Nei primi giorni dell’estate del 2017, un liceo dell’Aia è il bersaglio
di un attentato terroristico. Due bombe, collocate sotto i tavoli della
mensa del liceo, provocano la morte di ventidue studenti e di due
professori. I sospetti si concentrano subito su uno studente ceceno,
Kirem (ombroso, asociale, profondamente religioso) e sul fratello Omar
(aperto, integrato, occidentale nello stile di vita e segretamente
omosessuale), entrambi nei Paesi Bassi con lo status di rifugiati,
insieme a Taissa, la madre, e al cugino Makhmud, violento, collerico e
fondamentalista islamico. Nell’attentato è coinvolta, suo malgrado,
anche la loro professoressa di russo, Alissa, cecena come loro, da
sempre attenta a nascondere la propria identità, così come la propria
fede religiosa musulmana, perché desiderosa di integrarsi nella società
olandese, rimuovendo il doloroso passato legato alla guerra in Cecenia e
all’odio di cui è stata vittima in Russia. Ora, però, gli antichi
incubi si ripresentano, anche perché accusata di non essersi accorta
della radicalizzazione dei suoi studenti. In realtà, colpevoli, dinamica
e moventi dell’attentato restano a lungo misteriosi, in un susseguirsi
di colpi di scena, omissioni e testimonianze. Come se fosse un vero e
proprio racconto poliziesco, i pezzi della storia si incastrano
gradualmente, seguendo l’alternarsi delle voci dei suoi protagonisti, da
Omar ad Alissa, da Kirem ad Alex, capaci di raccontare una vicenda
tragica nella quale emerge la sofferenza per l’esilio, l’angoscia
costante dei rifugiati e anche la maledizione di essere omosessuale in
Cecenia.
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