Il caso Vittorio è il brillante
romanzo di formazione con cui minimum fax ha lanciato Francesco Pacifico, una
delle voci più interessanti della nuova scena letteraria italiana. La vicenda
del giovane e camaleontico Vittorio, che attraversa gli scenari di un decennio
di storia italiana oscillando fra l’amore della disinibita Claudia e quello
della repressa Marta, fra l’edonismo altoborghese e il cattolicesimo più
dogmatico, ha fatto scoprire ai lettori la penna ironica e raffinata di un
geniale indagatore della società contemporanea. Chi è Vittorio, l’inafferrabile protagonista
di un romanzo che inizia ai tempi del primo governo Berlusconi e si conclude
nell’atmosfera irreale del post-11 settembre? Frequenta i centri sociali? È uno
studente modello? Un fan dei Pearl Jam? Un edonista in vacanza a Sharm el
Sheik? Un cattolico integralista? E soprattutto: è innamorato della bella e
disinibita Claudia o di Marta, chiusa, impacciata e rosa dalla frustrazione?
Vittorio riesce a essere tutte queste cose insieme, attraversando adolescenza e
giovinezza all’insegna di un camaleontismo luciferino e superando, praticamente
indenne, il periodo del grunge e quello del pop patinato, la vittoria
elettorale della sinistra e il ritorno di Berlusconi, il Giubileo del 2000 e il
momento d’oro della bolla speculativa, il crollo del Nasdaq e quello delle due
torri. Come molti, tra i suoi referenti più anziani (la storia recente del
nostro Paese ne è piena) ha un talento formidabile per il trasformismo. Ma a
differenza di loro questa vocazione al trasformismo non nasce dal bisogno di
rimanere a galla: è diventata una sorta di elemento genetico e quindi più
profondo, inespugnabile, insondabile agli altri e a se stessi.
“Il sole freddo tagliava la
strada da una via parallela, la gente si affacciava al balcone e da sotto si
sentiva cantare: «Scendi giù, scendi giù, manifesta pure tu...», e Marta
pensava: siamo tanti, siamo belli, e si commuoveva. Claudia invece cantava Guccini
a squarciagola, faceva la erre moscia e abbracciava qualcuno. Cantava La
locomotiva, L’avvelenata, Auschwitz, ma anche canzoni che non avevano direttamente
a che vedere con la politica, tipo Culodritto, Canzone di notte n. 3, La Genesi (nella quale faceva alla
perfezione anche le parti parlate), e perfino Keaton, la storia del pianista
con la cirrosi epatica, che faceva pensare a Kerouac. E urlando e cantando
cercava di alleviare la tristezza di aver perso Gianluca dopo solo tre mesi da
che lui aveva cominciato nel nuovo liceo del centro – Claudia che gli rispondeva
al telefono mormorando funebre: «Ti prego, non chiamare, quando chiami sento
una fitta alle gambe e soffro». Infatti era vero, non riusciva più a
sopportarlo, anche se gli voleva «un bene dell’anima». Bisogna andare avanti, gli
diceva, ed era dalla metà di ottobre che si erano lasciati ufficialmente e
stavano nella fase amanti, nella quale facevano l’amore due volte a settimana a
casa di lei, nella cantina ammobiliata al piano interrato. Lui aveva le chiavi
del portone e della cantina; i genitori di Claudia non ci tenevano niente se
non qualche bottiglia di vino, due biciclette e poche cianfrusaglie: il grosso
degli attrezzi da botanica o delle chiavi inglesi se li era portati via il padre
tre anni prima. Vito, il compagno della madre, i suoi attrezzi li teneva a casa
sua, a Collina Fleming, e mamma possedeva solo libri e giornali che non voleva
tenere in un posto umido. Gianluca veniva quando voleva, con la sua copia delle
chiavi; in un armadietto con la serratura tenevano il sacco a pelo, due stuoini
di gommapiuma, due cuscini e i preservativi. Gianluca spegneva il motore del
motorino proprio sopra alla presa d’aria della cantina, così Claudia poteva
sentirlo arrivare: si alzava dalla poltrona, chiudeva il libretto Millelire –
De Sade, Neruda, Voltaire, o le raccolte Stampa Alternativa di quegli aforismi
che la gente scrive sui cessi e sulle schede elettorali – apriva il mobiletto,
srotolava gli stuoini, stendeva il sacco a pelo e inghiottiva la saliva.
Prendeva un sorso di Coca-Cola e si guardava le unghie mangiate. Gianluca
infilava la chiave nella toppa, Claudia metteva un disco e la passione li
travolgeva, una passione che durava poco ma bruciava bene.”
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