L’originalità del poetare di Anna Bergna si
nota immediatamente nei primi versi «incontro un profumo di fiori gialli, / ma
è inverno, indugio nelle mani del cielo / cariche di questo incanto»(p. 16) e
nel comporre il dipinto Palafitte in due differenti cornici quali La terra, il
cielo ed il cognome e Sfamavo avannotti in Engadina.
Il genio poetico è insito nei
versi di Anna Bergna. Si lascia ispirare dalla natura, dalla bellezza della
città di Como, dai suoi paesaggi: le montagne, il lago, i pesci, l’airone: «Un
airone stava sul legno ad ali chiuse, statua dal collo / cipressino, sazia di
vanagloria» (p. 39) e gli stati d’animo emergono su «Palafitte che non sanno
dove tenere i piedi quando la magnitudine si innalza» (p. 59).
La magnitudine dell’autrice è
chiara come «quel ramo del lago di Como, che volge a Mezzogiorno, tra due
catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello
sporgere e del rientrare di quelli» (Alessandro Manzoni). E si legge e si
ascolta la musicalità e la bellezza nelle lunghe descrizioni dei versi: «Sul
porfido disabitato del mattino, trascinavano pagine e / nervature
decalcificate; nuotavano mute a infrangersi contro il destino grigio di una
diga. / Eppure i cigni arcuando il bel collo beccavano il pane, i / gabbiani
scoccavano frecce di luce, i bambini correvano su / impossibili scale, le
polacche affiancavano anziani dispersi / dietro al bronzo di Mafalda». (p. 23).
La quotidianità è raccontata nelle poesie di Anna Bergna con particolare cura e
predilezione nel catturare immagini come il diaframma di una macchina
fotografica per fermarle e ricordarle in eterno.
Si legge: «Notte: le luci della
funicolare ormeggiano la città alla boa / lunare. / Il Gabbiano ha già lasciato
il porto, nel suo ventre trasparente / teste reclinate stanno a pelo d’acqua.
(...). La luna talvolta si specchia e talvolta annegando ritrova le ossa». (p.
31). E ancora: «all’alba, / dietro le quinte viola, / si distendono schiene
innevate / e tu contro le onde arranchi, / risalendo deserti pontili (...)».
(p. 32). Il lettore non può non rimanerne ammirato e attratto dai versi
dell’opera poetica Palafitte.
Inoltre, è evidente l’amore per
la libertà. Un’esigenza quasi che si manifesta nella presenza libera e
leggiadra dei gabbiani. Questi uccelli dolcissimi che ricorrono spesso nelle
poesie di Bergna. L’autrice ama la libertà, vogliosa di superare i confini
segnati dalle montagne - la libertà, la leggerezza - in contraddizione con la
finitezza del lago o l’imponenza che costringe alla finitudine delle montagne e
appare desiderosa di volare via, come un gabbiano, libera contro ogni
ristrettezza del pensiero umano, libera da ogni giudizio e pregiudizio.
Come Umberto Saba, l’autrice
adopera le parole dell’uso quotidiano e i temi, nei quali ritrae gli aspetti
della vita quotidiana, anche i più umili e dimessi: luoghi, persone come il
pescatore, paesaggi, animali, anzichè Trieste - la città di Saba - troviamo
Como con le sue strade, le montagne. Non a caso la raccolta poetica Palafitte
contiene una poesia di Umberto Saba. Lo stile di Anna Bergna però non è
semplice, come quello del poeta, ma ricercato, complesso a tratti, indice di
una personalità forte, sensibile, introversa.
Così si legge: «Tutto è
gradazione di vuoto, / edificato nel luogo di uno spostamento. / Onda che sale,
si appiana, / sale, si appiana / e correndo si illude / di aver lasciato il
mare. / Brividi coscienziosi dell’inanimato». (p. 68). E i versi nei quali
identifica non solo se stessa nella bellezza della sera, rassicurante e tenebrosa
nello stesso tempo, ma vede anche gli altri, nella generosità di condividere la
sua gioia, l’unicità, l’individualità con gli altri, con l’“ognuno”: « (...).
Tra tutti i nuotatori della sera, / l’universo guardava me ed io lo fissavo
dritta, dimentica di / tutto, ubriaca di grandezza. Folate ininterrotte di
riverberi / (...). Ora mi commuove sapere che la sera regala ad ognuno una /
strada ugualmente dorata, ad ognuno la stessa maestosa / illusione d’essere
Custode del Segreto». E questo segreto che non si dipana nemmeno nell’ultima
poesia, al contrario la generosità: «Generoso, e più in alto, dentro le
radiazioni azzurre di luce / rinfranta, e ancora più in alto, nel nero
intergalattico, rivedrei / tutti i ricordi nostri e segreti e unici. / Ma tu non
sei mortale, non nella mia esistenza, ed io posso / piegare il collo sui tuoi
passi». (p. 76).
L’autrice si congeda con questi
versi mistici, leopardiani, e un segreto che trascina con sé e che tenta di
condividere con i lettori amanti e amati, il segreto per un amore perduto, per
l’abbandono di una persona cara, per la sofferenza e l’amore per la sua terra
che desidera condividere generosamente con ognuno di noi.
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