Molti di noi italiani nelle “discendenze” familiari, sono legati in qualche
modo ad un antenato che ha vissuto coltivando la terra, e che ha
quotidianamente appreso il significato dell’essere un ammaestratore della
natura. L'Italia ha una tradizione agricola che la si può definire
tranquillamente il suo fiore all'occhiello. La storia del nostro paese, è
costellata di tantissimi valori e di tantissimi principi che appartengono alla
civiltà di gente contadina, le cui gesta sono state oggetto di versi
straordinari di grandi poeti e scrittori, ma soprattutto sono state le
protagoniste assolute di molti rimpianti dell'immenso Pier Paolo Pasolini, il
quale sosteneva che il mondo agricolo era soggetto a un vero e proprio
genocidio culturale. Il libro che ho avuto la fortuna e il piacere di leggere,
è quello di Antonio Leotti dal titolo "Il mestiere più antico del
mondo" ed edito dalla casa editrice romana Fandango. Se lo dovessi
definire in qualche modo, potrei sinceramente collocarlo in uno scritto dai
forti toni sentimentali, anche se le note di colore, e quelle tragicomiche
allegeriscono l'intero intreccio agevolando in maniera incredibile la lettura.
La storia parla di un agricolotre che non ama proprio il suo lavoro (non era
questa la sua vocazione) e che suo malgrado si trova in uno stato purgatoriale di resistenza in bilico tra l'inesorabile grigiore della
vita metropolitana e le tante debolezze di una categoria come quella agricola.
La deriva è dietro l'angolo, e la si respira nei tanti falsi slogan cittadini
del vivere bio, e sano. In una parola si respira una vera e propria "retorica" del green. Nel
"Mestiere più antico del mondo" si racconta di agricoltura, di campagna, della "banale" pretesa degli abitanti urbani non solo di
controllare quel mondo ma anche di modificarlo, schiacciando tutto quel sistema
di valori, e aumentando negli agricoltori la paura di venire letteralmente
ghettizzati ed emarginati da un mondo global che stima l'agricoltura non più
degna di vita. Ne avevo sentito parlare bene di questo libro, e devo dire che
non posso che ritenermi soddisfatto da un’opera che anche se è un libro di
narrativa, fa una denuncia a 360° della condizione pessima in cui versa il
mondo dell'agricoltura nel territorio italiano, e che non può che far sorgere
quasi una cieca rabbia perchè nessuno veramente si avvicina al mondo degli
agricoltori. Il mestiere più antico del mondo è assolutamente da leggere
proprio perché ci troviamo davanti ad un racconto appassionato, forte e sincero
di assoluta devozione al mondo dell’agricoltura.
(intervento apparso sul quotidiano Paese Nuovo del 20/03/2012)
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