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venerdì 4 novembre 2011

Mondo senza fine. Il diario spagnolo di Langston Hughes (Mattioli 1885). Un estratto come anteprima.






















Non puoi pretendere che ogni mela sia perfetta. Dalla prefazione di William J. Harris – “Mondo senza fine, è l’ottavo libro e la sezione finale dell’autobiografia di Hughes I wonder as I Wander, le riflessioni dello scrittore sui progressisti anni trenta, sebbene il libro sia stato scritto e pubblicato nei più conservatori anni cinquanta. E senza dubbio è il mondo contrassegnato dalle varie sinistre quello in cui Hughes vaga in quegli anni, dalla Russia Sovietica alla Spagna dilaniata dalla guerra. In questo ultimo libro Hughes ci parla dei sei mesi passati in Spagna nel 1937, durante la Guerra civile. Ovviamente si trova sul fronte dei repubblicani, mentre questi sono impegnati nella lotta contro i fascisti. Era andato in Spagna come reporter per i quotidiani dei neri d’America. Dal momento che lui stesso era nero, e scriveva per la stampa nera, ciò che lo interessa è diverso da quello che può colpire l’attenzione di un bianco come Orwell o Hemingway. Ciò che a Hughes preme è la situazione dei neri in Guerra, e in Spagna, per poter superare lo stereotipo classico dell’uomo di colore. Molte di queste pagine ci parlano dei neri in quanto singoli individui. “Tutti i neri, di qualsiasi nazionalità, con cui parlavo, convenivano sul fatto che non ci fosse la minima traccia di un pregiudizio relativo al colore in Spagna.” Sebbene i pregiudizi razziali siano lasciati alle spalle, nella natia America, la questione del colore continua a emergere mentre scopre i neri al potere, e i neri integrati coi bianchi nelle Brigate Internazionali, dal momento che in America era arduo trovare neri al potere e non ci sarebbe stata integrazione razziale nelle forze armate fino al 1948 – cioè il punto di riferimento era ancora Jim Crow, l’America segregata. Un altro momento similmente interessante negli scritti autobiografici di Hughes è quando, nei libri che precedono questo sulla Guerra spagnola, si mostra maggiormente condiscendente nei confronti dell’esperimento sovietico rispetto all’amico, il famoso scrittore britannico Arthur Koestler. Dal momento che Hughes è un nero che viene dal profondo della società americana, non è così “velocemente disilluso riguardo all’esperimento sovietico.” Ricorda che il grande Fredrick Douglass, lo scrittore nero che nel diciannovesimo secolo aveva lottato contro la schiavitù, quando aveva letto sui giornali degli schiavisti che “gli abolizionisti erano tutti anarchici, contadini, diavoli e atei,” aveva continuato a pensare che “l’abolizione – di qualsiasi altra cosa potesse essere – non potesse dispiacere a uno schiavo.” Come Douglass, Hughes sente che l’Unione Sovietica, qualsiasi sia la macchia di cui si possa coprire, può significare qualcosa per chi è ai margini. Ma anche l’ottimista Hughes non sempre riesce a evitare di essere critico riguardo ai repubblicani, che hanno troppe disparità di opinioni fra loro per poter vincere la guerra. Ma il libro non parla solo della Guerra Civile – ci parla anche della formazione di uno scrittore di colore in quei tempi, un’impresa non facile, dal momento che la maggior parte del mondo letterario era a lui impedito a causa del colore della pelle. “Questa è la storia di un nero che vuole vivere con le proprie poesie e i propri racconti,” ha scritto Hughes. E proprio in queste pagine sulla Spagna, ribadisce il concetto. “Nella guerra civile in Spagna ero stato lì come scrittore, non come combattente. Ma questo è ciò che volevo essere, uno scrittore, che registrava quello che vedeva, e commentava, e traeva dalle proprie emozioni una propria personale interpretazione.” Siccome era uno scrittore, andava in cerca di altri scrittori, come il grande poeta nero cubano Nicolas Guillen, e poi tutti quelli conosciuti a Madrid nell’Alianza, vero e proprio ritrovo di scrittori e artisti. Hughes, viaggiatore del mondo, aveva una visione ben più ampia di quella della maggior parte degli scrittori americani dell’epoca, e – ironicamente – fu proprio a Madrid che conobbe il maggior numero di scrittori bianchi americani. “Non essendomi dato di frequentare l’Algonquin di New York, non ho mai incontrato molti scrittori famosi. Durante i mesi che passai in Spagna feci conoscenza di più scrittori americani bianchi che in qualsiasi altro periodo della mia vita.” Hughes scriveva in primo luogo per le masse nere, e su di loro, ubbidendo alla massima del grande poeta spagnolo Garcia Lorca, che aveva tradotto in inglese: “La poesia, la canzone, la pittura sono solo acqua attinta dal pozzo del popolo, e dovrebbe essere restituita alla gente in una coppa di bellezza in modo che possano berne e, nel bere, capire loro stessi.” Questa è una perfetta descrizione di gran parte dell’opera di Hughes: egli prende la voce popolare della propria gente e la trasforma in oro puro. Perciò è abbastanza ironica la scena in cui legge le proprie poesie ai soldati sul fronte e questi gli contestano la grammatica stentata dei personaggi dei suoi versi, insistendo sul fatto che la gente di colore presente nelle Brigate abbia una buona educazione. Ma questi neri ben educati non sono quelli che lui sta cercando di ritrarre e raggiungere con le proprie poesie. A questo punto il lettore bianco potrebbe chiedersi: “Se Hughes scrive principalmente di gente nera per la gente nera, perché dovrebbe interessarmi?” In primo luogo perché non conoscere l’opera di Hughes significherebbe perdersi un incredibile talento e un grande piacere. Inoltre, perché la storia non finisce qui. A Parigi, nel 1937, nelle pagine che chiudono il libro, l’autore riflette: “Nel frattempo, avevo allargato i miei interessi oltre Harlem e i neri d’America per includere tutti i popoli di colore del mondo, anzi, tutti i popoli del mondo, dato che avevo a che fare con loro come loro con me.”. Lo potete notare nel libro che state tenendo in mano: Hughes è interessato a ritratte chiunque incontri e lo interessi, senza fare differenze di colore di pelle o altro. Tuttavia, tutti sono visti attraverso lo sguardo un po’ divertito di un complesso uomo afro-americano. È uno dei doni che fa al lettore: lasciarci vedere il mondo dal punto di vista di questo individuo afro-americano. Uno sguardo pieno. Hughes è sincero, divertente anche. Attraverso i suoi occhi una nuova consapevolezza del mondo può essere aggiunta alla saggezza del lettore. Anche se continuerà a scrivere della gente povera di colore fino alla fine della propria vita, e questo rimarrà il suo principale interesse, non mancherà di scrivere di altri argomenti, dovunque lo porti la sua fantasia. Sul fronte, nel campo di battaglia di Brunete, vicino a Madrid, un altro fronte, Hughes chiede “Dove sono gli uccelli che continuo a sentire cantare” e la risposta è: “Non ci sono uccelli. Quello è il fischio delle pallottole del cecchino.” A Madrid, Hughes trova un nuovo modo di utilizzare dischi di swing, suonandoli per gli scrittori e gli artisti dell’Alianza, in modo da nascondere “il suono delle bombe di Franco che esplodevano fuori lungo le strade.” Questi dischi finiscono per rimpiazzare la più tranquilla musica classica, e lui lascia le registrazioni di Duke Ellington, Benny Goodman e Charlie Barnet agli amici di Madrid affinché “le suonino durante i bombardamenti”. Trova un punto di contatto fra guerra civile e lotta razziale quando intervista uno studente di colore della Howard University di Washington. “Gli studenti universitari di colore devono rendersi conto del legame che sussiste fra la situazione internazionale e i nostri problemi in patria… Franco demolisce ciò che la gente ha impiegato anni a costruire. Brucia libri, chiude scuole e soffoca l’educazione. In America i nostri studenti, neri e bianchi, devono sollevarsi contro tutte le forze che mirano a un ordine sociale fascista.” Il ragazzo ha ragione. Vede le implicazioni internazionali della guerra, che è una prova generale per la Seconda Guerra Mondiale. L’illustre biografo di Hughes, Arnold Rampersad, saputo di questa edizione italiana del libro, mi ha scritto: “Le pagine sulla Guerra civile spagnola sono pura classe.” È un grande piacere, dunque, per un poeta afro americano come me poterne parlare in occasione di questa traduzione. In queste pagine possiamo trovare un uomo capace di guardare dritto negli occhi il mondo, ma anche dotato di un incredibile senso dell’umorismo o meglio di un equilibrio che lo accompagna in tutte le situazioni. Hughes è uno degli scrittori con maggior buon senso che abbiamo. Anche se vede la tragedia, ciò non gli impedisce di godersi il divertimento. È l’insegnamento che Hughes ha appreso quando era bambino a Lawrence, in Kansas, città a cui anch’io sono legato, quando la nonna gli dava una mela ammaccata e marrone e lui si rifiutava di mangiarla. Allora la nonna gli diceva: “Che problema c’è, ragazzo? Non puoi pretendere che ogni mela sia perfetta. Solo perché ha una macchia, vuoi buttarla via? Leva la parte marcia e mangia quella mela. È buona lo stesso.” “Così è il mondo, osserva Hughes, se levi la parte marcia, è ancora una buona mela.” Anche se si può trovare questa affermazione ingenuamente ottimista, è rinfrescante trovare uno scrittore che non sia romanticamente disperato per tutto il tempo. (29 giugno, 2011 - Brooklyn, NY)



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