Parlabene è uno di quegli uomini, anzi uno di quei giornalisti che volta per volta sono buoni a spedirsi nelle pratiche del rapporto diretto e storto con la pericolosa avventura. Questa volta, il pazzo s’intrufola, anzi s’insacca, s’immette in una storia appena appena dopo essersene uscito da un’altra anche più avvincente. Persino fatta di fuga dalla morte quasi certa. Jack Parlabene, nel sempre brillante “Un mattino da cani” dell’altrettanto brillante e ‘pronto’ scrittore di Glasgow Christopher Brookmyre, al risveglio d’una speditissima ubriacata, s’inceppa fuori dal chiavistello del nuovissimo e fresco appartamento poggiato a quello dove arriverà un po’ di polizia; quindi, giustamente, si mette nella capoccia d’usare la casa d’un altro, appena assassinato – ma ovviamente (all’inizio) il giornalista è inconsapevole della morte tutt’altro che accidentale – per tornare nelle sue spoglie stanze. Ponsonby, il fresco cadavere, guarda caso, era uno stimato medico d’Edimburgo, e Parlabene, inizialmente trasferito in mutande in commissariato, decide, giustamente e chiaramente, d’investigare senza remissione da principi. Fare il suo mestiere. Insomma, d’immettersi nella vicenda. A prova di giornalista d’assalto. Appunto. Piano, di scena in scena, il romanzo ci traghetta nelle sensazioni d’una nazione, proprio
Un mattino da cani, di Christopher Brookmyre, traduzione di Vittorio Curtoni, Meridiano Zero (Padova, 2010), pag. 318, euro 10.00.
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