Queste riflessioni nascono
dall’esigenza di condividere alcune mie personali ipotesi di lavoro sulla
Realtà e alcune sue porzioni (discutibili o meno, accettabili, criticabili,
minimamente condivisibili), con tutti coloro i quali desiderino tentare di intraprendere
un cammino altro senza nessuna rassicurazione o consolazione … grazie per la
pazienza, e buon viaggio! (Stefano
Donno)
Siamo in un momento di crisi
verticale, in cui l'intero edificio della cultura, barcolla, aprendo faglie nel relativo modello
di scambio sociale delle idee e delle proposte, delle istanze di creazione,
della produzione letteraria e poetica, imponendo con una certa urgenza e non
senza un forte senso d’angoscia, la
questione di modulare e praticare un'etica e una prassi diversa della
produzione letteraria. Un dono, che ciascuno scrittore o operatore editoriale,
culturale dovrebbe farsi e fare escludendo per un attimo dai suoi ragionamenti
le seducenti nuances e i delicati “afrori” che provengono, come un persistente
rumore bianco di sottofondo, dal mondo dell’utile e del profitto. E dunque come
si potrebbe configurare nel qui e ora, un “agire” della scrittura che si
inscriva nelle categorie non solo del libero, del gratuito, del disinteressato
ma che scelga anzi tragicamente il peso di una strada poietica e della poiesi
fenomenologica che si nutra del rischio, dello scandalo e della sovversione in
una totale ed integerrima radicalità? A mio avviso e così su due piedi (e forse
anche con una buona e voluta dose di leggerezza e superficialità) si potrebbe
partire dal saltare a piè pari, l’idea che comunque la scrittura, la produzione
editoriale debba in un modo o nell’altro fare i conti con il mercato. La
libertà di ideazione e creazione è comunque un atto di libertà che è pre/personale
rispetto al mercato e post/personale rispetto a qualsivoglia indice di
gradimento, indagine di mercato, packaging, merchandising, o bilanci di
previsione di vendita di un prodotto editoriale. Ma si tratta di considerazioni comunque
marginali, che non si avvicinano minimamente al senso di ciò che ho in animo di
sviluppare, e che pertanto cercherò di ri/pensarle magari fra qualche tempo in
altri contesti e perché no seguendo ulteriori e forse più profondi e
approfonditi punti di vista. Intanto ripuliamo il campo di indagine da
ambivalenze e malversazioni ermeneutiche o categorie in “odore di muffa” che
calzerebbero a pennello più a filosofi morali, teoretici e sociali, economisti,
teologi, biologi, perché ciò di cui mi devo occupare riguarda il tentativo di
proporre una grammatica dell’ideazione e della creazione letteraria che sia un
modello di rimando costante a pluriversi e multiversi linguistici e stilistici
della e nella scrittura, ma soprattutto per la scrittura. Senza ombra di dubbio
sono dinanzi ad un compito arduo e irto di ostacoli che mi condurrà ben oltre
le profondità oscure degli abissi “ontici” di morfemi e lessemi, di metriche, e
generi. E dunque è veramente possibile che il processo di autodistruzione della
nostra civiltà letteraria sia veramente irreversibile, e non ci sia più nulla
da fare? Ci saranno per l’amor del cielo dei responsabili a cui chiedere
ragione per tutta questa deriva? Nella nostra modernità o forse post/modernità
(chissà se non sguazziamo invece nell’acquitrino del pre/moderno!!!) la teoria
della letteratura si astiene dal proporre modelli e regole vincolanti di
“eugenetica” letteraria. Senonché l'impossibilità di comporre la disputa sullo
statuto della produzione e della scrittura poetica e narrativa impone di
proporre e riversare questo mio indagare sul piano dell'universalità
antropologica e della plausibilità di alcune discipline scientifiche. E
allora che significato si vuole dare
dunque oggi alla vita della “nostra” letteratura, della “nostra” cultura? Si
può mantenere ancora in piedi il valore tradizionale della responsabilità
morale del soggetto poetante o scrivente
verso se stesso e i suoi simili? Forse è necessario che non sia più un
solo Io Poetante o Scrivente il detentore di una centralità originale e
originaria della produzione editoriale, scritturale, o informativa, ma un
collettivo plurisoggettivo post/egoico di riferimenti e scambi ipertestuali e
con/testuali che si nutre di confronti e suggestioni già esistenti, in grado di
dare origine poi successivamente ad una creatura nuova, diversa, altra,
alternativa, possibile, e plausibile. Dunque è auspicabile superare i limiti
stessi dei modi in cui si è stati educati a concepire un’editorialità poetica,
informativa o narrativa, per giungere ad una visione e ad un rispetto della
dimensione complessiva di una nuova e plurima soggettività scrivente senza
riduzionismi metafisici e/o razionalistici. L’obiettivo di queste
considerazioni è quello di favorire attraverso la presentazione di coerenti
spunti di riflessione, una proposta di rinnovamento complessivo dell’uomo
letterario e della comunità letteraria globale (qualunque e dovunque essa sia).
Ma allora sembrerebbe quasi naturale chiedersi ad esempio che cosa ad oggi la
teoria della letteratura abbia fatto per il narratore e il poeta. Possibile che essa si sia preoccupata di
problemi così alti da dimenticare la brutalità, la caoticità, la cosalità
dell’esistere per le umane lettere? Possibile che essa continui colpevolmente e
consapevolmente a vivere in uno stato di beatitudine iperuranica,
dimenticandosi dell’esistenza di un mondo inferico e magmatico pulsante di
incontenibile energia? Non tutto sembra
perduto, e forse siamo ancora in tempo per evitare la catastrofe.
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