Nel trittico pubblicato dallo Specchio -
L'orlo delle cose, La parte in ombra, e oggi L'infinito istante - è esemplare
la crescente trasparenza di quel «limpido decantarsi» che Carlo Bo aveva colto
fin dagli anni delle sue postfazioni a due antecedenti sillogi mondadoriane di
Sergio Zavoli. L'umanista, e grande critico, aveva già messo in luce il lavoro
di scavo che Zavoli portava avanti nei suoi versi, via via raccogliendoli in
testi da cui traspariva una coscienza poetica alla quale restava estranea ogni
abilità esteriore e in cui si precisavano le sottrazioni verbali care a
Montale, che in questa stessa silloge fanno scrivere a Zavoli «la poesia è i
dintorni dell'istante». Con una metafora riferita alle librerie di casa, nello
spirito di una esplicita condivisione, Bo consigliava ai lettori di «non
disporre la poesia di Sergio Zavoli nelle collocazioni orizzontali dei libri,
il suo fra i tanti altri: quei versi esigono una disposizione verticale, se
così possiamo dire, perché sono di materiale puro, derivato per un processo
segreto e misterioso dalla parte più nobile del suo spirito». Più avanti
aggiungerà: «Le sue poesie non rientrano nel quadro delle esercitazioni
letterarie più o meno suggestive, come assicurano il tono teso della voce,
l'orecchio sordo alle mode, il rifiuto di alchimie adescanti, l'assenza di ogni
lenocinio. [...] Intento a dar voce alla sua maggiore vocazione, il poeta non
si risparmia nella denuncia della parola virtuosa, suggestiva, ingannevole, e
lo fa stringendo il dettato persino al di là di una "voglia di canto"
su cui egli libera i registri migliori per ariosità e compiutezza». Mentre
altrove, come ben sappiamo, è alle prese con le realtà nude nei molteplici
luoghi reali dell'uomo, al concerto dell'esistenza Zavoli aggiunge oggi una più
manifesta attenzione ai temi misteriosi e attraenti dell'interiorità, dove il
ruolo metafisico dell'istante e dell'infinito conferisce alla sua inquietudine
un'irrinunciabile tonalità laica -¿ seppure nel nome indicibile del dopo -
complici i sogni e i segni della mortalità. Forse l'eco di una fides infirma di
agostiniana, leale, schiusa franchezza. Al bivio dell'infinito istante
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