L'attesissimo ritorno al romanzo di Emanuele Trevi. L'autore ci offre il suo libro più personale, più commovente, più ironico.
Nel memorabile incipit di questo libro, la madre
di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre gli ripete
spesso un'istruzione enigmatica: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo
(ad esempio, fra le calli di Venezia, in una passeggiata dell'infanzia)
occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della
sua distanza. Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo
psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime.
Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole
acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili
delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Così il figlio
decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua atmosfera
inquieta e feconda, e così facendo prova a sciogliere (o ad
approfondire?) l'enigma del padre. Muovendosi nel suo sempre mutevole
territorio, fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e
dell'esistenza, storia culturale del Novecento (ne La casa del mago –
accanto a straordinari personaggi contemporanei, tra cui spicca
Paradisa, una prostituta peruviana – figurano Carl Gustav Jung, Natalia
Ginzburg, Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard...), Emanuele Trevi ci
offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico (e
perfino umoristico): una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala
che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita
nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più
semplici rimandano alla trama più sottile dell'essere, se li si
ascoltare, se si sa lasciarli accadere.
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