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mercoledì 17 agosto 2011

Il mio Carso, di Scipio Slataper con prefazione di Diego Zandel (Mursia). Intervento di Nunzio Festa





















Slataper, intellettuale triestino più italiano di molti italiani nati a Roma, tanto che Scipio Slataper (e Stalataper, per esser chiari, in sloveno dovrebbe esser tradotto Pennadoro), morì in battaglia per l’Italia contro l’Austria nel 1915 all’età di ventisette anni; scrittore che dedicò la sua piccina vita alla lotta per affermare l’identità nazionale che prediligeva, scrisse “Il mio Carso” come una: “autobiografia lirica”: tanto che, insomma, specialmente la prima parte del breve romanzo in forma d’epistola alla sua terra: è fatta quasi di poesia, quanto meno di lirismo accentuato per specificare al punto. In sede di prefazione, comunque, Zandel spiega chiaramente per quale ragione il libro di Slataper merita rispetto pieno e in che maniera l’opera letteraria rappresenti, giustamente come puntualmente è ristampato – tipo adesso dalla attenta Mursia – , un punto cruciale delle letteratura italiana del Novecento. Le memorie di Scipio Slataper, infatti, sono il segno di un triestino che nato in un crogiuolo di popoli e lingue, e consapevole di questo, sceglie d’essere italiano a tutti gli effetti, una scrittura vivida e descrittiva, che tra l’altro fa perdonare errori geografici e storici significativi compiuti dall’autore. Quando lo scrittore dice “il mio carso”, lo fa sempre ed essenzialmente per benedire, ringraziare, omaggiare i suoi luoghi d’origine. “Il mio carso è duro e buono. Ogni suo filo d’erba ha spaccato la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l’arsura per aprirsi. Per questo il suo latte e sano e il suo miele odoroso”, leggendo questo Slataper, inoltre, ci tornano in mente certe parole che Rocco Scotellaro dava alla Basilicata. Con la differenza, per riprendere, che Scipio Slataper racconta un pezzo dell’irredentismo in primis triestino e consegna persino passaggi verbali al dialetto delle sue zone. Altro che terre straniere. E qui, per giunta, senza ovviamente rendere onori alla guerra, dobbiamo ricordare un vero patriota che senza secondi fini ama Garibaldi e i sogni di liberazione da una delle oppressioni della storia. Pubblicato per la prima volta a Firenze nella Libreria della “Voce”, d’altronde, nel ’12, Il mio Carso è in prima battuta considerato un capolavoro della letteratura triestina e dunque italiana. Un’opera che fa parte della storia della Letteratura.

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