciao come sto? (Ed. Liberodiscivere), Frammenti di cose volgari (Ed. BooksBrothers) e riviste (UndergroundPress, Toilet). Ha scritto sceneggiature per fumetti (Prof. Rantolo vol.2 Ed. IlFoglio).

Questa è la sua prima raccolta monografica.

venerdì 27 agosto 2010

Tra i segreti delle ombre. Luigi Scorrano sul libro Inganni di Giulio Palmieri (Lupo editore)





















Quale sorte attende il dio che ha contravvenuto alle leggi dell’universo facendo della finzione un’arte per gli uomini? Quale sarà l’esito di un’impresa la cui stazione di partenza è una desolata landa infeconda dove la vita degli uomini è bruciata dal sale amaro del fallimento? Quale la mèta che un uomo solitario si propone di raggiungere elaborando enigmi destinati al gioco ma attingendo, oltre il gioco, ad un enigma solo per lui intravisto o appena svelato? Una fantasia legata alla remota mitologia mesopotamica; un fatto storico nella cornice di un Medioevo al tramonto; il paesaggio senza luce della città moderna e le oscure vicende di un uomo come tanti: sono, in sintesi, il teatro delle storie messe in scena da Giulio Palmieri nella sua, già notevolmente matura, prova d’esordio in campo narrativo. Siano, i protagonisti, uomini o divinità, li unisce un comune destino: soggiacere all’inganno della vita, vivere sul confine incerto che divide vita e morte, luce ed ombra, cognizione sicura delle cose e balbettante approssimazione nata dal considerare saldo quanto è solo ombra, labile la durezza di esperienze contro le quali si può urtare tragicamente. Tutto è immerso, per loro, in un universo che vacilla di continuo, s’addensa e si scioglie, nella «vaga deformità di ciò che non esiste»: in ciascuno di loro si compie il destino ch’è del protagonista di uno di questi racconti, e cioè vivere una vita «spogliata di sé stessa e invasa dalla propria parvenza». All’insegna dell’inganno, quello che l’uomo stesso si costruisce, la vita affonda in un’illusione in cui i fantasmi della mente acquistano o perdono consistenza e le segrete paure spingono ad erigere difese contro il disfacimento, contro la morte. L’azione gloriosa sognata si sfalda in una beffa atroce; Luigi IX di Francia sarà giocato dalla morte, il signor Pampuja dal suo inconfessabile segreto, l’innominato protagonista de Il demone da una legge che egli non può piegare alla sua volontà o ai suoi giochi crudeli. Sembra soggiacere alla uguaglianza numerica e all’ambientazione di ogni racconto una sorta di struttura flaubertiana: anche i Trois contes dello scrittore francese (Un cœur simple, La légende de saint Julien l’hospitalier, Hérodias) sono ambientati uno nell’età moderna, uno nel Medioevo della Legenda aurea, l’altro nel paesaggio e nel clima delle narrazioni bibliche. Calcolata o casuale, la corrispondenza è suggestiva. Altrettanto suggestivo il profilo dei protagonisti, tutti e tre intesi a mettersi alla prova sfidando o lo strapotere dell’autorità o un esercito da aggredire e vincere o quello che si definisce il senso comune. In realtà sono pulsioni profonde quelle che li guidano all’azione. Quale che sia il posto che essi occupano nel consorzio umano, tutti sono vittime di un’aspirazione a uscire dalla imprigionante condizione che è stata loro data per compiere, agli occhi degli altri o solo di se stessi, un’impresa alla quale affidare il proprio nome e attraverso la quale affermare la propria individualità. Questo non si compie, o resta un desiderio frustrato dall’impatto con una realtà che non corrisponde a quella che ognuno di essi per sé vagheggia e pensa di dominare. Una storia comune, infine; perciò non ci sorprende vedere il signor Pampuja del racconto La bambola come un fratello dell’innominato protagonista di una famosa novella pirandelliana, La carriola. Là, il personaggio narratore afferma l’identità della propria tragedia con quella di «chi sa di quanti!». Non si vogliono indicare corrispondenze tra differenti vicende, ma l’affinità che le connota, l’ansia di un sogno vano, la coscienza infelice di nascondere dietro una facciata di rispettabile normalità ciò che risulterebbe diverso a chi non vi sapesse leggere se non un’anomalia o una stravaganza. Palmieri racconta le sue storie in una prosa di classico nitore, attenta alla cura del particolare, cesellato e rifinito. È, la sua, una scrittura larga, ariosa, ricca di annotazioni nessuna delle quali risulta superflua. Proprio la scrittura dà suggestivo corpo alle ombre che si aggirano nello spazio della pagina, ai fantasmi cui la letteratura infonde vita e consistenza. Diverse le storie per contenuto e ambientazione, affini per ritmo e tono. Le salda in unità la sottile inquietudine che domina la pagina tramata di meraviglia, di gusto dell’invenzione, di gioco apparente fatto per trascinare il lettore nella fascinazione del racconto.

mercoledì 25 agosto 2010

Giuseppe Cristaldi Belli di papillon verso il sacrificio (Edizioni Controluce)













In una Taranto della mente, un ragazzo erige un monumento al padre morto. Cozzaro, contrabbandiere, corista, teatrante, uomo dalle mille risorse, don Papà, come lo chiama il figlio, è uno della razza dei ddritti, nato e cresciuto nel quartiere Tamburi dove ha alimentato favole e racconti sulle proprie gesta. Spinto alla disperazione da un’ingiunzione di trasloco, l’uomo farà a pezzi, nel tempo di una notte frenetica, con l’aiuto del figlio, la casa, prima di compiere il suo ultimo capolavoro, un suicidio esemplare come estrema ingiuria verso i potenti e riaffermazione della vita fin dentro la morte, lasciando al ragazzo il compito di tradurre in una scrittura di rara potenza visionaria la vitavissuta. Belli di papillon verso il sacrificio (con una nota di Teresa De Sio) non è soltanto un romanzo sulla città di Taranto, è molto di più: romanzo di formazione, romanzo sui padri, su come e chi eravamo, su come siamo adesso sotto il cielo di nubi tossiche. Giuseppe Cristaldi sprovincializza il linguaggio plastificato dai media, con una scrittura nervosa, espressionista, barocca nella quale l’urgenza di comunicare assurge a vera liturgia della parola.

Giuseppe Cristaldi (1983) vive e lavora a Parabita (Le). Dopo la sua prima opera Storia di un metronomo capovolto, ha pubblicato Un rumore di gabbiani in cui traspare tutta la sua sensibilità verso problematiche di carattere civile.

martedì 24 agosto 2010

Nacquero contadini, morirono briganti di Valentino Romano (Capone editore). Intervento di Monica Mazzitelli





















Così umano. Così piccolo, meschino, speranzoso, maleodorante, accaldato o raffreddato, rassegnato, misero, lacero e inumano il mondo che emerge dalle pagine informate di Valentino Romano.

La storia di carta che fruscia non è qui; i generali impettiti, la lista degli armamenti, il computo dei morti e dei vivi, gli accordi a palazzo, i tradimenti regali, le convenzioni, i trattati, le alleanze, le dichiarazioni in parlamento: carta che fruscia senza odore.

Qui invece c’è l’odore della storia, rimasto impigliato nelle pieghe dei suoi protagonisti piccoli, quelli che fino a più di un secolo fa erano contadini abbracciati alla propria terra – quelli che non sono dovuti scappare via in cerca di fortuna oltreoceano – coloro che non lasciano traccia del loro passaggio, di cui non ci sono neanche più le tombe.

La Storia è di queste braccia, mani, piedi macinati dal tempo e riassorbiti nel suolo di cui noi ci nutriamo senza sapere, conoscere. Ma che magari giudichiamo.

“Briganti” li chiamiamo, come oggi chiamiamo altra gente “clandestini”: nomi comodi per allontanare da noi, di uno o cento passi, il desiderio disperato di sopravvivenza, o se possibile di una vita dignitosa, una vita senza troppe paure, a cui ci si possa un pochino aggrappare.

In queste pagine ci sono dolore e leggerezza insieme, crudeltà e amore: c’è umanità e disumanità come antinomia della stessa essenza: quella della realtà fatta di carne, delle sue pulsioni. C’è la sottomissione delle donne, spesso vendute, il sopruso sul povero, la vendetta sul ricco, la furbizia che si ritorce contro chi crede di poter strappare un salvacondotto alla fortuna, non capendo che vale quanto un biglietto perdente della lotteria. Ci sono le guardie e i ladri, al lettore stabilire chi guardi cosa, chi protegga cosa, chi rubi cosa. C’è la giustizia e la Giustizia, al lettore stabilire chi amministri cosa, chi difenda cosa. E c’è tutta l’anima splendente, empatica e affettuosa di uno storico del talento, l’energia e la passione di Valentino Romano, che riesce sempre a andare oltre ai fatti, oltre le infinite ore trascorse nella polvere di un archivio. Lo riesce a guardare come uno scultore contempla il suo blocco di marmo e sa cosa tirarne fuori, come inclinare il suo scalpello per far venire alla luce ciò che va detto, ciò che sarebbe ingiusto obliare. C’è un atto di amorosa restituzione di dignità ai torti della storia in queste pagine, e un render conto della speranza, di tutta quella speranza a volte rabbiosa che ha mosso nel bene e nel male persone che avevano davvero troppo poco da perdere, persino della loro stessa vita. Grazie per questo. (dalla postfazione)

email:info@caponeditore.it

domenica 22 agosto 2010

LA BETISSA - Storia composita dell'uomo dei curli e di una grassa signora. Di Antonio Verri (Kurumuny). Intervento di Aldo Bello





















Verri mi passò una copia dattiloscritta della Betissa una sera, nella casa di campagna matinese nella quale ci si incontrava di frequente col testo della Storia composita dell’uomo dei curli e di una grassa signora. Credo fosse stato, simultaneamente, subito dopo, a due comuni amici, Antonio Errico e Maurizio Nocera, con il fine di provocare a breve quello che era un confronto quasi rituale su forma e contenuti, su visioni del mondo e scenari onirici, con conversazioni, con dialoghi incrociati, con interpretazioni non sempre e non del tutto convergenti. Il testo fu pubblicato nel 1987 su «Apulia», ed ebbe diffusione diacronica, ma anche gran risonanza in campo letterario, perché Betissa rappresentò un momento di snodo nella storia della narrativa (non soltanto) del Salento e del Sud. Intanto, per l’invenzione espressiva. I codici linguistici di Verri registravano una radicale trasformazione, diventando prevalentemente connotativi, poiché caricavano di ulteriori significati la stessa significazione elaborata dai codici iconografici. Ad esempio, la scrittura fantastica tese ad alterare la realtà, e i significati comunemente veicolati dalla realtà rappresentata, inducendo allusioni e associazioni di idee che valevano all’interno di una cultura, di uno stile, di un momento creativo. Cioè: dal momento che il processo di connotazione tendeva a creare significati decodificabili soltanto entro una particolare cultura, possiamo dire che i codici linguistici del Verri di Betissa presentavano un alto grado di ambiguità; inoltre, avevano carattere prevalentemente dinamico, dato che venivano determinati attraverso una complessa procedura da negoziazione con il lettore. Ciò vuol dire che, variando le condizioni e i modelli culturali, certi codici linguistici potevano essere adottati dal senso comune e trasformarsi in codici iconografici e di riconoscimento. Ciò accade di solito quando uno stile impone i propri modelli al punto di creare un sistema di lettura, nell’osservatore, in cui creatività e soggettività sono reciproche e giocano un ruolo esclusivo e preponderante. E su tutto questo si incentrò la novità sconvolgente di Betissa: sull’uso sempre sapiente e originale del linguaggio, e su un premeditato, preciso rovesciamento dei valori basati su di esso. Formidabile era stata la ricerca linguistica, fondata su giochi di parole, ripetizioni, accumulazioni, echi ondulari, e riferimenti colti, e riemergenze gergali, e ridondanze dialogiche nobilitate dall’uso di un’ortografia fonetica raffinatissima. Il narratore (il poeta) pare confermi così, e amplifichi, la vena da cui, a ben leggere, scaturiscono via via le pagine di visioni ed evocazioni, di reinvenzioni e di traslati. La sua è forza che esplode da una nativa esuberanza, nutrita di memoria, lievitata di suggestioni letterarie, ricca di vigore interno, rampante, che permea e circola, invade e annette. Questo privilegio gli deriva direttamente dagli umori della sua terra, e dalla meravigliate scoperte che tutto sottendono: verità e luogo fantastico, valori e passioni, vivacità narrativa, dimensione di spazi e tempi illimitati. Perciò i personaggi sembrano avere una portata dimostrativa della fatalità del mondo quanto meno accennano a uscire da sé, quanto più abbracciano la loro magmatica essenza; anche la psicologia, pur alta, e profondamente toccata, è subito trascritta nella sua perfetta strumentazione, nella chiarezza finale che s’avvia nell’incantarsi dell’invenzione nella propria irreparabilità. Quanto più ti esibisci (ti riproponi, dimostri chi sei) tanto più entri in te, nella problematica metafora della tua esistenza. Metafora, e forse profezia. Perché sa, questo poeta, che il dolore può essere l’arma più adatta a impedire la perdita ultima dell’uomo quale si trova a vivere oggi sulla terra: il dolore dell’uomo, che è anche il dolore per l’uomo. Sa il poeta che si possono inventare macchine per vincere la forza di gravità, ma non per vincere la forza della «stupidità della terra». Scrive Verri, al capitolo quindicesimo: - Cara madre... come già sai, anche se ti sei chiesta sempre il perché, io continuo a scrivere, continuo a cercare parole che dicano, che facciano fede ai diversi e a volte strani momenti della mia vita, che molti dicono povera. Coi risultati non ci siamo, ma questo non vuol dire. Il più delle volte le parole che affibbio alle cose non reggono... non abbiano... appigli di nessun genere, e come niente... mi restano in mano... Ma a che serve poesia, dicevi un tempo: a che serve il cielo puoi dire adesso, a che questa immensa voglia di alzarsi, volare?...Colpa anche della vaghezza, madre, della vaghezza e della stupidità della terra, della sua porosità... Spero solo di non restare coi miei quaderni, col mio stupore, con queste svuotate parole, con i miei propositi di volo: non altro che gioco, ripetizione, bisticcio... Tutto qui, madre... nient’altro se non il solito vecchio cuore tagliato a spicchi... e il correre stolto, e il correre continuo, con ali bianche, quasi senza corpo,verso il solito albero d’oro, verso il solito vecchio profumato eldorado -.L’elegia per la madre-dea, viatico premonitore allo schianto abbagliante dell’uomo dei curli.

sabato 21 agosto 2010

Un giorno perfetto di Ed Warner (Edizioni Smasher)















Una poesia asciutta, e a tratti ermetica, quella di Ed Warner, che si dipana attraverso un progetto promettente e un percorso poetico brillante.
Un giorno perfetto è il titolo di questa raccolta che snocciola il suo senso attraverso le giornate, i passanti, le abitudini, le osservazioni, l'incontro e il non incontro, la voglia di trovare altro in un mondo che talune volte sembra volersi accontentare a tutti i costi. Ed Warner si pone domande anche senza punto interrogativo, in un universo sotto al quale abbiamo dimora tutti, pur ritenendoci a volte illesi.
E' una ricerca di vita e di derive di senso quella di Ed Warner, che dà spazio e voce ad uno stato d'animo facilmente collettivo. Impossibile non ritrovare se stessi nelle losanghe dei suoi versi.

Frontiera

Se guardo dietro
solo pietre rotolanti
che divorano la strada
che ho tracciato barcollante.
Attraverso una frontiera
spostando oltre la mia mente
alzando il tiro e poi ancora
nel mio mirino ormai c'è Dio

venerdì 20 agosto 2010

Il Segreto Da Vinci. La chiave dei sette principi di Leonardo di Michael J. Gelb (Il Saggiatore). Intervento di Stefano Donno





















Leonardo di ser Piero da Vinci (Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) ha rappresentato l’incarnazione dell’uomo d'ingegno dal talento universale del Rinascimento italiano, raggiungendo con le sue capacità intellettive e le sue invenzioni le maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, scenografo, anatomista, letterato, musicista e inventore. Ora ciò che suscita meraviglia nella figura di Leonardo da Vinci è l’immensità dei campi esplorati, la varietà delle attitudini: pittore, architetto, anatomista, inventore, geologo, poeta, musicista. Sembrerebbe che un modello di virtù, saggezza e creatività come lui sia inimitabile. Dagli scritti, dalle opere d'arte e dalle invenzioni di Leonardo si è riusciti a scoprire invece che il “brand” Leonardo Da Vinci può essere riprodotto. A parte tutta una serie di pubblicazioni più o meno sensazionalistiche, più o meno scientifiche, più o meno rigorose dal punto di vista scientifico, editate dopo il fenomeno del “Codice Da Vinci” di Dan Brown, ho avuto il piacere di appassionarmi ad una lettura a metà strada tra la saggistica e tutta quella letteratura da self-help: mi riferisco all’intrigante lavoro di Michael Gelb dal titolo “Il Segreto Da Vinci. La chiave dei sette principi di Leonardo” edito da Il Saggiatore, già alla sesta ristampa. La tesi di partenza data dall’autore del volume è che Leonardo Da Vinci, può, se studiato e analizzato adeguatamente in tutta la sua complessità, essere un maestro di illuminazione, una guida spirituale, proprio come quando il genio fiorentino è utilizzato come una guida olografica in un episodio delle serie televisiva di fantascienza, Star Trek Voyager. Una maestro di saggezza dunque da cui si possono apprendere sette principi da fortificare anche attraverso una serie di esercizi, per arrivare alla propria personale realizzazione di vita. Secondo l’autore il misticismo rinascimentale di Leonardo si rivela in perfetta sintonia con il pensiero di Confucio o con il buddismo. Bel libro assolutamente da leggere, grazie anche all’ausilio di un docente di storia dell'arte di Oxford Martin Kemp, un esperto di Rinascimento Sir Brian Tovey e un'antropologa Jean Houston che nella prima sezione del libro affrontano alcune delle ipotesi avanzate da Dan Brown nel "Codice da Vinci". Si tratta di un lavoro che fondamentalmente cerca di trovare una risposta al mistero dell'Uomo e dell’Artista Leonardo. Un libro che aiuta a fare un percorso profondo in noi stessi per conoscersi meglio e trovare delle risposte importanti. Splendido a mio avviso il capitolo dedicato allo "sfumato" dove l’ombra, il chiaroscuro è il “b-side” presente in ognuno di noi ma che deve assolutamente ascoltato se non si vuole cadere in baratri del subcosciente oscuri e malevoli

giovedì 19 agosto 2010

Corpi estranei di Paola Ronco (Perdisa Pop)

Un poliziotto tormentato, una combattiva studentessa universitaria, una fragile addetta stampa precaria. Perché l'agente Cabras non parla con nessuno? Come mai ad Alessia si ferma il respiro in gola ogni volta che vede una divisa? E cosa impedisce a Silvia di cominciare con serenità una vita a due nella casa appena comprata? Tre esistenze, un filo sanguinoso che le unisce, otto giorni che potrebbero cambiarle per sempre, in una Torino che assiste immobile ai crimini di una banda inafferrabile.



mercoledì 18 agosto 2010

Il libro sui libri a cura di Rossano Astremo (Lupo editore, collana Coolibrì). Intervento di Stefano Donno












Il libro che sto per presentarvi è una lettura che ha in sé qualcosa di sottilmente incantato. Nove visioni dove la scrittura viaggia nel tempo, nella memoria, nella finzione. Il curatore Rossano Astremo mischia queste carte con un virtuosismo da prestigiatore (non senza qualche azzardo), dove ogni pagina è un piccolo dono alla Lettura, dove c’è molto rispetto per l’ipotetico lettore e la volontà di condividere con lui un percorso “magico”, sospeso fra realtà e immaginazione.Giuseppe Braga, Eva Clesis, Gabriele Dadati, Maura Gancitano, Elisabetta Liguori, Giancarlo Liviano D’Arcangelo, Teo Lorini, Flavia Piccinni e Nadia Terranova sono gli scrittori protagonisti della raccolta curata da Rossano Astremo per Lupo editore dal titolo "Il libro sui libri". Nessuno ha rinunciato alla sua identità scritturale, tutti si sono cimentati in diversi generi dall’autobiografia, alla narrazione e alla saggistica senza volutamente centrarne l’identità: dunque un’operazione editoriale veramente inidentificabile, che ha tutte le carte in regole per sorprendere e deliziare anche i palati più raffinati.

In una psichedelica carrellata di aneddoti, autori citati, libri cult, pagina dopo pagina si attraversa il meglio del meglio della letteratura con l’unico filo conduttore del come nasce la malattia della lettura, e di come essa nelle forme più gravi può degenerare in scrittura e poesia. Molti i secoli e i volti a cui questi autori hanno dato voce da Sciascia a Scerbanenco, da Roth a DeLillo, da Balzac a Pontiggia, da Umberto Eco a Cervantes, da Sartre a Collodi, da Bernhard a Austen sino a Céline, in un percorso ricco di suggestioni dove il fuoco della scrittura irretisce e seduce.

“Nonostante l’invasione possente nella vita di tutti i giorni di TV e Internet – dice Rossano Astremo nella sua prefazione – che sottraggono fette importanti del nostro tempo libero, ancora oggi la pratica della lettura può essere considerata un’esperienza decisiva e centrale e il libro un oggetto rivoluzionario, assolutamente non destinato alla sparizione, convenendo, in conclusione, con quanto scritto da Umberto Eco qualche anno fa: “Il libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fan parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la bicicletta”. (dall’introduzione di Rossano Astremo)

martedì 17 agosto 2010

La colpa di vivere di Barbara Goti (the Boopen led). Intervento di Stefano Donno



















La splendida Livorno. Uno dei più importanti porti italiani, ritenuta tra tutte le città toscane la più giovane, sebbene nel suo territorio siano presenti testimonianze storiche di epoche remote scampate ai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale. La ridente Livorno, sviluppatasi a partire dalla fine del XVI secolo per volontà dei Medici, rinomata per aver dato i natali a personalità di prestigio come Amedeo Pietro Mascagni, Giovanni Fattori e Carlo Azeglio Ciampi. E sin dai primi del Novecento, meta turistica di rilevanza internazionale per la presenza di notevoli stabilimenti balneari e termali, che conferirono alla città l'appellativo di Montecatini al mare.
Ho ancora in mente la descrizione del livornese data da Curzio Malaparte in “Maledetti Toscani”:« Se fossi un livornese, di quelli veri che dicono "deh" e parlano a mano aperta, muovendo le dita, come per far vedere che nelle loro parole non c'è imbroglio, vorrei star di casa in qualche Scalo della Venezia. Non già nei quartieri, nelle piazze, nelle strade disegnate con la matita dolce, con l'aiuto di squadra e di compasso, dagli ordinati e generosi architetti dei Granduchi, ma in questo quartiere che i livornesi chiamano La Venezia, qui nel cuore della città vecchia, a due passi dalle Carceri, dal Monte Pio, dai Bottini dell'Olio. Che bella vita sarebbe, che vita semplice e felice.». Già la splendida Livorno … eppure qualcuno come Barbara Goti, in un contesto come quello appena descritto, partorisce un romanzo che turberebbe i sogni di quanti sono abituati alla calma e alla tranquillità di un luogo tutto arte e cultura. Il romanzo pubblicato da The Boopen (led) dal titolo “La colpa di vivere” meticcia diversi generi letterari dal pulp al noir in un’alchimia ben riuscita, senza mai scadere in ovvietà o banalità. Anna Rodomonti, giornalista, la protagonista per intenderci, è sulle tracce di un serial killer che a Livorno adesca giovani vittime, le sventra e ruba loro come macabro trofeo, alcune ciocche di capelli. Anna, vedova, con un figlio a carico, porta avanti il suo lavoro con quasi una specie di monomania ossessivo/compulsiva, nemmeno fosse il detective Monk.
E tutti gli altri protagonisti del romanzo, legati indissolubilmente da una lotta contro il tempo alla ricerca di quest’efferato omicida, sono delineati dalla Goti a tutto tondo, tanto da farli apprezzare in maniera totale al lettore. E così in un plot che sembra figlio legittimo di C.S.I o Squadra di Polizia, la protagonista arriva alla soluzione del caso, ma un colpo di scena ben nascosto dall’autrice, lascerà tutti a bocca aperta. “La colpa di vivere” è un buon esordio che mi sento caldamente di consigliare tra le vostre letture estive, senza se e senza ma!

lunedì 16 agosto 2010

La Notte Noir a Soleto il 19 agosto 2010












Soleto, patria del famoso alchimista Matteo Tafuri che, si narra, edificò la torre campanaria in una sola notte con l’aiuto del demonio, città delle streghe e degli stregoni, inserita negli itinerari dei principali siti internet e guide ai luoghi misteriosi d’Italia, rende omaggio al mistero e al “lato oscuro dell’animo” con la sesta edizione del festival "Soletoperalnero" promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Sol...eto grazie al supporto di Unione Europea (P.O. FESR 2007 – 2013) e Regione Puglia (Assessorato al Mediterraneo) in collaborazione con Associazione Andrea Pazienza e Cool Club. Giovedì 19 agosto appuntamento con la seconda edizione della Notte Noir. L’intera manifestazione, dedicata a delitti, crimini, investigazioni e storie oscure tra musica, teatro e cinema, si svolgerà a partire dalle 21.00 all’interno della Villa Comunale, allestita per l’occasione come la scena di un crimine in cui gli indizi e una mappa permetteranno al pubblico di scoprire gli spettacoli. L’evento principale della serata sarà il concerto di Franco Micalizzi & The Big Bubbling Band, una grande occasione per gli appassionati di Cinema per rivivere le emozionanti sequenze musicali mozzafiato dei polizieschi italiani degli anni ’70 eseguiti dal vivo da un orchestra di 18 elementi diretta dal Maestro Franco Micalizzi, tra i grandi compositori di colonne sonore divenuto famoso per aver firmato, tra gli altri, le musiche di film cult come “Roma a mano armata”, “La banda del Gobbo”, “Il cinico, l’infame, Il violento”, “Lo chiamavano Trinità”, lavorando con registi come Corbucci, Lenzi e Salce ed entrando così in totale sintonia con il filone poliziesco italiano a cui Quentin Tarantino ha dichiarato di essersi ispirato. Durante il concerto non mancheranno contributi video, tratti dai celebri film di cui il Maestro Micalizzi ha firmato le colonne sonore, proiettati sul grande schermo di un cinema che ha conservato intatto il fascino forte delle sale di un tempo, tra bouganville e grandi spazi che evocano una indimenticata tradizione da preservare, tutelare e valorizzare. In apertura un salotto letterario accoglierà gli scrittori Angela Leucci, autrice di "Nani, ballerine e altre suggestioni" Edizioni Akkuaria, raccolta di racconti gialli ambientati nel Salento, Elisabetta Liguori (Argo, Pequod, Besa editrice), leccese, autrice di tre romanzi che pratica il genere noir con un certo successo, Omar Di Monopoli, di Manduria, autore di una trilogia western pugliese, che esce dagli schemi classici del genere e ambienta le sue storie in una Puglia terra di frontiera, Alfredo Ancora, di cui è da poco uscito “Un processo per caso”, Glocal editrice, saggio sulla Giustizia attraverso il racconto di un caso esemplare, avvenuto in un piccolo centro del sud della Puglia, Alda Teodarani, toscana, autrice di numerosi romanzi e racconti che spaziano dal giallo all’horror all’erotico. Modera l’incontro Stefano Donno, poeta, scrittore e critico letterario. Dopo l’incontro l’attore salentino Simone Franco leggerà il racconto noir grottesco “Uxoricidio” di Tommaso Landolfi, contenuto nella raccolta Le Labrene (Adelphi), accompagnato al flauto da Gianluca Milanese e dall’artista visuale Orodè che si esibirà in una estemporanea pittorica guidato dalla voce dell’attore e dalla musica. Fabio Tinella, accompagnato da Raffaele Vasquez interpreterà “L’angelo e il porco” tratto liberamente dal libro “I giorni dell’ira” di Giancarlo De Cataldo e Paolo Crepet.

domenica 15 agosto 2010

Promessi Vampiri di Beth Fantaskey (Giunti editore). Il book trailer




Un liceo, una ragazza e un vampiro irresistibile: non troppo originale come inizio per un romanzo, si potrebbe pensare Tuttavia questo libro lascia l'orda di fan di Twilight interdetta sin dall'inizio. Jessica Packwood, una semplice liceale patita di matematica, entra nel panico quando, a pochi mesi dal suo diciottesimo compleanno, un ragazzo rumeno, Lucius Vladescu, compare sulla sua soglia per informarla che lui e lei sono entrambi vampiri (appartenenti alle due più potenti e rivali famiglie) e sono promessi sposi sin dalla nascita. Come se non bastasse, i suoi genitori adottivi confermano la versione del ragazzo, ribadendo che anche i suoi veri genitori fossero, di fatto, dei vampiri. Lucius inizia un corteggiamento serrato nei confronti della sua promessa, ma dopo essere stato rifiutato più volte, rivolge le sue attenzioni verso la bellissima cheerleader della scuola. Jessica si trova così a dover lottare per riconquistare il suo principe, evitare una guerra fra vampiri e salvare l'anima del suo Lucius dalla dannazione eterna.

venerdì 13 agosto 2010

L’Aquila 2010. Il miracolo che non c’è, di Sabrina Pisu e Alessandro Zardetto, prefazione di Curzio Maltese (Castelvecchi), Intervento di Nunzio Festa











L’Aquila che non c’è. Il 6 aprile del 2009, come è largamente noto, L’Aquila, un’intera città, per intero una città, è stata cancellata. Distrutta da uno dei terremoti maggiormente devastanti della storia. E, a un anno dal sisma, due giornalisti, giovani e indipendenti, Sabrina Pisu e Alessandro Zardetto, sono stati capaci, dopo un meticoloso lavoro di ricerca e registrazione, di far comprendere quanto ed esattamente in che maniera quel che rimane della vera city è divenuto un non-luogo. Oltre che, ovviamente, in che direzioni sono andati, quando sono andati, e per merito di chi, i soldi. Oltre che, per di più, di come e in che misura si può benissimo parlare, senza ormai rischiare d’esser tacciati per anti-italiani e non patriottici, d’una delle bugie più grosse ed eclatanti della storia moderna. Il destino del progetto C.A.S.E., infatti, per esempio, non può esser altro che la rappresentazione stessa d’un fallimento sociale e culturale. A parte economico. Anzi sconfitta in termini economici per la collettività, grazie al pubblico stesso, che fa rima baciata con il successo, la vittoria assoluta e definitiva, tranne per conseguenze eventualmente penali, di tantissimi, si dice, interessi in pole. Mister Bertolaso, l’uomo, il cosiddetto secondo Berlusconi, grazie al quale in miracolo è stato presentato ma non è avvenuto, è egli stesso l’emblema d’un’apparenza utile a gestire emergenze e catastrofi e, nel contempo, a fornire strumenti di lavoro ad amici e amici dei soliti amici. Il racconto, in forma d’inchiesta giornalistica minuziosa e fatto d’una puntigliosità dotata della voglia di sprofondare in parallelismi giustificati ove non giustificabili dalla cronologia strutturale del volume e opportuni, più interviste inopportune in quanto scomode, è infine utile a rendere presenza analizzate e finanche certissima d’uomini importanti per l’inizio e la fine, magari la prosecuzione, dei sogni d’aquilane e aquilani. Non a caso, il libro è chiosato dall’intervista al primo cittadino dell’Aquila, e forse benissimo non ne esce, buono sì quale “incidente” di percorso ma utile a una scena tanto grande da sembrare disponibile di spazi aggiunti appunto per questi soggetti minore. Ma l’umanità è spinata nelle nostre vene, invece, dalle testimonianze di persone pronte a spiegare pubblicamente un dramma custodito nelle segrete stanze d’una casa mai ottenuta, d’una dimora che non c’è. Al pari delle città sfumata. E che per sempre ricorderà i rintocchi del centro storico che fu.

L’Aquila 2010. Il miracolo che non c’è, di Sabrina Pisu e Alessandro Zardetto, prefazione di Curzio Maltese, Castelvecchi (Roma, 2010), pag. 254, euro 14.00.


giovedì 12 agosto 2010

K.O. di Mauro Chefa (Lupo editore). Un book party




Le tappe di K sono quelle del suo percorso interiore e si fondono con la strada; un itinerario geografico, scandito dalla permanenza più o meno lunga a Stoccolma, Helsinki, Tallin, Riga, Vilnius… dove lo accolgono sensazioni e/o personaggi capaci di riportarlo al passato e di fargli rivivere esperienze importanti.
Ne scaturisce una storia intensa, caratterizzata dalla ricostruzione dell’atmosfera paesana di una Novoli contaminata dalla malavita (la cui realtà è così quotidiana da apparire scontata) e dalla grande passione di K per il calcio, l’unica risorsa che gli ha permesso di salvarsi dalle molteplici occasioni di perdersi.
Un viaggio per ri-tornare incontro a se stesso, salvato dal K.O. finale.
L’esordio di Mauro Chefa per Spùt.

Mauro Chefa è nato a Novoli (Lecce) nel 1972. Vive a Cattolica (Rimini).
Osteopata, è un manipolatore visionario. Ruba storie estrapolandole dal dolore fisico dei suoi pazienti.
Nel 2002 ha auto prodotto la raccolta di poesie “ Chi ha sparato ai tarli”.

mercoledì 11 agosto 2010

Mai lontano dall'istante di Leandro Picarella (LietoColle)









A fianco del vissuto, e del suo rapporto quasi pudico con la creazione poetica, l'immagine e la leggibilità dell'immagine hanno grande rilevanza nella sua scrittura. In realtà non ci si troverà davanti a delle poesie per così dire naturalistiche, gli ambienti non sono veramente riconoscibili, ma tutto apparirà molto nitido, molto visibile appunto. È un fatto curioso questo, significativo di tutto l'impianto dei versi, sospesi tra una candida apparenza del mondo e l'invisibile parete che impedisce di toccarlo. [...] Mai lontano dall'istante, in principio era semplicemente un titolo che mi piaceva (questo è l'effetto che farà a molti questa scrittura), poi ho creduto di capirne un valore meno superficiale, quando mi sono accorto che è una - non intenzionale - variazione sul tema dell'hic et nunc; un titolo, cioè, che svela un atteggiamento poetico preciso, di chi, scrivendo, tenta di fissare i punti della propria situazione, come dimostrerebbe anche la struttura narrativa del libro. (dalla prefazione di Valerio Nardoni). Dalla sezioneTRINACRIA

Gli arpeggi si ripetevano,/ continuamente,/ si ripetevano./ I suoni crescevano./ Rumori./ Sibili di venti lontani./ I canti mai cantati/ dritti al cuore./ Gli occhi chiusi senza un motivo,/ umidi senza un motivo,/ o forse un motivo che non ricordavi./ Cresceva la musica./ L'anima si espandeva/ e riaffioravano ricordi con lo scirocco dritto in faccia./ Si alza la polvere, e gonfia/ in un gigante gomitolo d'occhi e ossa,/ gigante gomitolo di ghiaccio e roccia/ e luci e sabbia e onde e scogli/ poi il silenzio.../ lentamente vicino/ sempre più/ vicino./ Erano zingari/ di lacrime e note.

martedì 10 agosto 2010

E luce è di Giacinto Urso. Dalla prefazione al volume edito da Capone editore "Benvenuti in Puglia"





















In Puglia o meglio nelle Puglie, che abbracciano le terre di Foggia, di Barletta, di Bari, di Taranto, di Brindisi e di Lecce, non si passa per andare altrove. Chi le vuole ammirare deve venire apposta in questo “stivale” d’Italia, che si tuffa tutto intero nel mare sino a “finibus terrae”, ultimo lembo che – secondo la leggenda – o va visitato da vivi oppure, con l’anima, da morti. In pratica, si vuol dire che tutti dovranno conoscere queste contrade, contrassegnate da uno speciale, fascinoso richiamo, unico, irripetibile, meraviglioso. Un segno da noi, pugliesi residenziali, non percepito, reso sconosciuto, quindi non apprezzato, anche se immersi in esso. Un immenso dono naturale, che, in quanto tale, sembra non far notizia, non esprime ammirazione, non porta vanto. Gli altri, invece, lo scoprono subito sin da quando, provenienti da lontano, varcano il tavoliere foggiano e si incamminano verso la punta di Santa Maria di Leuca, luogo che salda l’amoroso incontro tra l’Adriatico e lo Ionio. Anni or sono, conversando ad Acquaviva di Marittima, vicina alla perla di Castro, con gli allora Principi del Belgio, Alberto e Paola, oggi regnanti, chiesi loro il perché avevano scelto, per una pausa vacanziera, il Salento, terra lontana, non facilmente accessibile, quasi esule. Chiesi, pure stando da noi, quale particolare seduzione li aveva catturati. La risposta fu netta: “la luce che si gode nei vostri luoghi, altrove non esiste”. Finalmente, il dono, rimasto occulto si manifestò anche ai miei occhi. Invero, al pari degli altri, qui dimoranti, mai ci avevo pensato, dimentico del tutto che proprio dalle coste adriatiche, pugliesi e salentine, si ammira la sorgente luce dell’alba. Parimenti, dalle coste ioniche di Puglia si scorge, al tramonto, l’abbagliante palla di fuoco del sole, che, calante, insanguina un mare azzurro più del cielo. È proprio questa luce, unica, fiabesca, stregona, cangiante nella sua intensità, secondo le ore del giorno, ad avvolgere, affrescare, tingere, smorzare, accarezzare le bellezze di Puglia e del Salento, in minima parte, filmate in questa pubblicazione, voluta, impostata e descritta dalla passione dell’editore Lorenzo Capone e dai suoi figli, che, con gli occhi, spesso smarriti e sedotti, hanno arato l’intera Regione, fissando colori, meraviglie, usi, costumi, paesaggi, angoli remoti e tesori nascosti. Un vero e proprio zibaldone dalle molteplici effervescenti sfaccettature, che fluiscono ed esondano come un fiume in piena, rendendo dolcemente curioso, attonito, sazio lo sguardo su un Creato posseduto, sfavillante, divino e terreno. Diciamolo pure: la Puglia, orgogliosamente ha tutto in sé. Certo, non possiede una economia forte e florida, fabbricata dall’imprenditorialità dell’uomo. Però, trionfa e ammalia la sua natura, consolidata dai secoli. E su tutto filtra la nostra luce, che reca esaltazione e splendidezza. Indora palazzi, castelli, masserie, dolmen, aree archeologiche, anfiteatri, cattedrali, cripte rupestri, ville, monumentali tappeti di ulivi, paesaggi mozzafiato e tant’altro. Giocherella, a nascondiglio, con i pupi, gli angeli grassi del barocco e i ricami dei rosoni romanici. Accarezza e bacia spiagge stupende, sabbiate e rocciose, dove fluttuano mari tersi e luccicanti. Ingemma una sequela di piccoli borghi, di grumi di bianche casette e di gentili, medie città, aperti all’accoglienza, all’ospitalità, all’amicizia, conditi di profumi caserecci e di piatti prelibati, innaffiati da vini genuini. Rende bagliori suggestivi sugli ottoni e sugli strumenti delle bande musicali, trionfo di armonie inedite e tradizionali, arricchite da marce baldanzose, circondate da spettacolari luminarie ornamentali, chiamate, oramai ad abbellire tutto il mondo. È sempre la nostra luce a scaldare antichi riti, usanze, costumi. Ravviva musei. Conforta eleganti silenzi. Avvampa pizziche vertiginose. Rende parlanti le trine di muretti a secco e le “paiare”, capolavori che sfidano le celebrate architetture mondiali. È sempre questo godimento di luce a dare più luce a fior di scrittori, di poeti, di artisti, di letterati, che scontano la colpa di essere nel giù più giù d’Italia, dove solo la voluta malizia dell’oblio ostinatamente oscura. Prima di sera, residui squarci di luce perdurano nella danza di civiltà stratificate e di quanti – nei secoli – hanno percorso la nostra terra pugliese. Alcuni l’hanno invasa, sfregiata, conquistata mai, però, domata. Altri l’hanno amata e arricchita, lasciando vestigia e memorie, che vivono ancora tra di noi, sprofondate nei secoli come le Grotte dei cervi di Porto Badisco, scoperte ma inviolate perfino all’aria e all’occhio di molti. In sintesi, gli spartiti armoniosi, scritti in questo volume esplodono di luccicante bellezza, che reclama conoscenza, e voglia di fruire degli occhi altrui in modo da renderli avidi di luce e di luci, per accecare il quotidiano buio della nostra epoca e rendere bagliori di speranza. Certo, non tutto è canto di elegia. Anche da noi frullano travagli, guasti, incertezze. Comunque, la nostra luce, unica, insuperabile, splende. Luce sovrana che aiuta ad amare la vita, a fruire delle cose belle, a salvaguardare il Creato, che, in Puglia, affresca un trionfo di grazia di Dio, pressante offerta a farsi vedere e a farsi amare. Venite in questa terra. La luce da capogiro non frastorna, fulmina il brutto, rifinisce il bello e luccica una sequela di meraviglie. Una luce da imbottigliare, da mettere – a ricordo – sul comodino delle vostre case con una bella etichetta: “made in Puglia”. E luce è anche in lontananza.

Benvenuti in Puglia.


info: info@caponeditore.it

lunedì 9 agosto 2010

Uccio Bandello: la tradizione musicale del Salento all’ombra delle tarante! Di Stefano Donno



















Il Salento è una terra di attraversamenti, di ulivi secolari, di meraviglie barocche, di morsi di ragni che vivono nelle pieghe della tradizione popolare di queste latitudini. Il Salento è una porzione di territorio che sta sviluppando una serie di riflessioni editoriali molto interessanti non solo sulle modalità di produzione, distribuzione e creazione dell’oggetto libro, ma anche su alcuni aspetti culturali come certe sonorità, che giustamente non si vuole più solo considerare su piani foklorici, anzi … li si vuole prendere di petto e farne materia di studio puntuale e scientifica sotto qualsivoglia punto di vista. E dunque, per comprendere la storia di un popolo in generale bisogna fare una serie di passi assolutamente fondamentali: occorre conoscerne il ritmo, la musica, la poesia ovvero tutti quegli aspetti che di solito non sono contemplati nei libri che istituzionalmente parlano di storia, ma che possono considerarsi contenuti integranti dell’essere uomini e sono perciò fondamentali per costruire dialogo, senso, per conoscere e farsi conoscere, per capirsi e aprirsi all’accoglienza e alla diversità dell’altro, contenitore semantico a sua volta di altri ritmi, altre musiche, di altra poesia.

E il Salento ha delle sue sonorità, che fanno parte della sua costituzione genetica, e antropologica. Il primo nome che mi viene in mente è Luigi Stifani. Il secondo Uccio Aloisi. Nella storia della musica di tradizione del Salento si leva ora grazie alla casa editrice Kurumuny, la voce forte, roboante e straordinaria di Uccio Bandello, raffinatissimo cantore e depositario della memoria di tutto un popolo.

I più lo ricordano come una persona schiva e riservata, ma nella sua riservatezza emanava un’incredibile autorevolezza e maestosità che esplodevano quando cantava. Antonio aveva un dono prezioso e con la sua voce riusciva a trasformare la realtà quasi in una dimensione onirica. In una parola incantava tutti intorno a sé. Si dice che durante la prigionia in Africa Bandello ottenne dagli inglesi cibo per lui e per tutti gli altri prigionieri grazie alle sue esibizioni canore che riservava a tutti i militari.

Si racconta anche che cantasse anche quando tornava a casa in bicicletta da Collepasso (Le) e la gente lo aspettava sull’uscio per complimentarsi.

La pubblicazione di questo libro con CD musicale, che contiene diciannove brani tra stornelli, canti di lavoro e di questua, ci restituisce quella malia di voci che fa di Bandello e degli Ucci alberi di canto e della cultura della tradizione salentina.



TITOLO: Uccio Bandello

SOTTOTITOLO: la voce della tradizione

COLLANA: voci, suoni e ritmi della tradizione;

ANNO: 2010;

ISBN: 978-88-95161-43-3;

PAGINE: 64;

PREZZO: 15,00 €;

FORMATO: 13.5x13.5 cm.

NOTE: libro cartonato con allegato

cd musicale contenente 19 tracce

Kurumuny: http://www.kurumuny.it/

sabato 7 agosto 2010

Due nomination al Premio Carlo Boscarato per Edizioni Voilier





















La casa editrice salentina Edizioni Voilier in lizza per il Premio Carlo Boscarato a Treviso con due titoli dei tre in catalogo: "Cubana" di Lele Vianello e Guido Fuga, "Tipologie di un amore fantasma" di Adriano Barone e Mauro Cao.
Il consueto appuntamento annuale con Fumetti in Tv, il festival del fumetto di Treviso, che si tiene il 25 e 26 settembre, è preceduto dalle nomination al Premio Carlo Boscarato.
Per l’edizione 2010 sono ben due i titoli Edizioni Voilier selezionati, sui tre complessivi in catalogo: per la categoria miglior fumetto italiano Cubana di Lele Vianello e Guido Fuga; per quella miglior sceneggiatore italiano Tipologie di un amore fantasma di Adriano Barone e Mauro Cao.
Proprio il disegnatore romano Mauro Cao ha vinto la scorsa edizione del premio come miglior esordio italiano con la graphic novel Bookcrossing.
Per l’editore salentino (Edizioni Voilier é di Maglie) queste nomination, a poco più di un anno dalla nascita, sono il coronamento di un periodo di intenso lavoro, sia nella selezione dei prodotti che nella promozione del marchio.
Recentissimo anche l’interessamento di RAI alla produzione di Edizioni Voilier, concretizzatosi in un doppio servizio in onda per il TG3 Puglia lo scorso 31 luglio.
L’ultimo volume pubblicato, Cubana, si appresta proprio in questo mese ad andare in stampa con la seconda edizione, in un formato più grande e con una veste grafica rinnovata, dopo che la prima edizione del volume è andata esaurita in soli tre mesi grazie anche ai successi delle mostre di Otranto e Rimini in cui Edizioni Voilier é stata protagonista nel mese di luglio.

giovedì 5 agosto 2010

"Un processo per caso" di Alfredo Ancora Glocal Editrice

















Saggio sulla Giustizia attraverso il racconto di un caso esemplare, avvenuto in un piccolo centro del sud della Puglia, Calimera. Una storia tra politica e persecuzione giudiziaria di tre pubblici amministratori, raccontata da uno dei protagonisti. Non è un fatto locale, come si potrebbe pensare, poiché la vicenda è talmente emblematica e unica che diventa un caso universale nel panorama della “malagiustizia” italiana. Non era mai successo, infatti, che tre pubblici amministratori venissero arrestati per una semplice lettera di dimissioni dal consiglio comunale presentata da uno di loro, con un accanimento persecutorio da parte di un giudice che entra a gamba tesa in una vicenda squisitamente politica. Ma il “colpo di scena”, se così si può dire, sta nel fatto che proprio quel giudice che si era tanto accanito all’epoca contro i tre amministratori, un giudice noto in Puglia per essere stato prima procuratore aggiunto a Lecce, poi procuratore capo a Taranto e, infine, di nuovo procuratore capo al Tribunale dei minorenni di Lecce, Aldo Petrucci, è passato di recente agli onori della cronaca, pugliese e nazionale, perché imputato di corruzione e peculato in un’inchiesta sulle “toghe sporche” a Taranto (poi è stato prosciolto dall’accusa di corruzione ma rinviato a giudizio per peculato). Indipendentemente, comunque, dalle conclusioni della vicenda giudiziaria, è la fase istruttoria dell’inchiesta che ha riguardato Petrucci che ha fatto scattare la voglia di raccontare la sua esperienza ad Ancora, mettendo in parallelo proprio la diversità di trattamento avuta dai diversi imputati nelle fasi istruttorie delle due inchieste: da una parte, tre onesti amministratori (sono stati infatti poi tutti assolti) che vengono arrestati per una semplice lettera di dimissioni e, dall’altra, un magistrato che, per reati molto più gravi, come corruzione e peculato, non viene privato della libertà. Al di là di quello che potrebbe sembrare una sorta di curioso contrappasso dantesco, comunque, la vicenda dei tre amministratori è emblematica per come certa giustizia può accanirsi sui semplici cittadini impotenti a difendersi e come invece il corso della giustizia possa essere frenato o aggirato facilmente dagli uomini di potere. Il dibattito sulla giustizia è aperto ed è, anzi, oggi al centro della vita pubblica italiana: la vicenda raccontata da Ancora ne è a pieno titolo uno dei tasselli di cui bisogna discutere.

Alfredo ANCORA è nato a Zollino nel 1953. Dal 1976 vive a Calimera con la mia famiglia. Si è laureato in Scienze Politiche all’Università di Bari discutendo una tesi sul rapporto di lavoro giornalistico. Sin da quando si è stabilito a Calimera, ha iniziato un’intensa attività pubblicistica. E’ stato infatti direttore del giornale “Il ponte”, poi de “La civetta”, ho collaborato con “Calimera città futura” e con la “Kinita”, tutti giornali editi a Calimera. Assunto dal “Quotidiano di Lecce” nel 1979, è diventato giornalista pubblicista nel 1982 e professionista nel 1999. E’ stato membro del Comitato di redazione del “Quotidiano”. Negli anni ’90 ha assunto la direzione di Radio Salentina. Nel 2003 ha iniziato la sua collaborazione con la rivista dell’Università di Lecce, “Unile”, durata due anni, quanto la rivista. Sempre nel 2003 ha iniziato la collaborazione con il “Corriere del Mezzogiorno”, protrattasi per alcuni anni, e con il settimanale “Città Magazine” diretto allora dal collega Mino De Masi. Attualmente collabora con il “Nuovo Quotidiano di Puglia”. Nella sua attività giornalistica si è sempre interessato soprattutto di politica, di politica-amministrativa e di giustizia amministrativa. E’ stato consigliere comunale di Calimera dal 1985 al 1996, prima eletto come indipendente nelle liste del Pci, poi in quelle del Pds. Durante questa esperienza politica è accaduta la vicenda raccontata nel libro “Un processo per caso”.

UN PROCESSO PER CASO
Storia di tre arresti per dimissioni

di Alfredo Ancora, Luglio 2010, Pagg. 208, Euro 14,00, ISBN 9788890154867, GLOCAL EDITRICE

mercoledì 4 agosto 2010

PERCHE’ ABOLIRE LA SIAE di Salvatore Primiceri (Edizioni Voilier 2010)





















La tutela del diritto d’autore in Italia è affidato in via monopolista alla SIAE. In un libro di Salvatore Primiceri, edito da Edizioni Voilier, tutte le contraddizioni di un ente privilegiato. E c’é anche un gruppo ufficiale su Facebook!
In “Perché abolire la SIAE”, uno scorrevole saggio di 110 pagine, Salvatore Primiceri delinea lo “stato” della tutela del diritto d’autore in Italia mettendo in evidenza le principali iniquità e contraddizioni della SIAE, l’ente che dovrebbe garantire tutela agli autori e, al tempo stesso, agevolare ed essere garante dello sviluppo, della diffusione della musica e delle opere dell’ingegno per soddisfare il bisogno del pubblico e degli utilizzatori in genere, compresi gli organizzatori di eventi e i musicisti. La narrazione segue una precisa linea di pensiero che è quella di ritenere ingiusto qualsiasi freno alla crescita culturale di una società, alla creatività e alle nuove tecnologie, soprattutto se questo freno viene investito da un’autorità statale e da una protezione assoluta. Nel trattato si sostiene pienamente il diritto d’autore e si condannano gli usi illegali delle opere tutelate ma, allo stesso tempo, non si ammettono forme oppressive della diffusione della creatività, forme che in nome di una presunta battaglia di legalità, non tengono conto delle istanze degli operatori del settore, del pubblico e persino delle direttive europee. Il controverso ruolo della SIAE viene analizzato anche dal punto di vista dell’organizzatore di spettacoli e degli stessi autori, non sempre soddisfatti della tutela ricevuta e dei metodi di ripartizione dei diritti. L’auspicio è che si acceleri un processo verso l’abolizione dell’ente a favore di un mercato libero nella tutela dei diritti oppure di una sua profonda riforma che vada però sempre a inserirsi in un quadro concorrenziale e non più monopolista.

Dalla prefazione:
“Una canzone o un film, sono esempi di opere dell’ingegno, opere che nascono dalla creatività di uno o più autori. Quello dell’autore è un mestiere importante. Non si tratta solo di avere creatività per se stessi ma anche di rendere il risultato condivisibile con tanta altra gente, il pubblico o l’ascoltatore.
La condivisione di un’opera come una canzone nasce dall’emozione. Le parole, le note che la compongono suscitano un qualcosa che rende partecipi centinaia, migliaia e a volte milioni di persone. Più l’autore riesce a veicolare l’emozione sul pubblico, più l’opera acquisisce un valore culturale, un contributo alla crescita culturale della società, che come tale va tutelato ma va anche diffuso il più possibile per via della sua importanza ed efficacia positiva.
E’ ovvio e non trascurabile infine, che essere autore è anche un mestiere al pari degli altri e che quindi va tutelato e rispettato anche sotto l’aspetto economico”.

PERCHE’ ABOLIRE LA SIAE
di Salvatore Primiceri
Edizioni Voilier 2010
€ 5,00 (ordinabile on-line sul sito della casa editrice)
Per informazioni: www.edizionivoilier.com
“Abolire la Siae” é anche un gruppo su Facebook.