In un mondo perfetto nessuno si
sognerebbe mai di cercare la perfezione. Non si cerca qualcosa che c’è. Quel
che c’è lo si guarda. Lo si ascolta. Lo si contempla. E ancora. Ma molta della
vita che scorre su questa Terra perfetta non è. Imperfetto è soprattutto chi la
abita. Cosa farne di tanta imperfezione? Oh, molte cose se ne possono fare. Lei
ne fa versi. E, competente come pochi, mite come brezza primaverile, dolce come
melograna, umile com’è chi percorre la via della conoscenza umana, lei fa versi
e supplica perdono alla bianca poesia, lei che mescola parole e colori sulla
pura tela di una Musa Aonia ancora da inventare, lei che dell’esistenza cerca
di spremerne il violaceo significato. E viola è il colore che avvolge medit
azione di capelli nel roseo sguardo di copertina. Ché se non fosse “Fiato
Corto” e se “Il colore viola” non fosse già un romanzo di Alice Walker e un
film di Steven Spielberg, così avrei titolato questo esordio poetico di Eliana
Forcignanò. Dopo le sue fiabe, ecco “Fiato Corto” (per i tipi di Lietocolle,
2011, pagine 62, € 13,00), mondo poetico di Eliana Forcignanò dominato da tutte
le sfumature del colore viola, ch’è uno dei colori dello spettro che gli occhi
possono vedere. È quello associato alla frequenza più alta e alla lunghezza
d’onda più corta. Come dire, riferito al libro in parola, versi che raggiungono
vette alte, schermate dal lemma corto del titolo. Il viola, è noto, nasce
dall’unione del rosso e del blu e, in quanto tale, è sintesi delle qualità
simboliche dei due colori che gli danno vita. E c’è il rosso nelle liri che di
Eliana Forcignanò, c’è la passione e la violenta irruenza del rosso. E c’è la
trascendenza del blu. I due opposti generano il viola, ch’è temperanza. Così la
poesia di Eliana Forcignanò sembra tendere all’unione degli opposti, all’unione
(scomodando Jung) di due nature, di corpo e di spirito. Così le parole di
Eliana Forcignanò sembrano anelare al viola, a quella che (secondo la visione
di Steiner) è la dimensione che va oltre quella fisica, quella propria della
natura sfuggente e inafferrabile. Viola che mai diventa crepuscolare (com’è,
invece, questo colore per Goethe), ma prossimo alla timidezza della violetta
(nascosta tra l’erba), del cui fiore (questi versi) hanno in comune la forma: semplice
e essenziale, che evoca la grazia e l’intimo valore dell’estetica. I versi di
questo libriccino possiedono grazia in ogni passaggio e bellezza in ogni tema,
ché ognuna delle tre sezioni di “Fiato Corto” è un inno all’affermazione della
dignità d’essere qui e adesso. Indipendentemente che sullo sfondo delle parole
ci sia il passato, con la
Musa Emily Dickinson o l’assenza di voce delle donne del
padiglione secondo a dettarle, o che ci sia il presente senza suono, del non
aver vissuto, delle emozioni triturate, delle dentate disfatte, dei sogni
sfatti, della mela acerba offerta all’onore di un dente, della stanca speranza,
metabolizzate nell’allegria del canto. E mi sembra di sentire la voce di Whoopi
Goldberg (che, guarda caso, fuor di pseudonimo d’arte fa anche Elaine) che –nel
film citato sopra- dice: “Io sono povera, sono negra, sono anche brutta, ma
buon Dio sono viva!”; sì, leggendo “Fiato Corto” sento la voce di Eliana
Forcignanò che dà voce a chi non ce l’ha e grida “sono viva” e nelle avversità sorride
e, mi piace pensare, in fine, nel silenzio della luce azzurrognola della sua
stanza, ascolta “Miss Celie’s Blues”. Ché è la prima canzone, dato anche il
taglio di questo pezzo, che mi viene in mente. Ché questa canzone, come molto
blues, è vivere con gioia la tristezza e le difficoltà. Ché l’altra gioia,
quella dei giorni belli, avrà un sapore vero!
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