La storia è in crisi? Oppure è la comunicazione storica che fatica ad
arginare la deriva presentista della società contemporanea? Quali sono
le responsabilità dei politici e dei media nel processo di
destoricizzazione che investe le università e le nuove generazioni? E
quali quelle degli storici? Sono alcune delle domande cui Luca Falsini
cerca di dare risposta, con l'occhio costantemente rivolto agli usi e
agli abusi della conoscenza storica, ai condizionamenti ideologici, ai
luoghi comuni e alle rimozioni del nostro passato più recente. Da questa
analisi emerge un quadro di continuo discredito del lavoro
storiografico, alimentato di volta in volta dagli opinionisti e dal
sensazionalismo dei media, ma anche dai semplici cittadini, messi ormai
in grado dai nuovi mezzi di comunicazione di fare e comunicare storia.
In questo racconto di distorsioni, talvolta involontarie, si inserisce
in modo dirompente la politica. La caduta del Muro di Berlino e il
crollo dei partiti dell'arco costituzionale hanno prodotto una corsa al
riposizionamento politico di idee, partiti e individui, non sempre
disposti a fare i conti col proprio passato; tutti però convinti della
necessità di manipolare la storia per costruire nuove appartenenze
identitarie. Bersaglio prediletto sono così divenuti tutti i momenti
cruciali della nostra storia nazionale: il Risorgimento, in quanto atto
fondativo, quindi l'antifascismo, la Resistenza e la Costituzione,
additati come origine dei mali dell'Italia, che non hanno consentito al
paese di darsi una struttura politica moderna e una forte e coesa
identità nazionale. Nel volume, costruito adoperando soprattutto la
«fonte» degli editoriali dei grandi quotidiani e dei discorsi
parlamentari pronunciati nel primo decennio della seconda Repubblica,
Falsini riafferma la complessità del racconto storiografico, contro le
tentazioni ideologiche e le semplificazioni proposte dalla società
contemporanea. Ma nello stesso tempo sostiene sia giunto il momento per
lo storico di lavorare sul linguaggio, sullo stile e sulla struttura dei
testi e imparare l'uso di fonti meno consolidate, come la fotografia,
le fonti orali e le immagini. Ciò non significa abdicare alla serietà
del proprio lavoro, né subordinare le proprie ricerche alle contingenze
politiche del momento, ma avere il coraggio di accompagnare le
trasformazioni delle coscienze e delle conoscenze a mente aperta, senza
alzare muri preconcetti.
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