Questa storia ha radici
lontane: un giovane soldato nero americano abbandona la sua casa e la sua
famiglia per andare dall'altra parte dell'oceano a porre fine all'incubo
tedesco. Il ragazzo sbarca a Napoli e rimane irretito dalla bellezza della
sirena Partenope, se ne innamora, è corrisposto, tenta un approccio, la donna
non si sottrae e dalla loro unione nasce un bambino bellissimo, nero anche lui
ma solo a metà. Quel bambino è il simbolo della mescolanza, della fusion, di un
meticciato sociale, culturale, artistico ma soprattutto umano. Quel bambino è la
chitarra e la voce di Pino Daniele, a metà tra il blues dei neri americani e la
musica popolare napoletana. Quel
bambino è "Ue man!", "A me me piace 'o blues", "Have
You Seen My Shoes". Quel bambino è "Napule è",
"Chi tene 'o mare", "Lazzari felici". È il Supergruppo, è
l'anima di 200 mila persone radunate in Piazza Plebiscito, è l'indice sollevato
di Massimo Troisi in "Ricomincio da tre". Quel bambino è una carriera
più che trentennale costellata di successi e collaborazioni importanti, da Gato
Barbieri a Don Cherry, da Pat Metheny a Nanà Vasconcelos, fino ad arrivare a
Eric Clapton. Quel bambino è la voglia di sperimentare, la passione per le
chitarre, l'ostinata idea di non fermarsi mai, anche se il mondo non ha più
orecchie per ascoltare. Perché, per chi come Pino Daniele ha dentro la bellezza
di quel bambino, l'unica cosa davvero importante "è la musica".
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