In un mondo di storie senza amore e di amori senza storia questo è un libro sull’amore nella nostra storia. Claudio Lolli, poeta e cantautore, scrive con queste lettere alla moglie di amore e di storia, passando, volando, dall’intimità più profonda alla piazza, dalla piazza più grande alla piazza più piccola, dalle piazze al mondo. In una trama sottile di pensieri e ricordi di straordinaria delicatezza, con bagliori improvvisi di desiderio e desideri, questo libro d’amore prende per mano il lettore e lo accompagna negli ultimi quarant’anni della nostra storia. Quel camminare col caleidoscopio per città, colline e campagne – e soprattutto dentro di noi – che già rendeva uniche e preziose le sue canzoni. Scorci nitidi di poesia, emozioni individuali e collettive, ribellione e memoria. Una generazione che si scambia uno sguardo e s’intende. Una generazione che vorrebbe intendersi con i figli e prenderli per mano.
Perché vale la pena di
leggere Lettere matrimoniali? Perché è un libro che è una ballata d’amore. Una
ballata autentica, schietta e sincera, ma allo stesso tempo spiazzante e
oscena, che mescola pubblico e privato. Perché è un libro per epistole che – al
tempo di email e chat – sfiora tutte le sfumature di una storia d’amore, dando
un’occhiata a Leopardi e una a Bukowski. Infine perché Claudio Lolli non è un
semplice scrittore. Ma nemmeno un semplice cantautore. È un amico e un’artista
che racconta e dà consigli come solo un fratello maggiore saprebbe fare. Una
raccolta di lettere intrisa d’amore, poesia e musicalità. Una raccolta
essenziale.
COME COMINCIA
Scendo dall’autobus
(96) e non so bene dove mi trovo. Ormai lo sai, sono un tipo distratto. Per
fortuna c’è un cartello sulla strada che dice: Rastignano. Già. Ma che ci
faccio? Poi vedo un’altra scritta: Villa Luana. Che strano nome, penso, per una
casa di riposo. Sembra il nome di una ballerina brasiliana, una di quelle che
prima la fanno vedere e poi te la danno. Però adesso ho capito e salgo. La
stanza è più che dignitosa. Lei è sola, legata al letto. Ventun giorni. Per
fortuna, in fretta. Per fortuna per lei e per tutti noi. Parla, non parla,
straparla, s’incazza e s’intenerisce. Ma c’è qualcosa che mi colpisce: ogni
pomeriggio, un minuto prima di andare via, dalla finestra aperta arriva un
piacevole alito di vento. I primi giorni ero contento, con la temperatura di
fine giugno. Dicevo: “Vedi come si sta bene, che bel fresco che c’è”. Ma dopo
ho cominciato a inquietarmi, perché quel soffio, alla stessa ora, si faceva
sempre più violento e imperioso. Ho capito cos’era tornando verso la fermata
del 96 che, a Rastignano, arriva quando vuole. Molto meno puntuale di
quell’alito di vento.
Con amore
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