Quello di Autoritratto newyorkese è il racconto di una generazione disillusa, tradita e irrimediabilmente sola, che senza punti di riferimento vive l’erotismo come una forma estrema di incomunicabilità.
«Con una scrittura priva di eccessi, ma con precisi affondi intimisti, Fiorino ci porta nelle viscere di una città che è più misera di come si racconta e nelle bassezze di una generazione che ha più speranze di quel che si dica.» - Internazionale
«Ci si emoziona, quasi ci si commuove a ritrovare un romanzo newyorkese così janowitziano, pieno di luoghi chiamati per nome, di esistenze randagie vissute nella fretta, sconquassate dalla distrazione, dalla confusione, da incidenti paradossali e da piaceri di brevissima durata, esistenze comiche loro malgrado perché vissute in locali squallidi e assurdi, in compagnia di personaggi assurdi e psicotici.» - Tuttolibri
New York, 2008. Il ventitreenne protagonista ha
lasciato l’Italia, per andare all’estero a studiare fotografia. Per
sbarcare il lunario fa il go-go boy nei locali notturni di Alphabet City
e il modello di nudo per artisti di second’ordine, trascorrendo gran
parte del suo tempo libero su Craigslist alla ricerca di stanze in
affitto e di sesso usa-e-getta. È lì che incontra Louis, detto Lou, uno
sregolato che passa le sue giornate in una casetta costruita su un
albero, fuori città, leggendo libri fantasy. I due, dopo un’incostante e
fugace frequentazione, decidono di andare a vivere insieme e mentre
tentano di far quadrare i conti con i loro sogni e i rispettivi
disincanti, tirano a campare alla bell’e meglio: Lou trovando lavoro in
un bizzarro solarium aperto ventiquattr’ore al giorno, il protagonista
in una pizzeria italiana. Imprigionata in un’oscura e autodistruttiva
ossessione reciproca, la loro diventa una storia fatta di furti in giro
per i supermercati di Manhattan e di notti insonni, di pericolosi giochi
d’azzardo e marchette, di pugni in faccia e diner che, in assenza di
posti dove sfogare le ultime frenesie notturne, si trasformano in
parcheggi dell’anima. L’esito, irrimediabilmente devastante, sembra
suggerirci l’idea che bisogna precipitare nell’abisso più profondo per
venire a patti con la propria integrità.
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