“Ho acceso Venere/per prima/ogni sera/a fare amore/nei tuoi pruni/di ruggine/ma tu non guardasti mai/così una notte/l’ho uccisa/per te/che delle altezze/hai paura/a vedere/se a terra
l’avresti guardata/anche solo/una
volta”
Contro Venere
è la teatralizzazione di una parola-grido
androgina, senza eguali stilistici, seppur antica nel senso.
La
poesia di Alessandra Merico realizza le sorti di un “vendichismo”
contemporaneo, così definito dallo stesso Davide Rondoni, curatore della
prefazione al testo, che non dimentica di rilevare quanto di attuale possa
esistere nel flusso empatico che regola la libera poesia dell’anima e la
concretezza degli atti e dei pensieri.
La
voce di una Donna, che sa dare fuoco all’oscenità del perbenismo, senza
tralasciare il celato moto dei sentimenti più nobili, che emergono dagli abissi
squisitamente femminili del non-detto,
poiché istintivamente percepito e, talvolta, concepito, come solo una Donna
sa e può fare.
Contro
chi giustizia la natura del corpo e delle sue pulsioni, e dalla parte di un inspiegabile
ermetismo della dimensione sensoriale, così sospesa –mai indecisa- tra la luce
e la sua ombra, ovvero tra il coraggio di emergere e la discrezione di non
denudarsi esplicitamente.
Forte,
audace, cadenzata, rapsodica, la poesia di Contro
Venere non è la scena, bensì il retroscena di un teatro fatto di uomini e
donne, che muovono guerra alla vita, per riappacificare l’Amore e la Bellezza.
Nessun commento:
Posta un commento