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domenica 26 febbraio 2012

In Our Prime: The Invention of Middle Age by Patricia Cohen (Scribner). Intervento di Mariangela Notaro


La Signora Cohen, giornalista per il New York Times, ha scritto un libro affascinante sull’idea della mezza età, ovvero “ una storia che ci raccontiamo su noi stessi, un orizzonte a cui miriamo con l’intento di strappar via la sua linea…”. Oggi, più che mai, quella storia vuole agghindare di poesia l’idea che la mezza età racchiuda in sé un enorme potere,  mentre nello stesso tempo mira a  rivestire la giovinezza con l’abito dell’ idolatria. Ella ritiene che quest’età sia una “finzione culturale”, un concetto elastico ricreato da ogni generazione. Gli accademici stanno ancora definendo l’età che va dai 55 ai 75 come una categoria a sé stante, abbellendola con etichette come “ generazione del bis”, “ terza età”, o “passaggio medio”. Considerato il modo consistente in cui la vita dei salutisti americani si sia prolungata e la rivoluzione indotta dalla procreazione, la gente oggi, può permettersi di avere più tempo per crescere e ancora di più per morire, come se la morte fosse manipolabile. Superba ed irrefrenabile presunzione umana! La signora Cohen ci rende noto che lei potrebbe ritardare il matrimonio fino ai 39 anni, scegliere di farsi madre sui 40 e pensare ancora a cosa voler fare una volta divenuta adulta, quasi in un fantastico gareggiar col tempo. Magari accettassimo che il tempo, questo grande coordinatore delle nostre esistenze, invece crea e disfa realtà in un baleno a suo unico piacimento! Ciò si presenta come un richiamo personale raro all’interno di un’opera che poggia su solide e diverse ricerche e che trova i suoi esempi universalmente riconosciuti nelle opere dei poeti romantici, Trollope e Arthur Miller, così come anche Bernice Neugarten, un pionere nello studio dello sviluppo adulto.  Prima della metà del ‘900, la Cohen proferisce “ l’età non fu un ingrediente essenziale della dignità di un individuo”. Fu l’influenza di “elementi condizionanti”- matrimonio, parentele, malattie- a plasmare la narrativa adulta. Nel 1800 le donne furono praticamente spinte a trasformarsi in madri e quindi ad accudire prole per 17 anni, mettendo al mondo una media di sette figli. Più tardi fu la volta delle suffragette, la cui vocazione per i diritti delle donne sul voto contribuì anche ad espandere le opportunità di carriera per le donne di mezza età. La Cohen descrive anche la sbalorditiva liberazione sessuale da parte di Edith Wharton. Dopo aver vissuto un matrimonio disgiunto dal sesso per più di due decenni, la Wharton riscoprì le gioie di questo piacere a 45 anni, con un “ baffuto mascalzone”. E con le suffragette, forse, l’anima ha iniziato ad avverare il suo potenziale, le sue incommensurabili, sorprendenti conquiste di infinito…
All’alba del 1900, gli americani iniziarono a prender coscienza dell’umana, lecita possibilità di “abbracciare” i 50 anni. I resoconti del censimento rivelano che puntualmente strappavano via, come foglie marce da una pianta nel suo abituale fiorire, un decennio quando venivano intervistati.  L’età media scivolò nell’essere un gioco crudele. Ci fu bisogno di una sommossa del pensiero da parte di Erik Erikson, un rifugiato tedesco, per vestire di dignità ed importanza la mezza età. Negli anni 50 Erikson  ribaltò la dottrina freudiana- la corazzata teoria secondo cui la nostra personalità si delinea all’età di 5 anni- descrivendo la vita come un ciclo di otto fasi. Egli parlò di “ stadio adulto medio” dai 45 ai 55 anni, quando la forza ci viene elargita attraverso la cura degli altri e contribuendo al miglioramento della società, che egli denominò “ generatività”. L’età meramente cronologica è chiaramente riconosciuta oggigiorno come un rivelatore menzognero della crescita adulta o dell’autenticità dell’identità per tutti coloro che hanno toccato i 50. Prendiamo in esame il comportamento di due o della maggior parte delle nostre figure culturali più prominenti. Donald Trump a 65 anni si mostra e agisce come se si adagiasse ancora sui suoi turbolenti nove anni. Bill Clinton, alla stessa età, è gioca a voler retrocedere all’adolescenza . Ma allora per quale motivo le nostre mani si ostinano ad innalzare il muro dell’ansia della mezza età? I primi incriminati, afferma la Cohen, sono i venditori di bellezza. In quanto imprenditori di cosmetici, pubblicità ed industrie di intrattenimento, hanno vestito i panni di avidi collaboratori nell’impresa lucrativa di restituire all’immagine della mezza età la sua cornice più bella, perfetta, ma non perfettibile. Ma sul finir del giorno, quando ci si rende conto di non essersi alzati in tempo per la lezione di fitness ed esser così mancati a quel “noi” di noi stessi che crediamo di generare, proprio come l’alter ego in grado di starsene sicuro al mondo, s’ode per caso una voce molesta che facendo capolino negli antri più reconditi di noi ci sussurra, “non sarai mai così magro come Jane Fonda?” La signora Cohen, utilizza Oprah Winfrey come un primo esempio di questa contraddizione dell’Io. In una forte nota editoriale in O, il Giornale di Oprah, la 57enne Signora Winfrey, con tono provocatorio annunciò che lei non avrebbe permesso alla “ cultura dell’ossessione per la giovinezza” di dirle di non preoccuparsi. Ella ammonì coloro che mentono sulla loro età per “la malattia di voler essere ciò che non si è”.Perché, in effetti, come possiamo cambiar di rotta nel navigar della vita come fossimo vascelli senza comando al timone? Quale disumana presunzione è mai questa? Dobbiamo far nostra l’idea che Oprah si stia ora confortevolmente sdraiando sulle sue notevoli risorse finanziarie e fisiche?


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