Tutte le regioni
Italiane e tutti i must del cibo nostrano dalle Sagre alle Preparazioni, da
Slow food alla Dieta Mediterranea. 680 pagine mozzafiato con poetiche foto
inedite. Gli italiani e il cibo, un rapporto d’amore raccontato con uno sguardo
inedito. Elena Kostioukovitch è autrice (Sette notti, Bompiani, 2014),
traduttrice, docente e agente russa, ma vive e lavora da anni in Italia: il suo
quindi è un punto di vista del tutto originale nel descrivere il nostro
rapporto con la gastronomia. Un’opera di ampio respiro e acculturatissima che,
nelle sue 680 gustosissime pagine, racconta di tutti i piatti e gli ingredienti
propri della tradizione italiana. Una sorta di “Lettere persiane” alla
Montesquieu con relativo effetto ironico. Ricco di fotografie che illustrano in
modo poetico la vita nel nostro “ghiotto” paese, il volume si sviluppa
alternando ogni regione italiana ad un “fatto culinario” particolare (ad
esempio “Ristorante”, “Materie Prime”, “Sagra”, “Slow food”, ma anche “Eros” e
“Felicità” etc). Impreziosito da una prefazione di Umberto Eco (che
Kostioukovitch traduce per il mercato russo) in veste gourmet, Perché agli
italiani piace parlare del cibo è il volume perfetto per entrare in clima Expo
2015. Come ci vedono dunque gli altri? Inconfutabile lo stillicidio di detti e
frasi fatte a sfondo gastronomico che utilizziamo quotidianamente e senza
pensarci: “andare a fagiolo, come il cacio sui maccheroni, buono come il pane,
rendere pan per focaccia, mettere troppa carne al fuoco”. Un paese con una tradizione
culturale millenaria che nel cibo ha fondato intere tradizioni e detti con la
stessa intensità al Nord come al Sud. Un paese che ha saputo adattare ai
periodi postbellici i propri piatti creando squisitezze con gli avanzi del
giorno prima. Un paese che nell’ultimo ventennio ha creato marchi e prodotti
raffinati per affacciarsi al mercato globale: prova ne sono i punti Eataly che
spuntano in tutto il mondo come funghi.
Ma è nei particolari
che questo libro dà il meglio di sé: le descrizioni minuziose, gli aneddoti e
gli interminabili elenchi ad usum turisti, ma interessanti anche per noi
italiani. “mondare i carciofi alla romana;allargare e schiacciare con un sasso
i carciofi alla giudia;legare gli asparagi; saltare la pasta e farla asciugare
a fuoco gagliardo;lasciar riposare le melanzane sotto sale, perché perdano
l’amaro; battere il polpo vivo; far frollare la carne; sbollentare e spellare i
pomodori, preparare le «listarelle»; tritare i pinoli; ammollare i fichi
d’India; sciacquare lo stoccafisso, cambiando spesso l’acqua; asciugare
l’insalata verde nell’apposita centrifuga; steccare la cipolla con i chiodi di
garofano” etc.
Quando Massimo D’Alema
(pugliese “naturalizzato” romano) se ne uscì con “per governare non basta saper
chiudere i tortellini” fece un autogol clamoroso. Se ne accorsero Indro
Montanelli (tra i suoi detrattori) e l’ex sindaco di Bologna Guido Fanti.
L’inseguirsi di dichiarazioni sui tortellini emiliani, uno dei simboli della
regione “rossa” e delle feste dell’Unità, è esilarante. Kostioukovitch afferma
sbalordita che senza quella battuta probabilmente il governo progressista non
sarebbe caduto di lì a un annetto (1998). Nella descrizione dell’immenso
mercato ittico di via Lombroso a Milano, che alle 2 e 40 del mattino di un
giorno feriale “sembra una sfilata di moda”, si raggiungono i picchi del
reportage di viaggio televisivo. In questa “sfilata” “Gli spettatori sono tonni
e pesci spada, con le protuberanze rivolte contro di noi, e noi ci muoviamo
sulla passerella nella folla di commercianti, ristoratori, ricercatori e
grossisti. Le spade e i martelli sporgono minacciosi, il quadro ricorda non
solo una sfilata di alta moda, ma anche una compagnia di cosacchi prima di un
attacco a sciabola sguainata” etc. Sembra di vederli, sia i pesci che i
pescivendoli intenti a stilare i nuovi cartellini dei prezzi, combattuti tra la
convenienza di mettere un nome impreciso su una cassa di pesce o il rispetto della
legge sulla denominazione… Che dire poi di uno dei prodotti più fortunati della
nostra produzione industriale: la Nutella? A Michele Ferrero, recentemente
scomparso, va il merito di aver creato non solo l’alternativa al peanut butter,
il burro di arachidi tanto amato dai bambini statunitensi, ma anche un vero e
proprio oggetto di culto con i numerosi fan club (vedi il sito
nutellastories.com) o il collezionismo dei bicchieri del packaging. Un capitolo
che guarda al futuro, ma con radici nel passato è quello dedicato a Slow Food.
Kostioukovitch attribuisce molti meriti alla creatura di Carlo Petrini e la
difende da tutti i fraintendimenti in cui potrebbe incorrere il non attento
conoscitore delle pratiche dell’associazione. Con questo volume, che rieditiamo
dopo un decennio, l’autrice vinse il premio Bancarella nel 2007 e non a caso:
dal Tartufo d’Alba alla Nutella, dalla polenta (vituperata dalla letteratura)
ai bucatini al sugo di coniglio di Ischia non c’è prelibatezza che le sfugga.
Russa sì, ma con palato decisamente favorevole alla cucina che tanto ci
contraddistingue.
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