Leggendo “Mi chiamarono Brufolo Bill”
si ride e tanto anche grazie alla capacità narrativa di Margherita De Napoli e
alla sua verve nel raccontare una disavventura vissuta sulla propria
pelle, nel vero senso della parola: l'acne.
Un problema terribile e fastidioso che
molti adolescenti di ambo i generi hanno dovuto sopportare. L'autrice racconta
il problema come fosse una vera tragicommedia all'italiana. Si ride e si
riflette.
«Ho cominciato ad apprezzare la mia bella
pelle solo quando si è rovinata, e purtroppo è così per tutte le cose, ne
capiamo il valore quando è troppo tardi; ci accorgiamo dell'importanza degli
affetti solo quando sono scomparsi». (p. 16). Ed è proprio così. Margherita ha
una vita come tante, le interrogazioni con professori spauracchio, un ragazzo
Giorgio, una famiglia, le amiche, il primo colloquio di lavoro: tutto condito
da humour sorprendente e brufoli
invasivi.
È bellissimo il capitolo dedicato
all'uomo, un'analisi quantomai attuale del maschio che non c'è ossia “un tempo
era l'uomo che difendeva il proprio territorio e sceglieva la donna da
proteggere. Oggi si sono invertiti i ruoli: la donna sceglie l'uomo e lo
difende”.
Cerchiamo di essere ottimisti e di
credere che ci si scelga reciprocamente!
Insomma aggiunge Margherita De Napoli:
«Il sogno più grande degli uomini sarebbe quello di rimanere bambini a tempo
pieno per poter essere sempre coccolati, perdonati, amati senza se e senza ma».
(p. 39).
Pertanto, torniamo al punto cruciale del
libro: il brufolo, o meglio, i brufoli, presenze sconsiderate, ospiti sgraditi
sul viso di Margherita.
L'autrice descrive le sue battaglie
spesso sanguinose tra creme, unguenti, farmaci, scrub, di tutto di più
per tentare di non vedersi il viso un tempo bellissimo, liscio ed ora rovinato,
vissuto dalla protagonista come un vero e proprio handicap fisico. Tanti i
dermatologi consultati e gli episodi raccontati come e proprie gag
all'italiana. Lunghi fiumi di lacrime che la madre e il ragazzo sopportavano e
supportavano cercando di arginare dando conforto.
È un delizioso racconto che si legge
tutto ad un fiato, allegro, spensierato nonostante quest'acne prepotente.
De Napoli parla di una stima e fiducia in
sé che viene meno quando si è consapevoli di non essere belle come tutti
vorrebbero, non si rispecchia più il modello imperante della bellezza fisica
perfetta così come si affrontano altri limiti imposti dalla società
contemporanea.
Sceglie un modo simpatico per raccontarsi
e magari chissà che parlarne possa servire a qualcuno.
“Mi chiamarono Brufolo Bill” è
inoltre condito da simpaticissimi disegni di Francesca Zaccaria che
esplicitano, raffigurano in modo esaustivo i racconti di Margherita De Napoli.
Ne risulta che la protagonista dimostra
di avere la capacità di rendere simpatici anche i brufoli, amici e compagni di
avventure e disavventure, fortunatamente ospiti per un breve periodo
dell'esistenza della stragrande maggioranza degli umani.
Gentile Alessandra,
RispondiEliminala ringrazio per la bella e simpatica recensione. Sono Margherita, per fortuna ormai, ex Brufolo Bill. Sa che pensavo? Se non ci fosse stato chi mi appellò con quell'antipatico soprannome, quasi sicuramente non avrei scritto il libro. E' proprio il caso di dire: non tutto il male viene per nuocere. Ciò che riteniamo una debolezza può rivelarsi, nel tempo, una forza. In questo caso dai brufoli(certamente odiosissimi), sono sbocciati dei sorrisi. Quello che più desidero è che il parlarne -come lei dice- possa servire a a qualcuno che vive in solitudine questo guaio. Sono contenta che "Brufolo Bill" regali un po' di buonumore. I malefici pedicelli? Una risata li cancellerà!:-)