Una scrittura barocca del giovane Fabrizio Ulivieri racconta le mille sfaccettature degli individui che abitano questo mondo. Tante personalità bisbetiche, sofferenti, intrise di odio e amore, tante identità fatte di vuoti a volte incolmabili.
Sono racconti, storie brevi che forniscono chiari esempi di un quotidiano che ci appartiene, capita di non vederlo, accade di patirlo o spesso si attua una sorta di rassegnazione o apatica insofferenza.
“Il sorriso della meretrice” di Fabrizio Ulivieri mette in luce le contraddizioni di tante o un’unica identità che appartiene ad una persona sola, che vive le sue trasgressioni accontentandosi del sorriso di una meretrice, o di far sesso con una massaggiatrice cinese.
Con un linguaggio chiaro, sebbene duro e acre probabilmente per dar ancor più l’idea della quotidianità mostrandosi al lettore senza maschere, senza ipocrisie. Sono infatti storie autentiche in ogni forma espressiva, caratterizzanti uomini o donne di oggi. Prevale la voglia di innamorarsi, ma anche quella di trasgredire, la forte volontà di cercare qualcosa, qualcuno, un vuoto da riempire.
Ulivieri scrive: «I sentimenti sono qualcosa che si prova spesso in contrasto alle decisioni della mente. Ciò che affiora da un sentimento è sovente uno stato di cose che di solito chiamiamo umore. Il nostro umore cambia con il cambiare dei sentimenti. In un sentimento non c'è nulla che possa essere legato ad un valore, ad una riflessione logica. I sentimenti sono partoriti dallo stato interiore del nostro corpo, dalle composizioni o decomposizioni chimiche e batteriche di conseguenza. E per questo si dice che un sentimento è cieco: nasce da regioni e ragioni oscure del nostro corpo». (p. 5). Ed ancora: «La disperazione è una sirena. La sua voce incanta ed attira il naufrago verso il suo letto di onde cullanti. Il disperato non è mai solo. È sempre in presenza di sé: del suo stato di assurdità, di melanconia, di una morte continua che mai uccide definitivamente. Il disperato è un Santo perché perennemente crocifisso a quello stato di beatitudine». Sono riflessioni intervallate nei racconti dall’autore che riprende anche versi intensi di poeti e filosofi come Sandro Penna, Soren Kierkegard, Albert Camus.
Questo indica un’osservazione attenta della realtà o almeno di parti del quotidiano oscuro, che rimane nell’ombra, non vediamo, o non vogliamo vedere un po’ come accade quando non si accetta di essere ciò che si è o si crede di essere.
“Il sorriso della meretrice” di Fabrizio Ulivieri dà forma all’amore che dice è tutto, ma spesso rende deboli.
Si susseguono le diverse storie come diapositive, scene di un film che è la vita. Il lettore legge, riflette, inarca un sorriso, sentendosi un po’ parte nelle parti ben descritte da Ulivieri nel testo.
C’è prosa e poesia, c’è il sapore dei poeti maledetti, del noir. Si avvertono nuove sperimentazioni nel raccontare se stesso, l’altro, il mondo, la vita. È un modo di raccontarsi e comunicare vero, sincero e queste caratteristiche attrarranno i lettori affamati di sincerità e non finzioni né ipocrisie. È uno scrittore che non tradisce al contrario di quanto lo stesso pensi, ma si offre senza veli, nella sua nudità, nella sua cruda schiettezza.
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